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La scuola pubblica, ovvero la scuola dell’ignoranza

maxresdefaultdi Roberto Renzetti.

        Sono uscito dal meccanismo "scuola" da poco tempo. Posso riflettere dall'esterno. Posso leggere di più sull'argomento. Credo di avere messo a fuoco alcune idee che non fanno parte del bagaglio almeno informativo degli insegnanti. Di più. Quanto qui metto giù non risulta essere argomento dibattuto da nessuna forza politica e sindacale.

        Naturalmente io non posseggo verità ma propongo questi temi alla discussione aperta. Le cose che dico non sono neutre rispetto ad una concezione della società, del mondo, dei rapporti sociali ed economici. Avverto di questo in modo che la critica sia la più libera ed io possa capire da che parte delle concezioni del mondo di cui dicevo ci si pone nell’argomentare su uno dei temi chiave del nostro mondo occidentale, oggi, tenendo presenti tutti gli avvenimenti che si vanno susseguendo.         

        Molte delle cose che dirò non vogliono essere provocatorie ma semplicemente descrittive della tesi di fondo che tra poco enuncerò. Non si facciano delle polemiche sterili ma si entri in argomento.         

        Gli autori che si affiancano a ciò che dirò sono Jean-Claude Michéa, Guy Debord, Liliane Lurçat e Christofer Lasch che citerò di volta in volta.

Alcuni preliminari

Situiamo le vicende della scuola italiana (e, come vedremo, non solo).

La Riforma Gentile (1923) definisce la scuola italiana compiuta.

Il 1968 rappresenta una critica radicale a tale scuola.

Le risposte alle esigenze del 1968 sono populiste e vanno nel senso opposto a ciò che si richiedeva (lo vedremo); i  cambiamenti che si susseguono fino al 1996 sono sulle “uscite” e mai sulla struttura.

Nel 1996 inizia un progetto organico di riforma (Berlinguer) che rappresenta il più alto livello di destrutturazione della scuola pubblica a fini liberisti.

La scuola della Moratti è una mera conseguenza di quanto scioccamente iniziato dal governo di centrosinistra.

Gli studenti ed i genitori sono appagati da facili promozioni ed assistono silenziosi alla distruzione della scuola  pubblica.

Le sopravalutazioni dei marxisti

        I marxisti, me compreso, avevano sopravvalutato il capitalismo (l’unico che non aveva fatto un tale errore era Gramsci). Credevano fosse penetrato dovunque e pervaso con la sua ideologia ogni struttura, corrompendola. Sbagliavamo. La scuola era rimasta fuori ed era forse l’unico luogo dove non era potuta penetrare la società dei consumi e del facile successo. Inconsciamente tutte le forze politiche fino al 1968 avevano spinto per una scuola sempre più selettiva. Semmai il problema sarebbe stato quello di chiedere un sistema altrettanto selettivo ma basato su borse di studio (a priori) per i meno abbienti (un poco come fece la Germania dopo la sua unificazione – 1870 – e che l’ha portata ad essere la più grande potenza scientifico-culturale del mondo).         

        La protesta studentesca era generica. Le vicende politiche contingenti sviarono l’attenzione dalla scuola alla politica generale. La classe politica iniziava il disfacimento che l’avrebbe portata a tangentopoli e non capiva altro che il chiudere al più presto con quelle proteste che si generalizzavano al mondo del lavoro e stavano investendo in un vero e proprio processo prerivoluzionario, l’intero Paese.          

        La parte del movimento strettamente politica fu azzittita con le bombe di Piazza Fontana. L’altra, quella che aderiva con motivazioni minimali e comunque non trainante, fu blandita con riforme populistiche che dettero il via al tracollo della scuola pubblica.          

        Siamo stati, per quanto inconsciamente, coloro che hanno aperto la breccia dentro cui si è infilato il capitalismo.         

        Può sembrare una forzatura quanto qui sostenuto, ma spero di motivarlo con sufficienza nel seguito.         

        Intanto osservo che la scuola presessantotto era scuola selettiva certamente, classista in grandissima parte, ma altrettanto certamente garantiva sbocchi universitari con bagagli culturali generalmente adeguati o sbocchi professionali adeguati. Non è un caso che poi, sempre più al passare del tempo dal 1968, si sia radicata (ci abbiano inculcato) una convinzione dal sapore quasi ineluttabile: la scuola di massa ed aperta a tutti è una scuola dequalificata. Ma perché? Perché? La risposta era ed è semplice. E come le cose più semplici è la più difficile da capire.         

        L’equivoco sta tutto nella non univoca definizione di “scuola di massa”. Se con tale termine si intende una scuola che porti tutti ad acquisire un titolo, hanno ragione coloro che ci hanno inculcato quel concetto. Ma se con quel termine si vuole (e per me si deve) intendere scuola aperta a tutti con identiche possibilità di accesso per tutti, allora l’identità di scuola pubblica con dequalificazione è una sciocchezza madornale.         

