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Giornata della memoria 2019: riflessioni mediatiche e ontologiche “sulla natura del Male”.

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Scrivo questo pezzo perché ieri, sfogliando alcuni giornali italiani, ho letteralmente provato ribrezzo. Nello specifico a farmi provare ribrezzo è stato il sito Dagospia che, riportando uno scritto di un altro giornale italiano, “Il giorno”, strillava urbi et orbi, alla stregua di un bambinello finalmente illuminato sulla via della conoscenza, a proposito del drammatico momento in cui morì Klara Hitler, già Klara Pözl. Naturalmente, in pieno stile Daily.mail, tabloid britannico online dal quale il sito di D’Agostino riprende tantissimi dei suoi articoli (rigorosamente alcuni giorni dopo), Dagospia strillava perché stava dando man forte alla solita marchetta editoriale al tomo patinato straniero, la cui esegesi veniva fatta dal giornalista de “Il giorno”. Il ribrezzo mi era dunque procurato da questo misero status-quo di background, ma anche dalle epidermiche considerazioni che si leggevano in quel pezzo, le quali mi davano ulteriore dimostrazione di cosa sia oggi giorno il giornalismo italiano, l’intellettualismo in Italia.

Conosco molto bene le dinamiche del Terzo Reich, e il secondo volume di “Sulla natura del male” uscirà spero già quest’anno. Tuttavia, non mi sono mai avvicinata a questo universo per “strillare” sull’ovvio nazionalsocialista come fanno i giornaletti italiani. Il mio primo viaggio nell’inferno nazista è stato determinato da due fattori essenziali: confutare uno statement filosofico come quello arendtiano che, a mio avviso, faceva e fa acqua da tutte le parti, e poi per colmare una non-conoscenza che avevo. Oggi come oggi, l’unico motivo che ho per pubblicare una seconda parte di quel lavoro è l’accorgermi che la discussione sul problema della “natura del male” è lungi dall’essere terminata. Insomma, benché ancora adesso sottoscriva tutte le considerazioni logiche che feci in quel primo volume, mi rendo conto che c’è ancora tanto da dire.

Tanto da dire per soddisfare le mie necessità intellettuali, s’intende, non tanto da dire per gridare ovvietà storiche, come l’importanza che ebbe la morte della madre nello sviluppo del destino del giovane Hitler, fattoidi minimali che dovrebbe conoscere ogni ragazzino delle medie! Confesso però che quel “ribrezzo” che ho provato ieri, me lo ha procurato anche la constatazione di quanta sciatteria e quanta “indifferenza” ci sia nell’avvicinarsi al fenomeno del nazionalsocialismo e conseguentemente alla questione dell’Olocausto. In generale, i giornaletti italiani, ma anche le tv, e più o meno tutti, se ne occupano a date scadenze: a gennaio, quando si avvicina “Il giorno della memoria”, oppure quando c’è qualche episodio di razzismo antisemita da cavalcare, e di tanto in tanto quando debbono riempire una pagina di giornale o debbono tenere un discorso scialbo, grondante di retorica tanto da far vomitare. In realtà di cosa è stato il Terzo Reich non sanno nulla, e a “grondare” è soprattutto l’ignoranza.

Dico questo perché, come ho scritto spesso, se dovessi descrivere il mio viaggio del 2018, ma anche quello che continua quest’anno, in compagnia dei criminali nazionalsocialisti, lo descriverei in molti modi fuorché come una occasione retorica e mediatica. Quel mio particolare studio infatti è stato un percorso che mi è costato davvero tanto emozionalmente, che mi ha procurato estremo dolore nell’anima. E poi mi è costato ancora di più dopo quando, a un certo punto mi sono resa conto che per me era “necessario” proseguire perché tutte quelle esistenze di cui avevo saputo mi mancavano. Mi mancavano le loro drammatiche esperienze di vita intorno a me, mi mancava la lezione didattica che avevano saputo impartire, mi mancava l’anelito filosofico che ispiravano.

Benché io resti convinta che gli “Olocausti” nella storia dell’uomo siano stati tanti, e tutti quanti dovrebbero essere ricordati nel “Giorno della memoria”, è indubbio che quello azionato dal Terzo Reich, quello azionato dagli Himmler, dagli Heydrich, dagli Eichmann, abbia connotazioni straordinarie che, come pochi altri momenti della nostra storia umana, ispirano riflessione. Una riflessione ontologica importante sulla nostra vera natura, sulle usate domande “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Cosa stiamo facendo qui?”. Anche per queste ragioni non posso che provare “ribrezzo” davanti alle marchette editoriali che riguardano questi argomenti e che paradossalmente, nella loro mancanza di incisiva investigazione, rivelano il vero scopo di questi lavori: vendere qualche pagina in più, avere qualche “clik” in più! Ma a ben guardare, questo status-quo intellettualistico è la costante in questi anni mediaticamente criminali, in questi anni in cui non riusciamo a produrre nulla che “adrianate” in tv, fiction ridicolissime, documentari scientifici ridotti a trasformarsi in barzellette analogiche onde permettere a coloro che li “spiegano” di comprenderli, programmi di qualsiasi specie e natura, anche quando si dicono programmi di “Storia”, che stanno alle interrogazioni ontologiche come una cacca di elefante davanti a una abbuffata di eburnea e candida panna montata.

“La Storia insegna ma non ha scolari” diceva Gramsci. È vero! Il problema principale di questi tempi mercenari è dato però dal fatto che ad impedire queste lezioni non è tanto la mancanza di scolari quanto la mancanza di quei maestri che dovrebbero permettere alla Storia di spiegarsi al meglio. Ne deriva che se dovessi dare un consiglio ai ragazzi che vogliono saperne di più su questi argomenti, il mio consiglio sarebbe di lasciare perdere gli articoli dei giornalini italiani, le pagine wikipediche di tipo goebbelsiano editate da chi sull’ignoranza altrui ci campa, le trasmissioni televisive. Di contro andate in biblioteca e cercate tomi validi, documentari validi, meglio se in lingua inglese (una ragione per cui Dagospia strilla, infatti, è perché non esistono studi strutturali sostanziali in italiano sul nazionalsocialismo), imparate a studiare da soli, imparate a conoscere, imparate a riflettere, imparate a ripudiare la retorica, imparate a distinguere ciò che è sofferenza sulla pelle da ciò che è mero sensazionalismo interessato.

Così facendo, nel vostro percorso di crescita, arriverete infine a un guado di cui i giornalini politically-correct non potranno rivelarvi mai, ma che il vostro istinto ontologico comprenderà: ovvero che i percorsi del “Male” sono complessi, che il Male potrebbe pure essere una necessità anche di sentimenti apparentemente agli antipodi come l’Amore; che il Male è necessario all’Amore per auto comprendersi e per conoscersi. Comprenderete che tutto ha una logica e un senso e che il sacrificio di coloro che hanno speso le loro esistenze per insegnarci tutto questo, meriterebbe davvero maggiore rispetto!

Rina Brundu

Sulla natura del male Indice

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