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SULLA NATURA DEL MALE – Il caso Eichmann: l’ignoranza e la disinformazione sui media italiani, dal “Fatto” al “Corriere”. E su Adolf Eichmann, la carriera del funzionario zelante.

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rafieitan

Nemmeno i tabloid britannici ne hanno dato notizia, eppure di norma le notizie collegate all’Olocausto le pubblicano tutte. Con la morte di Rafi Eitan, uno dei membri del Mossad che nel 1960 catturarono Adolf Eichmann, il giornalismo italiano ha invece colto l’occasione per fare ciò che sa fare meglio: spandere ignoranza e disinformazione e focalizzarsi sugli “eroi” a scapito delle dinamiche storiche che determinano gli eventi. Perché questo status quo? Perché sono in mala fede? Perché promuovono la disinformazione a prescindere? Quest’ultimo punto è anche vero, ma a mio avviso non si applica a questo specifico caso. Secondo me, infatti, il nefasto status-quo è determinato da un solo fattore: nessuno studia più. Soprattutto nessuno studia più nelle redazioni dei giornali. Del resto, la questione è comprensibilissima: come fanno a trovare il tempo per studiare se devono correre di studio in studio televisivo a offrire pareri, opinioni che nessuno ha mai richiesto?

Sul caso Eichmann, e sulle ragioni che portarono Ben-Gurion (1) a chiudere il capitolo “Eichmann” ne ho scritto diverse volte su Rosebud e non è il caso di farlo ancora. Chissà, magari quando in quelle redazioni cominceranno ad assumere autori e personaggi capaci a tutto tondo, e quando la capacità media nella readership italica sarà diventata accettabile, si capirà che l’arresto di Eichmann non è stata un’altra avventura da eroi-mediatici, ma piuttosto una operazione di lunga durata, complicata, che ha richiesto molto lavoro in Sud America, anche e soprattutto nello stabilire dei contatti e ha procurato persino qualche momento “spassoso” (almeno ad analizzarlo a posteriori) in Argentina, come fu il momento in cui fu necessario portare il criminale sull’aereo sotto il naso delle guardie di quel paese, facendolo passare per un altro membro dell’equipaggio intontito dall’ennesima sbornia.

Insomma, la realtà è distante mille miglia dagli articoletti  prêt-àporter dei quotidiani italiani che prima di promuovere inchieste, reportages, come si usava un tempo, ci pensano due volte. In ogni caso, se lo status-quo di vero e proprio degrado storico, culturale, intellettuale non lo vedono i direttori (sovente troppo presi dalla propaganda politica che è ormai diventata il loro primo imprescindibile impegno), è ormai cronico, a noi non resta che continuare a studiare la nostra Storia guardando altrove, guardando alla fonti serie, investigando, crescendo, ognuno nel nostro piccolo, ognuno ricordando l’importanza di creare una didattica online decente ai tempi della mafia wikipedica, ai tempi della cultura propugnata dai “cultori” dei manga, ai tempi dell’esaltazione di tutto ciò che è epidermide a discapito della fatica d’intelletto.

Anche per questi motivi pubblico qui sotto alcuni stralci da “Sulla natura del male” che riguardano il ritratto di Eichmann, mentre altre informazioni le trovate nell’introduzione pubblicata qui.

Rina Brundu

(1) La stessa cattura di Eichmann in Argentina e la conseguente decisione di portarlo in Israele per essere processato, partirono dall’idea di David Ben-Gurion ((David Ben-Gurion (1886-1973) è stato il primo Premier israeliano, nonché l’autorità governativa che autorizzò l’operazione di intelligence del Mossad che nel 1960 portò alla cattura di Adolf Eichmann, dopo 16 anni di latitanza in Sud-America, e alla sua successiva impiccagione il primo giorno del mese di giugno del 1962.)) che il mondo, e i giovani ebrei in particolare, necessitassero di ricordare cosa era stato l’Olocausto avvenuto solo venti anni prima: perché negare al suo popolo una occasione di lutto collettivo, dato che furono migliaia le vittime sopravvissute allo sterminio nazista che per anni, decenni, in alcuni casi mai, non riuscirono a confidare a nessuno la loro tragedia privata dentro quella comune?