        Ma l’Italia ha avuto varie sventure e, tra queste, un fondo di cattolicesimo che ha rappresentato quanto di più deleterio si possa pensare nell’educazione dei cittadini. In Italia c’è LA FAMIGLIA, lo studente è un figlio di famiglia. Da quando va alle elementari. Ed allora c’è Montessori (in parallelo in USA c’è Rogers). La non direttività. I bambini sono di cristallo: non si possono toccare neppure con un dito, altrimenti si rompono. Così spariscono alcune regole elementari dell’educazione dei cittadini, regole importantissime non tanto in sé, quanto per sé. L’educare la mano a scrivere correttamente, il tenere bene la penna, il fare opere ordinate in libri e quaderni e fogli da disegno non è fatto che possa essere banalmente liquidato come “direttività”, imposizione di costrizioni, negazione al naturale sviluppo del bambino. Occorre tornare a Diderot per capire che il selvaggio si fa uomo quando conquista (eh, proprio questo è il termine) organizzazione mentale che è educazione comportamentale per chi è ancora nella fase del pensiero concreto. Invece quel “conquista” assume valenza negativa e diventa “è costretto”. Perché? A quale perfida perdizione viene portato il bambino che impara a camminare e non deve farlo con la schiena ricurva? Ed il bimbo che si infila le dita nel naso non deve essere informato (e semmai inibito) che non si fa non tanto per ragioni estetiche (che pure contano), ma per ragioni igieniche? Stare a fianco a chi cresce e trasferirgli le migliore regole è certamente direttivo MA NON E’ AUTORITARIO.  Ma i genitori non vogliono che i loro figlioli vengano “torturati” ed allora sono felici dei metodi globali, del fatto che si facciano fiori di carta e recite (tutte cose sacrosante solo se accompagnate da educazione a comportamenti formali che sono faticosi per i ragazzi e per questo richiedenti lavoro da parte e dei piccoli e degli insegnanti). Vi sono leggi di natura fin troppo facili da estrapolare al mondo dell’educazione (o istruzione, come io preferisco?). Come quella che vuole sistemi lasciati a se stessi tendere verso il massimo disordine. Se si vuole ottenere qualcosa occorre lavorare che vuol dire faticare. Passiamo alle medie e cosa si è combinato? Demolizione dell’organizzazione del pensiero che avveniva su almeno tre direttrici: 1) l’analisi grammaticale; 2) l’analisi logica; 3) la matematica (aritmetica-algebra e geometria). E’ rimasta solo l’ultima direttrice che, paradossalmente (ma poi non tanto), da sola non ha possibilità di crescere equilibratamente. Così, a lato dei disastri di per sé, si aggiungono anche quelli in sé: il rifiuto della matematica (base per il 90% delle future professioni della nostra epoca, potente organizzatore mentale e apprendibile bene solo se l’inizio dell’operazione avviene a giovanissima età) è, se possibile, molto maggiore di quanto non lo fosse 30 anni fa. Inoltre l’alibi del cattolico pensiero trasferito a genitori premurosi è facile: essendo questa ormai l’unica materia selettiva si può facilmente sostenere che i problemi sono dell’insegnante e che comunque una sola materia non può pregiudicare la carriera scolastica del ragazzo. Alle scuole superiori si cambia molto poco di come sono incanalati i ragazzi e, ancora per sommi capi, la frittata è già fatta.

Alcuni avevano capito

        Cristofer Lasch, uno studioso americano, nel suo fondamentale The culture of  narcissism (W.W. Norton, 1979) dice cose di estremo interesse. Riporto un brano tanto per iniziare (citato da Michéa):

L’istruzione di massa, che prometteva la democratizzazione della cultura, prima ristretta ai ceti privilegiati, finì per danneggiare gli stessi privilegiati. La società moderna, che ha conseguito un livello di istruzione formale senza precedenti, ha anche dato origine a nuove forma di ignoranza. Alla gente risulta sempre più difficile maneggiare la propria lingua con scioltezza e precisione, ricordare i fatti fondamentali della storia del proprio Paese, realizzare deduzioni logiche o comprendere testi scritti che non siano rudimentali o, addirittura, di comprendere i propri diritti costituzionali“.         

        Ebbene, Lasch godeva dell’osservatorio privilegiato del suo Paese, del Paese più avanzato del mondo con una scuola che anticipava di almeno 20 anni la nostra. Oggi, come riconosce Michéa per la scuola francese, anche noi in Italia dobbiamo iniziare a preoccuparci fortemente perché siamo entrati quasi completamente nella situazione che denunciava Lasch.         

        Riprenderò tra poco Lasch, ma ora debbo seguire alcuni spunti storici che sembrano allontanarci dalla questione in discussione ma che presto capiremo essere indispensabili. Seguirò la traccia che  Michéa fornisce in L’enseignement de l’ignorance (Climats, 1999).         

        Per realizzare pienamente il MERCATO e far raggiungere all’uomo la felicità, la pace, la prosperità occorre eliminare tutti gli ostacoli che lo impediscono. In una società determinata (da determinismo) in cui tutto debba funzionare meccanicisticamente occorre che gli individui siano come atomi da poter seguire nelle loro traiettorie e non in grado di deciderle. Ora, vogliono i cittadini comportarsi come unità discrete che si muovono con leggi meccaniche? Questo è il nocciolo del problema che in qualche modo costruisce l’Economia Politica e fa da spartiacque tra l’economia marxista e quella liberale. Oggi dobbiamo considerare SOLO la vertente liberale. In essa si richiede, per l’eliminazione di quegli ostacoli al libero sviluppo del mercato, che il potere politico sia tanto “autorevole” (autoritario? non serve pensare, oggi, all’autoritario di un tempo. Le TV, ad esempio, permettono questo) da togliersi di torno ogni problema che la religione, una qualche ideologia, il diritto e le consuetudini pongono. L’uomo deve essere razionale. Ma con una razionalità postcartesiana, definita bene da Hume: egoismo e calcolo (il regno della borghesia, secondo Engels). Ed il potere politico deve indirizzare il cittadino verso la sua personale utilità, verso il suo egoismo. Qui stiamo parlando di concetti antichi. Abbiamo parlato di mondo meccanicista e determinato (Newton) della fine del ‘600, dell’aspirazione di Locke ma principalmente di Hume di portare nell’economia quel mondo. Di definire una organizzazione liberale con nessun ostacolo al MERCATO. Oggi, dopo le vicende che più o meno conosciamo, abbiamo di fronte la massima espressione delle aspirazioni liberali. Non sembra vi siano più ostacoli. La religione dalle parti nostre vive appagata dei suoi privilegi ed è d’aiuto al MERCATO; le consuetudini non esistono più, ormai si va verso il pensiero unico, quello americano; il diritto viene modificato a seconda delle necessità di chi detiene il potere; le ideologie di massa non ci sono più a parte il movimento No Global che per ora non preoccupa più di tanto (si punta alla sua esclusione dall’informazione, alla sua criminalizzazione, al suo ignorarlo per poi prenderlo per stanchezza).         

