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Gli intellettuali Usa si ribellano all’intolleranza

di Michele Marsonet.

Finalmente molti intellettuali americani e inglesi si sono apertamente ribellati alla dittatura del “politically correct”. La rivista “Harper’s Magazine” ha infatti pubblicato un manifesto firmato da nomi prestigiosi e di tutte le tendenze politiche. Progressisti e conservatori si sono uniti per cercare di contrastare un fenomeno che negli Stati Uniti e in Inghilterra ha assunto dimensioni di massa, e giudicato dai firmatari pericoloso per le sorti della stessa democrazia.
Il problema di fondo è noto. E’ lecito che qualcuno si veda censurare un articolo solo per il fatto di aver espresso opinioni discordanti da quelle dei talebani del “politically correct”? Può una rivista licenziare un collaboratore che osa mettere in dubbio il “pensiero unico” che si va diffondendo sempre più? E si può consentire a un ateneo la messa al bando di grandi personaggi del passato che hanno contribuito alla sua fondazione?
Se parlassimo di Cina, Russia o Iran la risposta sarebbe implicita. In quei contesti sono le autorità governative a decidere cosa è corretto e cosa non lo è. Il dissenso degli intellettuali, ma anche dei comuni cittadini, non è ammesso e, al contrario, viene represso con durezza a volte estrema. Basti ricordare il caso di Hong Kong per rendersene conto. C’è una Verità di regime che i capi del partito al potere impongono senza remore per impedire che nella società civile si sviluppi il libero dibattito.
Ora molti rappresentanti del mondo culturale e accademico anglo-americano hanno deciso che la misura è colma, e che occorre fare qualcosa per impedire che Usa e Regno Unito diventino pericolosamente simili ai tanti regimi tirannici e autoritari che prosperano – purtroppo – nel mondo.
Superando le differenze politiche, anche grandi, che li dividono, questi intellettuali hanno ritenuto opportuno parlare con voce unica per ribadire che la diversità d’opinione è sacrosanta e va difesa in ogni caso, anche quando non si concorda con quanto dice e scrive un collega. E’ una presa di posizione che rammenta da vicino Voltaire, assai caustico con gli avversari, ma sempre pronto a difendere la loro libertà di parola,
Per ricordare a quale livello di intolleranza siamo giunti, è opportuno osservare che tra i firmatari figura persino Noam Chomsky, celebre linguista e filosofo considerato – a ragione – un “guru” della sinistra radicale americana. Innumerevoli le sue forti prese di posizione contro l’establishment conservatore Usa, non ultimo Donald Trump. Eppure anche Chomsky, uno dei simboli della contestazione studentesca degli ultimi decenni, ha firmato ed è sceso in campo per spezzare una lancia in favore della libertà di opinione e di parola.
Con lui femministe storiche come Margaret Atwood e Gloria Steinem, intellettuali conservatori come Francis Fukuyama, romanzieri colpiti dall’anatema degli ayatollah iraniani come Salman Rushdie. Ma anche l’autrice della saga di Harry Potter J.K. Rowling, messa in croce per aver detto che la distinzione tra uomo e donna appartiene alla natura, è non è un’invenzione culturale delle élite al potere.
Un altro dei firmatari, il saggista anglo-olandese Ian Buruma, licenziato dalla “New York Review of Books” per aver pubblicato un saggio non in linea con le opinioni correnti, ha notato a questo proposito che “l’aria si è fatta irrespirabile”. O si trova il modo di porre termine a questa incredibile ondata di intolleranza (e di violenza), oppure le nazioni culla del liberalismo sono destinate in breve tempo a diventare dei Paesi autoritari.
Si attende ora di capire fino a che punto il manifesto sarà efficace, e se le tante autorità accademiche e giornalistiche che hanno ceduto senza combattere ai nuovi talebani avranno dei ripensamenti. Rammentando che la tolleranza nei confronti delle opinioni altrui rappresenta il vero baluardo della democrazia liberale.