Tratto da BRUNDU R, SULLA NATURA DEL MALE. Una confutazione del saggio “Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil di Hannah Arendt” e altre considerazioni, Ipazia Books, 2018

 

Estratto

5.5 Adolf Eichmann: la carriera

I crimini commessi da Eichmann sono di gran lunga superiori a quelli commessi da Israele in terra argentina.

Golda Meir, Primo Ministro e Ministro degli Esteri israeliano

heichmannNato a Solingen, in Austria, nel 1906, il giovane Adolf Eichmann fu un fallimento a scuola e anche quando si impiegò in un primo lavoro da meccanico. Con le successive esperienze, prima in una ditta estrattiva di proprietà del padre, e poi come impiegato di una società petrolifera, migliorò molto le capacità organizzative e amministrative che gli sarebbero tornate utili successivamente. A essere particolarmente sviluppato era il suo talento per la logistica: le merci spedite da Eichmann, ben sistemate e ben impacchettate, arrivavano sempre in tempo! Benché inizialmente poco affascinato dalla politica, nel 1932 si iscrisse al partito nazionalsocialista. Fece carriera subito e l’anno dopo entrò a far parte delle SS di Himmler: un onore non concesso a tutti! Intuendo che la “questione ebrea” stava esplodendo in maniera deflagrante, decise di improvvisarsi esperto di quella cultura. Studiò, si ingegnò come meglio poté per imparare, e chiese anche che gli fosse dato un insegnante di madrelingua ebraica. Il suo desiderio non fu esaudito perché un simile corso avrebbe potuto tenerlo solo un ariano, però gli fu concesso di fare un viaggio in Palestina. Facendosi passare per giornalista, non appena giunse a destinazione tentò di unire l’utile al dilettevole cercando di individuare dei luoghi adatti alla deportazione degli ebrei. Scoperto dai servizi segreti britannici, fu lui ad essere espulso e rispedito in Germania.[1]

Di ritorno a casa, dopo la tanto attesa annessione dell’Austria alla Germania, avvenuta nel 1938, Eichmann fu mandato nel suo Paese natale con il preciso compito di espellere quanti più ebrei possibile, il più velocemente possibile. Per regolare l’attività fu creato una sorta di Ufficio dell’Emigrazione dove i cittadini ebrei potevano richiedere il permesso di espatrio, il più delle volte pagato a caro prezzo e con il denaro che andava a finire nelle tasche di Eichmann. Durante il primo anno, il solerte funzionario del Reich riuscì a mandare via circa centomila persone dal Paese, con le buone o con le cattive, e soprattutto riuscì a diventare un uomo molto ricco.

L’inizio della guerra nel settembre del 1939, insieme ai primi successi che arrisero alla Germania in Polonia e poi sul fronte occidentale, grazie alla forza distruttrice dei “blitzkrieg” delle SS himmleriane, portò nuovi problemi logistici e organizzativi da risolvere: cosa farne dei tre milioni di prigionieri ebrei? Le esecuzioni di massa erano una metodologia lenta e inefficiente, la soluzione doveva essere un’altra, come ben sapeva l’ufficiale delle SS incaricato di risolvere, il famigerato Reinhard Heydrich. Fu in questo degradato contesto che Eichmann si ritrovò a fare squadra con il “boia” del Reich, il quale già in precedenza aveva avuto occasione di lodare il “metodo Eichmann” in Austria e aveva caldamente raccomandato che fosse usato in tutta la Germania; fu insomma la premiata ditta Reinhard-Eichmann che organizzò la sistematica deportazione di milioni di prigionieri, provenienti da ogni angolo del vecchio continente, verso i campi di concentramento dell’Europa dell’Est.

La fine della guerra fu invece una seccatura per Eichmann, sia perché non aveva ancora terminato il lavoro, sia perché da quel momento in poi iniziò la sua fuga dalla giustizia, una corsa senza tregua che sarebbe durata 16 anni. Catturato dal Mossad, il servizio segreto israeliano, in Argentina, nel 1960, il suo processo, iniziato nel 1961, avrà una grande ripercussione mediatica e il merito di riportare al centro dell’attenzione dei più la grande tragedia avvenuta solo venti anni prima. Adolf Eichmann fu impiccato il 31 maggio del 1962.