        In definitiva siamo dentro al mondo capitalista dove, l’affermazione dell’egoismo e del calcolo è una negazione di tutti quei valori (anche in senso nietzschiano) che rendono l’uomo non macchina, non atomo: la solidarietà, l’amicizia, l’amore, … L’affermazione del capitalismo è quindi la negazione di ciò che costituisce la peculiarità dell’uomo, il suo associarsi in società con regole che vanno al di là dei meri rapporti economici. Questa è la contraddizione principale! Di fatto il capitalismo si afferma nelle società in cui vengono meno quei valori per forza economica e potenza comunicativa, dove i vincoli famigliari, religiosi e tribali (se si vuole) sono estremamente affievoliti. Ma per ottenere ciò servono figure antropologiche che il capitalismo di per sé non può costruire senza negare se stesso: operai con coscienza professionale, giudici incorruttibili, dirigenti rigorosi, insegnanti preparati e dediti alla loro professione. Queste figure sono ereditate da generazioni e stratificazioni precedenti e stanno lì, sempre meno ma sempre vigili. Sono l’impedimento ancora esistente al pieno dispiegarsi del MERCATO.         

        Dice Michéa: 

Ora che sparisce dalla nostra vita, e presto dalla nostra memoria, comprendiamo un poco meglio ciò che il mondo moderno era realmente fino a poco tempo fa. Quello che configurava la sua complessità … era questa contraddizione permanente tra le regole universali del sistema capitalista ed il civismo proprio delle differenti società nelle quali si realizzava Era un mondo dove il modo di produzione capitalista era molto lontano dalla sua realizzazione pratica” 

esistevano gli anticorpi naturali in quelle figure antropologiche di cui prima che resistevano anche in modo completamente naturale e disorganizzato.         

        Dove intervenire allora per rendere sempre più penetrante l’ideale del MERCATO? E’ evidente, e qui riprendiamo da dove avevamo lasciato: sui giovani e quindi sulla SCUOLA.

Dal 1968 si materializza la possibilità dell’intervento destabilizzatore sulla scuola

        Non vi è dubbio che il 1968 fu un anno che vide tutto il mondo occidentale e non solo coinvolto in una critica radicale del potere. Allo stesso modo, non vi è dubbio che, da allora, questo potere è enormemente cresciuto nel mondo: molto nelle periferie del mondo e moltissimo al centro. Come ogni rappresentazione che non modifica gli scenari, l’insieme del movimento del 1968 può essere vista come un gigantesco spettacolo (si veda Guy Debord, Commentaires sur la société du spectacle, Gérard Lebovici, Paris 1988). Dopo la rappresentazione, ogni attore era cresciuto, ognuno di noi era soddisfatto per aver conquistato coscienza di sé e della violenza del potere. Ma il potere ha vinto e ci ha schiacciato riducendoci ad attori di seconda fila. E cosa è accaduto in questi ultimi 30 anni se non un aumento esponenziale di questo spettacolo, che ha invaso e pervaso tutto. Anche chi si oppone piace e di più se non “se entrega” tanto facilmente. Questo potere ha costruito anche il terrorismo. Esso preferisce essere giudicato così piuttosto per ciò che ha fatto o no. E’ molto facile convincere milioni di persone sulla cattiveria del terrorismo che è evidente; più difficile (ed infatti da ciò si sfugge) è convincere quei milioni di persone di alcune scelte politiche (non sono chiare, non sono evidenti, non sono spettacolari). Come in uno spettacolo  sparisce il tempo e, con esso, sparisce la storia. Ecco questo è l’avvenimento più importante e grave che è ci è accaduto. Senza la storia non abbiamo più riferimenti stabili e certi. Senza di essa si può giocare su di noi (non: con noi) in modo osceno. Quell’ultima difesa non c’è più o c’è solo per quei pochi che la coltivano per alimentare quell’opposizione senza la quale lo spettacolo non è attraente. Ogni uomo (Debord) assomiglia sempre più al suo tempo che a suo padre. La storia era anche maestra di logica e con la storia se n’è andata anche la logica. “La mancanza di logica, cioè la perdita della capacità di riconoscere istantaneamente ciò che è importante e ciò che non lo è o è fuori tema; ciò che è incompatibile o, al contrario, potrebbe essere complementare, tutto ciò che implica una data conseguenza e quello che la proibisce” (Debord) è caratteristica del nostro tempo perseguita con tenacia, a cominciare dalla scuola, fin dai piccoli bambini della  primaria.

