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Gli Usa rinnegano i padri della patria

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di Michele Marsonet.

Negli Stati Uniti la ribellione del “politically correct” a senso unico sta colpendo monumenti e simboli in modi sempre più violenti. Si ricorderà il “maccartismo”, l’ondata di inchieste scatenata negli anni ’50 del secolo scorso contro simpatizzanti comunisti – veri o presunti – dal senatore Joseph McCarthy.
Ci andarono di mezzo pure artisti, registi e attori celebri. Uno degli esempi più eclatanti fu Charlie Chaplin, accusato di attività anti-americane e che a un certo punto decise di stabilirsi in Europa senza più fare ritorno negli Usa. Furono coinvolti anche nomi del calibro di Humphrey Bogart John Huston e Orson Welles, nessuno dei quali, tuttavia, patì conseguenze gravi.
Si era allora in piena Guerra Fredda, con l’Unione Sovietica che contendeva agli Stati Uniti il titolo di prima potenza mondiale non solo nel senso militare del termine, ma anche in quello ideologico e culturale. Il maccartismo fu chiaramente un fenomeno di destra ma ebbe vita breve, e il suo stesso fondatore fece una fine ingloriosa. In quel caso fu il pluralismo della società americana a produrre gli anticorpi necessari.
Di sinistra può invece essere classificato il movimento del “politically correct” che ora sta devastando, fisicamente e culturalmente, il Paese. Si tratta però di una sinistra quanto mai confusa, che si muove in base a slogan preconfezionati e che pare non avere alcuna coscienza della complessità della storia umana. E, spiace dirlo, gli anticorpi finora non si vedono. C’è solo l’opposizione decisa di Donald Trump, e una notevole ambiguità in materia da parte del Partito Democratico.
Ciò che soprattutto colpisce è la violenza verbale (e non solo) contro figure simbolo del progressismo americano. Numerose le minacce contro i monumenti di Abraham Lincoln, il presidente che dichiarò guerra – vincendola – agli Stati del Sud per abolire la schiavitù, e che fu poi assassinato da un fanatico sudista pochi giorni dopo la resa dell’Esercito Confederato. Sono numerose, purtroppo, le proposte di abbattere il celebre Lincoln Memorial a Washington.
Altrettanto sorprendente è la campagna contro Woodrow Wilson, democratico e 28° presidente Usa, del quale nessuno – almeno finora – aveva osato mettere in dubbio il progressismo. Sua fu la decisione di impegnare, battendo gli isolazionisti, l’esercito americano nella Prima Guerra Mondiale, decisione che permise agli Alleati di sconfiggere l’Impero tedesco e quello austro-ungarico.
A lui si deve anche la fondazione, nel 1919, della Società delle Nazioni, prima organizzazione intergovernativa mondiale che è l’antenata dell’attuale ONU. Accusato anch’egli di essere razzista, si è visto cancellare il nome dai college della prestigiosa Università di Princeton, ateneo di cui fu rettore per molti anni. Il rettore attuale ha annunciato che farà scomparire il nome di Wilson da ogni istituzione dell’università.
Quasi tutti i “padri della patria”, insomma sembrano condannati all’oblio e alla condanna permanente, e bisogna capire quali saranno gli effetti di tali provvedimenti sui libri di storia e sulle future generazioni. Per ora sappiamo che non sarà più possibile vedere “Via col vento”, pellicola che a dispetto dei suoi detrattori continua a riscuotere grande successo. E che non potremo più vedere, al Museo di Storia Naturale di New York, la statua equestre di Theodore Roosevelt, resa celebre da Robin Williams nel film “Una notte al museo”.
I talebani del “politically correct”, che nessuno finora è stato in grado di fermare, pretendono di riscrivere la storia rivendicando una purezza mai esistita e procedendo a una “sanificazione” che ricorda quella praticata contro il coronavirus. Ma la storia, come si diceva dianzi, è molto complicata e forse sarà in grado di prendersi la sua rivincita in tempi brevi.