5.6 Adolf Eichmann: il burocrate zelante.

Sono io lo zar degli ebrei.

Adolf Eichmann

Cosa c’era dietro il burocrate, il pedante, preciso funzionario del Reich che quando arrivò a Vienna instillò la paura negli abitanti del suo quartiere ebreo? Cosa c’era dietro l’ufficiale che ricevendo l’ordine di fermare le deportazioni dal suo diretto superiore, Einrich Himmler, sbottò: “Se la Germania ha perso la guerra io vincerò la mia”, e invece di fermarsi aumentò le deportazioni giornaliere di migliaia?

Secondo diverse fonti, a titillare il lato oscuro dell’anima di Adolf Eichmann era soprattutto il suo grande complesso d’inferiorità. Tra i tanti ufficiali del Reich, lui era l’unico che, non avendo completato gli studi, non poteva vantare alcun titolo accademico. In dato modo, ogni istante della vita di quel burocrate era insomma scandito dalla necessità di doversi provare capace. Peraltro lui le tentò tutte, ma per quanto si sforzasse, per quanto ammirata fosse la sua diligenza, non riuscì mai a realizzare il sogno più grande: essere complimentato direttamente da Hitler!

Tuttavia, la speranza che il miracolo potesse accadere non lo abbandonò mai. E pur di propiziarlo egli continuò a fare ciò che aveva sempre saputo fare meglio: continuò a mentire, continuò a fare il calcolatore e il leccapiedi di Himmler, sposandone in pieno il folle progetto di una Germania liberata dagli ebrei, e dunque condividendo l’idea di un genocidio di quel popolo, continuò a inseguire il sogno revanchistico di riscossa personale e nazionale, continuò a tramare per arricchirsi e per consolidare quanto più potere possibile nelle sue mani. Parte integrante della sua strategia di servitore dello Stato ligio al dovere, era anche l’usare il suo talento organizzativo e logistico per il maggior bene della “causa”. Come quando, incaricato di tenere il verbale durante la famigerata Conferenza di Wannsee del 1942, si spinse fino ad annotare a margine dei fogli un rapido calcolo di quanti ebrei si sarebbero potuti eliminare con il metodo in discussione: undici milioni!; oppure, quando attirò gli ebrei ungheresi nei campi di concentramento con migliaia di lettere e falsi inviti dei familiari, o ancora nel momento in cui supervisionò personalmente la deportazione dei prigionieri via treno: così come accadeva quando era un impiegato del settore petrolifero, anche in questa diversa occasione la merce arrivava a destinazione in maniera veloce e puntuale. Così puntuale che non furono pochi i responsabili dei campi di concentramento che si lamentarono di come inviasse troppa merce per la loro capacità di disporne. Talmente grande era il suo senso del dovere che, come già ricordato, quando l’imminente sconfitta consigliò a Himmler di fermare i treni, lui non obbedì all’ordine e quando ci fu costretto si determinò a spedire i prigionieri nei campi a piedi, in una marcia di chilometri che a sua volta reclamò moltissime vite.

Sedici anni più tardi l’ex gerarca nazista non era cambiato di tanto, salvo il fatto che nel lungo periodo di latitanza molti dei suoi datori di lavoro in Argentina non avevano riscontrato tutta questa capacità organizzativa o attenzione al dettaglio, alcuni lo avevano licenziato per manifesta incapacità. Che anche nel dopoguerra il gerarca nazista avesse continuato a essere l’alcolizzato che era stato al tempo del Reich? Non che in quel tempo fortunatamente finito i vizi della persona importassero troppo. Eichmann era sempre stato anche un donnaiolo che non era mai rimasto fedele a nessuna delle sue donne, men che meno alla moglie. L’esecutore si raccontava fedele solo al Führer e, inutile sottolinearlo, una simile dichiarazione fu sufficiente ad Heydrich per capire che aveva davanti l’uomo che faceva al caso suo….

Continua…

[1] Figura 4: Adolf Eichmann