La democratizzazione della scuola

        L’apertura a “tutti” della scuola, la cosiddetta democratizzazione dell’insegnamento, ha fatto del maestro il primo selezionatore inconscio. Lo ha reso responsabile del successo o insuccesso scolastico e di tutta la vita dei piccoli. E’ un sostegno o meno all’attività del bambino. Uno scuotere la testa o meno. Sono piccoli gesti che, nell’ambito di questa falsa democrazia, convincono i piccoli che l’insuccesso è colpa loro, che la struttura della scuola non c’entra e men che meno quella della società borghese. Il discorso dovrebbe essere rovesciato. La funzione della scuola, in ogni società è la trasmissione dell’ideologia della classe dominante. Le immagini che ci siamo costruiti nella scuola di famiglia, religione, lavoro, relazioni umane … non sono altro che la trasmissione di quella ideologia. L’idea di sapere come conquista di diploma è tipicamente borghese. Sparisce ogni velleità di sapere per cambiare il mondo. Così, nel momento in cui si capisce che la scuola è funzionale alla carriera di pochi, viene subito la conseguenza dell’inutilità che la maggioranza dà al sapere. Da qui l’insuccesso esteso sempre a un maggior numero di utenti. Mentre alcuni decenni fa le differenze di classe si riconoscevano immediatamente e ai meno abbienti non era neppure data l’illusione di un possibile cambio del loro stato sociale, oggi vi è una mescolanza di ceti e classi nella stessa scuola che dà l’illusione delle pari opportunità sulla base del merito individuale. E’ qui che subentra il maestro che inconsciamente, e aiutato da un apparato falso di scienze dell’educazione, le pseudoscienze, che è scienza della giustificazione, inizia ad indirizzare i piccoli convincendoli dei loro insuccessi come conseguenze dei meriti individuali.  Di fatto la conoscenza non serve al futuro lavoratore ed in tal senso il sistema di potere si è accorto che l’impresa scuola è assolutamente dispendiosa e basata su dati ipocriti. Fino a poco tempo addietro si tentava di ammantare gli insuccessi con giustificazioni. Oggi stanno sparendo anche le giustificazioni. Sono pochi quelli che ci interessano per mandare avanti il sistema: non serve mantenere un apparato elefantiaco, li possiamo estrarre con altri metodi da altre situazioni. La descolarizzazione è ciò che serve. Solo pochi che accedono all’istruzione per alimentare le esigenze produttive di tecnici ed operai specializzati; a tutti gli altri l’educazione necessaria sarà trasferita dai mass media che vuol dire, oggi, la TV e la pubblicità. Ed allora, in attesa di una selezione fatta altrove, la scuola funziona come contenitore sempre più vuoto. Chiacchiere prive di senso, che dovrebbero essere il contenitore (le pseudoscienze), diventano il contenuto. Si discute di come insegnare, di quali sono i caratteri, di come si trasferisce la comunicazione, di …. ma non si dice mai qual è l’argomento dell’insegnamento. Non serve più, essendo affidato ai singoli ed all’aiuto che ad essi danno famiglie oculate che hanno già capito e possono permettersi di scappare da questa omogeneizzazione verso la cialtroneria.         

        Uno degli aspetti più drammatici della società di consumatori che stiamo costruendo, si individua proprio nella scuola primaria. Oggi vi sono schiere intere di bambini e quindi adolescenti che non sanno leggere. Anche i libri si adattano e si allineano all’immagine. Fotografie, figure,….poco testo,…sempre meno. E l’invasione della TV teme sempre meno la reazione di chi non si è costruito anticorpi. Come si può reagire e capire se non si sa leggere? Se leggere è faticoso? Se abbiamo  educato i giovanetti alla pigrizia mentale, al seguire immagini senza codici di decodifica che si conquisterebbero con una fatica che, con l’alibi dei maestri supportati dalle famiglie, non si è disposti ad affrontare. E la prima selezione avviene proprio in questa nefasta consequenzialità: si lavora “senza far faticare” i piccoli; non li si impegna a dovere in quel lavoro faticoso che è concentrarsi per ore nell’imparare a leggere ed a scrivere in modo che il tutto divenga una sorta di automatismo; si ha il “pregiudizio” di una famiglia che comunque sta dietro ed aiuterà; è un pregiudizio elitario ma è onnipresente; coloro che non hanno questo sostegno in casa sono coloro che si avviano all’insuccesso; costoro avranno oggettivato che è per loro demerito individuale e non perché vi è tutta una struttura che lavora con la complicità delle pseudoscienze a tal fine. Vi è inoltre qualcosa di più sottile: coloro che non leggono, che non si applicano faticosamente in lettura e comprensione per molto tempo, sono coloro che con maggiore difficoltà conseguiranno la fase astratta del pensiero, quella che permette di discutere al di là di fatti contingenti e di capire e concatenare concetti. L’operazione selettiva che sembra asettica è costruita. E’ uno sbarazzarsi  precoce di molti possibili cittadini in grado di essere antagonisti o comunque non facilmente manovrabili. Ed oggi più che masse di lavoratori che devono essere preparati a lavori specializzati, servono masse di consumatori. Ed a questi ultimi serve molto poco una formazione complessiva, analitica e critica.         

        Sul fatto che la scuola di massa non sia significata nulla in termini di emancipazione dei ceti meno abbienti risulta dimostrato dal fatto che, dai primi anni ’70, non è cambiato nulla in termini di elevazione della cultura popolare, in termini di comprensione dei messaggi ormai neppure nascosti della televisione e della pubblicità, soprattutto in termini di riduzione delle disparità tra ricchi e poveri. Invece tale scuola ha prodotto una caduta del pensiero critico, la caduta dei livelli intellettuali del Paese. Il tutto parrebbe indicarci la strada dell’affermazione dell’identità tra scuola di massa ed ignoranza. Non è così ma è certo che QUESTA scuola di massa è stata costruita con le finalità che ha raggiunto.

Livello secondario

        I ragazzi, passati per otto anni di scuola dell’obbligo, oggi, arrivano alla scuola secondaria. Vi arrivano perché devono arrivarvi. Perché, in tale sistema di potere, risulterebbe non popolare e non conveniente ai partiti populisti che governano il Paese, sbarazzarsi degli “ingombri” scolastici da subito. Ciò avviene per la cattiva coscienza di costoro che hanno mascherato una scuola di classe in una scuola democratica. Con le espulsioni di studenti sarebbe fin troppo chiaro CHI è espulso. Conviene lavorare ipocritamente mantenendo tutti dentro ma sapendo, ciascun operatore oculato della scuola lo sa, come stanno le cose. E già che sono dentro e costano, conviene prepararli per essere utilizzati a fini di mercato.         

        Questi ragazzi arrivano a questa scuola senza saper leggere. Questo è il problema principale. Non sanno leggere e quindi non comprendono. Il loro vocabolario è ristrettissimo (ecco che ritorna la scuola di elite, quella che si appoggia su famiglie che possono aiutare i loro figli o che comunque possiedono quel vocabolario ricco). Spesso si fanno delle lezioni utilizzando un ordinario “dizionario” di vocaboli correnti. Il più delle volte, mancando la comprensione delle parole chiave, crolla la comprensione del contesto e del nocciolo di ogni discorso. Per rendersene conto, appuntarsi ogni parola non d’uso calcistico o musicale, e chiedere alla fine di una lezione cosa essa vuol dire. Si scoprirà un mondo di ignoranza su cose elementari. Inizia così un doppio binario di insegnante che parla un gramelot incomprensibile ai ragazzi e questi che utilizzano una specie di linguaggio che sempre più ci riporta al grugnito.         

        Le implicazioni sono ancora maggiori quando si passa a volere esplicitare concetti che hanno bisogno di una discreta formalizzazione. La formalizzazione è uno dei massimi momenti astrattivi, quello in cui occorre, dietro una formula, vedere un concetto, un fatto, una legge. Su cosa ci si può appigliare per rendere questo digeribile. Vi assicuro che a nulla! Questa parte sfugge completamente anche perché ha perso tutti i sostegni che le erano funzionali. Si sono perse quelle cose faticose di cui dicevo e che sono l’analisi logica e quella grammaticale. La sintassi del periodo è ordine e come ogni cosa richiedente ordine, richiede lavoro, fatica. E come ogni fatica va respinta dalla scuola pseudodemocratica in tutte le sue componenti. Ed allora si trovano nella scuola accoppiati in parallelo insuccessi in ogni disciplina che richieda quella fatica di cui dicevo. Oggi si ovvia a tutto con le materie opzionali, con quelle facoltative, con i recuperi. Insomma con una montagna di cortine fumogene che permettono di sfuggire al problema centrale che un vero democratico non può trascurare: la scuola per tutti, la scuola di massa sostenuta da un forte apparato di borse di studio, di tempo pieno e di sostegni scolastici, richiede agli utenti lavoro e quindi fatica. Non ho problemi a far selezioni sulla fatica piuttosto che farmi selezionare per l’efficienza ad un progetto politico borghese.         

        Ritorniamo alla formalizzazione ed alla sua comprensione. Tutti avrete notato una grande predilezione in Italia per sbocchi universitari in materie umanistiche e giuridiche. Ebbene, data la situazione di partenza, tali scelte non sono dettate da interessi dimostrabili, ma solo da impossibilità di scegliere liberamente. Una persona è libera in questa scelta solo quando possiede TUTTI gli strumenti di comprensione che gli permettano di discriminare tra le possibili scelte. Ciò non è dato, ed io dico perché si è fuggiti dalla fatica e si è andati sui pozzi italiani di ignoranza che sono quelli di presunzione con i latinorum(citazioni regolarmente sbagliate dagli avvocaticchi al potere). Eh si! Ancora 30 anni fa si facevano traduzioni di greco e latino a livelli notevolissimi di complessità. Oggi si lavora con quello che una volta era il peccato: il traduttore! Ed allora si assiste a laureati in filosofia che non conoscono Cartesio (nel LORO piano di studi non c’era!), a laureati in lettere che hanno un solo esame di italiano, a laureati in lingue che non parlano neppure una lingua (ma che in compenso conoscono la letteratura straniera). E poiché parlo di tutte lauree che al massimo possono portare a lavorare nel settore terziario, è evidente che cresce la disoccupazione intellettuale (?) e cresce la pressione proprio sulla scuola che è ancora un bacino di un qualche rifugio occupazionale. Ma qui si innesta il processo di cattiva trasmissione della cultura. Con insegnanti sempre meno preparati non può accadere altro che una dequalificazione sempre maggiore della scuola. E la scuola, con una tale pressione intorno, non può far altro che svalutare i professionisti di una volta, pagare poco gli occupati con l’ulteriore dequalificazione che nasce da un lavoro rifiutato ormai dai più bravi in ogni disciplina universitaria.         

        Ancora sulla formalizzazione. Il nostro è un Paese che ha la fortuna di avere una importante scuola scientifica. Ma la calamità di avere una classe politica assolutamente ignorante, cialtrona e miope in argomento. Noi cacciamo dal nostro Paese menti che ci farebbero crescere, che ci darebbero brevetti in grado di portare denaro, che ci permetterebbero di risparmiarlo nell’acquisto di essi all’estero. L’impresa scientifica non si gode quasi mai a breve termine. I tempi sono almeno medi. Occorre programmare per avere dei raccolti, del feed-back, del fall-out. Chi è eletto oggi deve avere risultati domani per poterli presentare dopodomani. Non rischia in imprese ad ampio raggio, con respiro. E così nessuno guarda alla ricchezza che abbiamo e che regaliamo allo sfruttamento di altri Paesi. Come sarebbe possibile tentare di fermare in qualche modo questa nefasta prassi? Occorrerebbe che i cittadini sapessero di cosa si tratta, conoscessero il problema. Ma non lo conoscono perché la scuola questa parte non la trasmette (e la TV ed altri mezzi di comunicazione si occupano solo degli aspetti oscuri, magici dell’ignoto che, per uno scienziato, è ben altro, è ciò che occorre studiare). Ed allora abbiamo dei concittadini da utilizzare utilmente come carne da voto su cose di cui non sanno nulla. Eppure questi cittadini sono chiamati a dire la loro sull’energia nucleare. E dicono si o no a seconda di ciò che la scuola ha loro insegnato. Nessuno pensi all’insegnamento della fisica nucleare che non c’è. Mi riferisco a quanto dicevo all’inizio: egoismo e calcolo. Ognuno pensa alparticulare di una emozione, di una paura e non penserà mai alle cose come sono nella realtà e non nell’immaginario collettivo. La scuola non fornisce niente di formalizzazione, di matematica, di fisica, di scienze. E’ la parte più ardua che, ribaltando opportunamente le opzioni nella scuola, occorrerebbe sistemare tra le cose che scelgono ragazzi e famiglie.         

        Una ultima cosa sulle discipline scientifiche. Si tratta di quelle discipline che permetterebbero un maggiore avvicinamento alla comprensione del mondo circostante, soprattutto all’interno di questa società basata sulla tecnologia. Non a caso sono le discipline che hanno meno spazio dovunque. Sono paradigmatiche della scuola che deve andare su strade di non fatica e di successo garantito a discapito di ogni seria preparazione. Vi è in più il fatto che, mediante tali discipline è possibile aiutare il processo di conquista della fase del pensiero astratto, cosa che, come dicevamo, non è di interesse per dei consumatori, per cittadini rassegnati e desiderosi solo di trovare gratificazione per il loro tempo libero.

L’insegnamento in generale e le pseudoscienze

        Già ho accennato al cattivo processo di trasmissione della cultura, alla mancanza di incentivi che allontana i migliori dall’insegnamento, all’affollarsi di una immensa maggioranza di aspiranti su discipline umanistiche e giuridiche, al premere anche in modo disordinato che, in Italia, diventa clientelare, con leggi ad hoc, la gran parte delle volte sbagliate e comunque finalizzate al divide et impera. Dico questo perché ormai da anni non vedo più nella scuola la tensione di colui che fa il mestiere dell’insegnante ma solo di colui che ha conquistato e tenta di difendere il suo posto di lavoro. Ciò è certamente legittimo ma la scuola è impresa collettiva che non può crescere democraticamente in compartimenti stagni. Si vivono frustrazioni enormi ad operare in una scuola (secondaria) in cui si è diventati ostaggi in  mano delle pseudoscienze. 

        La scuola secondaria è stata violentemente destrutturata da interventi esterni di persone che non la conoscevano, di persone che avevano una preparazione ad altro livello scolare ed hanno creduto di poter imporre stessi metodi ad ogni età scolare, da parvenu che hanno letto di scuole anglosassoni ed hanno tentato acriticamente di importare i loro metodi (con l’aggravante che tali esperti, che non hanno mai operato sul campo di una scuola secondaria, non si rendevano conto che quei metodi che scopiazzavano ed importavano erano fortemente contestati dagli operatori dei Paesi d’origine). E qui l’operazione più ottusa, quella che era tronfia di prosopopea, quella che si serviva di presunti esperti in pseudoscienze,… una tale operazione è stata fatta dall’ultimo governo progressista del Paese.

        Si è raccolto il peggio dell’eredità cattolica, si è mescolato con il peggio delle cose orecchiate negli USA (Rogers, senza aver capito di cosa si trattasse), si sono messe su commissioni in cui si mescolavano tutte le scuole (?) di pensiero, ….., si è originato un mostro che non correggeva la visione idealistica della scuola, falsamente democratizzata. Questo mostro lavora con programmazioni per gruppi di materie, per classe e per corso, con tabelle, diagrammi di flusso, obiettivi generali e specifici, capacità, abilità, valutazioni oggettive, di gruppo, individuali e d’istituto, autovalutazioni, griglie, schemi ed offerte formative, recuperi che non recuperano nulla, …Insomma si è costruita una scuola di carte, di relazioni, di sciocchezze autoreferenziali che suonano anche offensive. Se si deve valutare occorre fissare tutti gli obiettivi, specificandoli in tutte le loro articolazioni. Occorre preparare una prova da somministrare. Occorre assegnare i pesi ad ogni parte della soluzione del ragazzo. Per evitare imbrogli da parte dell’insegnante, egli deve preparare PRIMA  (per iscritto) la soluzione. Quindi deve correggere pesando tutto ed assegnando un punteggio. L’insegnante con una fatica micidiale deve fare questa correzione analitica. Così procedendo non vi sarebbe  alunno in salvo. Tutti bocciati, senza possibilità alcuna di un qualche aggiustamento. Allora il solito pseudoscienziato ti spiega che qui si tratta di fare questa operazione solo per lavorare di più. I ragazzi alla fine vanno valutati con la classica valutazione globale. Sono solo degli esempi ma assolutamente descrittivi di un lavoro che ha perso di vista la disciplina. Non c’è più. Gli psicopedagoghi (che funzionano come autoreferenziali, un qualcosa di inutile che serve solo perché qualcuno permette loro di dire sciocchezze che poi verranno negate e sistemate dallo psicologo che dovrà poi convincere il docimologo che…..) non sanno cosa sono le discipline ed a loro sfugge il loro insegnamento. Fabbricano cornici barocche e rococò e non sanno mai cosa metterci dentro. E, nello svuotare i piani di studio, non solo della loro parte teorica, ma anche pratica, gli architetti di questa scuola hanno privato i ragazzi di un lavoro che rappresentava una sfida, una possibile strada che li avviasse alla fatica, all’indispensabile dialettica mani-cervello. E questo perché a questa società le cose serve che vadano così. In fondo sono questi pseudoscienziati che poi sono negli uffici delle varie imprese che devono assumere. Il parere di uno psicologo, proveniente da una laurea in lettere, si sostituisce ad una valutazione scolastica che ormai è sparita dietro le nebbie delle riforme cartacee. E’ per questo che vi è l’inflazione dei voti altissimi, tanto non contano nulla.

        Si può dire che la fase progressista ha rappresentato solo una burocrazia dell’educazione molto poco immaginativa

        Gli standard dell’insegnamento decadono, le vittime dell’insegnamento reso ridicolo cominciano ad essere d’accordo con gli esperti sul fatto che sono loro che hanno poche capacità mentre gli insegnanti si lamentano del deserto che sono diventati gli alunni.

La scuola del mercato

        Ed ora ritorno da dove ero partito osservando che la richiesta di democrazia nella scuola e che il mettere la scuola al passo con i tempi, in contatto con il mondo esterno, con la società, voleva solo dire la scuola della completa realizzazione del mercato, la scuola in cui si dovevano mescolare le acque dando una impressione di democrazia, nascondendo dietro di essa lo stravolgimento stesso del concetto, ammazzando la scuola pubblica in quanto probabile dispensatrice di sapere che, nella realtà, non serve a chi, nella maggioranza dei casi, deve essere solo un consumatore ed in nessun caso dotato di capacità analitiche e critiche. L’ignoranza avanza quindi a passi da gigante ed è sufficiente guardarsi intorno per rendersi conto di questa affermazione. E’ in pieno movimento una nuova guerra economica globale: conquistati tutti i mercati per l’implosione dell’URSS, ora l’impero deve modellare i consumatori. Nel 1995, la fondazione Gorbacev, riunitasi a San Francisco, concludeva dopo un seminario efficientissimo, che nei prossimi anni un solo quinto dell’umanità era in grado di mantenere in moto l’intera economia globale, a patto che gli altri quattro quinti si convertissero in consumatori poco esigenti, acritici. Ecco quindi che viene fuori in modo clamoroso e con estrema chiarezza l’eccedenza umana ai fini liberali. E la marcia funebre fu suonata da Z. Brzezinski (uno degli uomini più potenti del mondo, uno dei rappresentanti del MERCATO): si tratta di preparare un miscuglio di sostanze (alimenti e intrattenimento volgare, panem et circenses, insomma) da somministrare a questa eccedenza frustrata in modo da mantenerla di buon umore. Alla luce di questo si rifletta su come i padroni del mondo intendano la scuola e le riforme della scuola nei Paesi liberali. Da una parte occorre mantenere i livelli di eccellenza per pochi, per quegli scienziati, tecnici, gestori che sono indispensabili allo sviluppo della produzione e degli armamenti (che garantiscono il controllo). Questi personaggi super preparati non sono altro che quelli che una volta erano sfornati da una scuola pubblica tradizionale. Non serve infatti una rigida preparazione disciplinare, infatti essa, in ambito tecnico scientifico, ha corta vita media; serve invece un sapere utilitario, che si sia in grado di muoversi agilmente nei formalismi informatici e di riciclarsi rapidamente, anche al di fuori di un luogo fisico, anche in casa, in corsi speciali che la scuola non fornisce più. Se si osserva con attenzione ci si rende conto che sta sviluppandosi sempre più l’istruzione on-line. Pochi specialisti spiegano alla moltitudine (ritenuta adeguata) i processi ed i sistemi. Gli insegnanti tendono a divenire obsoleti, quindi licenziabili, con la conseguenza che i grandi risparmi nei salari di questi saranno investiti in luoghi più redditizi per le multinazionali globali. Non sono voli in avanti: si tratta di ciò che stiamo vedendo e che con brutalità e ci offre giorno dopo giorno il gaffeur al potere in Italia. Naturalmente nel perseguire questi fini occorrerà tenere ben presenti coloro che sono esclusi da tale processo. Ed in questo aiuta bene la soluzione prospettata da Brzezinski, del far mangiare  e divertire la massa eccedente (il panem et circenses di cui prima), con il possente aiuto della scuola pubblica “falsamente democratizzata, del giustificazionismo dell’insuccesso (le pseudoscienze) e della TV che “educa” rapidamente ed a basso costo il consumatore del mercato. In questo scenario gli insegnanti dovranno cambiare radicalmente il loro modo di operare, così come loro diranno gli pseudoscienziati, in modo da arrivare alla “dissoluzione della logica” (Debord)  nei fruitori della scuola pubblica. Come con la fabbricazione dei terroristi, che è impresa molto più semplice del fabbricare consenso alle azioni in positivo di un determinato governo, anche qui è estremamente più semplice fabbricare il consumatore nella società dello spettacolo che non il cittadino cosciente, critico ed in possesso di capacità logiche. Gli insegnanti dovranno lasciar perdere i loro saperi disciplinari; si dovranno adattare alla coordinazione di dibattiti (secondo i modelli TV), alla trasversalità, alla cultura dei valori, alla animazione ed anche ai sostegni psicologici. La scuola diventerà uno spazio divertente ed allegro, un luogo dove incontrarsi e dibattere con l’appoggio strenuo dei genitori che “vogliono partecipare”. Un luogo in  cui presto sarà indispensabile il metal detector.

La riforme scolastiche,  la “sinistra” ed i giovani

        La scuola di riferimento a cui si sono ispirati tutti i riformatori europei negli ultimi 30 anni è quella americana. L’operazione è stata acritica, senza tener presenti tutte le critiche anche pesanti che su di essa erano state mosse dagli stessi americani. Gli USA sono il Paese che ha oltre 60 milioni di semianalfabeti, un quarto della popolazione! Ed è il Paese più ricco e potente del mondo, è quello che si chiama il Paese egemone, la capitale dell’Impero. E questo gigantesco deposito di eccellenti consumatori discende dai piani di studio del tipo look and say.

        I nostri riformatori credevano di poter fare una scuola libera e democratica, ma facevano la scuola funzionale al sistema liberale, al sistema del mercato globalizzato. Solo più recentemente le riforme sono state mirate più ad un ambito europeo, ma sempre con lo spirito che si è abbondantemente discusso e questa volta ben chiaro. Si è così passati dalla ingenuità libertaria derivata dal 1968 al cinismo liberale al quale, in Italia, ha fortemente contribuito il prof. Bruno Vertecchi dalla vertente delle pseudoscienze. E mentre vi sono forze che spingono per accelerare il processo descolarizzante, paradossalmente è la destra conservatrice cattolica quella che frena, volendo legare l’educazione ai valori tradizionali, eccetera, eccetera. E’ la destra che “venera il mercato  ma maledice la cultura che esso implica” (Russel Jacoby). La sinistra o ciò che resta di essa in Occidente, autodefinendosi progressista ha aperto le braccia al nuovo che avanza e che, in definitiva, è la cultura del mercato con la sua concezione della scuola. Questi progressisti hanno paura di “proibire” (accompagnati dalla gran parte delle famiglie, che la scelgono per questo e non in quanto propositiva di qualcosa), anche quando l’oggetto della proibizione è oggettivamente pericoloso o sbagliato. Si tratta solo di riflettere ancora una volta sul ruolo della “sinistra”, quella che ha il compito storico di far digerire ai ceti meno abbienti le riforme più antipopolari. Naturalmente il tutto sarà rivestito da aggettivi come “popolare”, egualitario”, “non selettivo”, “democratico”, … una serie di aggettivi che continuano a ipnotizzare i militanti più ottusi dei vari apparati, che non aiutano mai a ridiscutere i termini di fondo dei problemi.

        C’è comunque da osservare che le cose non sono così lineari e, per quanto vi sia profuso ogni impegno, la scuola pubblica ha ancora, nonostante molte cose assurde e deleterie, ampi spazi in cui non è entrato il mondo liberale, quello del mercato. E’ ancora l’unico luogo, all’interno della società che ci circonda, in cui si possono trasmettere conoscenze e valori tali da rendere il mondo non completamente invivibile. E’ il luogo dove l’insegnante che è ancora così ritardato da non aver ceduto le armi, soffre e fa la persona del tempo passato, la persona di spettacolo, quella che la si vede come il panda del WWF. Il processo di degenerazione avanza a tappe forzate e, o si interviene subito come sia, o il destino della scuola è segnato nel senso dei commenti precedenti.

        Ad intervalli regolari i giovani che frequentano la scuola secondaria protestano. La scuola non va bene. Molti hanno una vera insoddisfazione, anche se non sono chiari i termini di tale insoddisfazione. Una scuola più “democratica”? Una scuola più selettiva?…cosa chiedono? La sinistra accetta queste lotte perché liberatorie e da non proibire. In fondo, dai contestatori, loro tireranno sempre fuori un solerte funzionario. Accetta queste lotte che la spingono a fare di più quella scuola che i ragazzi non vogliono ma non sanno di non volere. Oppure deve farsi strada una visione molto più pessimista che vuole i ragazzi già completamente conquistati al mercato, e quindi richiedono alla scuola “prestazioni” più adeguate al divertimento, alla non fatica, alla soddisfazione di ogni voglia, di ogni necessità esistenziale. In fondo è ciò che il mondo dirompente, rivoluzionario e libertario del rock gli ha insegnato. La protesta li fa liberi ma esercito di automi tutti uguali, incapaci di riprendersi quella cosa che la scuola modestamente dava: la costruzione di una logica. E’ lo spettacolo in tute le sue forme che educa oggi. E non esiste concorrenza possibile da parte della scuola che, tra l’altro, fa del tutto per avere anche luoghi fatiscenti, bui, scomodi, obsoleti (e qualche volta pericolanti ed assassini). Niente luci, sfavillii, successo, mondanità, soldi, bellezza corporea,…. solo quella fatica che occorre ricondurre a festa, a chiacchiera, a divertimento. E’ preferibile un mondo orwelliano, con tanti fratelli piccoli o grandi che siano, ma in grado di immetterci in mondi fantastici che si ottengono, male che vada, con uso di droghe che sono l’estremo rimedio utilizzato dall’organizzazione del consenso per ricondurre alla “ragione” i ribelli.

        Sembra ai più pessimisti (io lo sono) che ormai il mondo è irreversibilmente in mano del mercato. Ad esso aspirano anche masse sempre più grandi di persone e soprattutto di giovani dei più svariati Paesi e culture del mondo. Come fermare il tutto ? Come fermare la distruzione ambientale che va di pari passo con quella delle coscienze?    

        Michéa chiude il suo illuminante saggio con la citazione di Jaime Semprún (L’abîme se repeuple, Encyclopédie des nuisances, Parìs 1997):

Quando il cittadino-ecologista pretende di porsi il problema più fastidioso e si chiede «Che mondo lasceremo ai nostri figli?», evita di porsi un’altra domanda, realmente inquietante «A che figli lasceremo questo mondo?»“. 

        Persone più brave ed ottimiste di me risponderanno ed agiranno per non dare risposte demoralizzatrici alle domande che si poneva Semprún.
(novembre 2011)