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In Cina si è tenuto l’annuale Lianghui

di Michele Marsonet.

Nella Repubblica Popolare Cinese, come ogni anno, si tengono le due sessioni (Lianghui) della Conferenza consultiva del popolo cinese e dell’Assemblea nazionale del popolo. In questi giorni a Pechino, nella Grande sala del popolo, convergono 3000 dirigenti del Partito comunista e circa 2000 tecnocrati, intellettuali e imprenditori.
Per quanto importante per capire ciò che bolle in pentola nel grande Paese asiatico, il Lianghui ha solo potere consultivo, poiché è chiamato soltanto a ratificare decisioni e linee strategiche già varate dai vertici del Partito, e in particolare dal Politburo. Dopo il trionfo di Xi Jinping nell’ultimo congresso, si è accentuata la prevalenza dell’ideologia su ogni altro aspetto della vita politica e sociale.
In realtà i due organismi riflettono il totale dominio che il Partito comunista esercita sulla società cinese. Dominio che non è mai venuto meno, neanche dopo le riforme economiche introdotte da Deng Xiaoping a partire dai tardi anni ’70 del secolo scorso. Quest’anno, tuttavia, lo scenario è diverso rispetto al passato.
Gli investimenti stranieri sono calati a 33 miliardi di dollari, il livello più basso dal 1993, e molte aziende preferiscono investire in altre nazioni, in particolare in Vietnam e nell’India di Narendra Modi. Inoltre il Pil, che aveva conosciuto una crescita costante negli ultimi decenni, ora arranca ben sotto il 5% annuo fissato dal gruppo dirigente del Partito.

Il fatto è che l’economia del Dragone è impegnata in una difficile transizione, che prevede il rafforzamento a lungo termine della domanda interna, e una minore dipendenza dall’export, settore sul quale la Cina ha costruito il suo successo sino a diventare la seconda potenza mondiale.
Si parla, per esempio, di “innovazione autoctona”, e della necessità di fabbricare prodotti – come le auto elettriche – ad alto valore aggiunto, destinati non solo all’esportazione ma anche al mercato interno. La transizione, ovviamente, è in pieno svolgimento e occorre del tempo per capire se avrà successo.
Restano piuttosto tesi i rapporti con gli Usa, anche sul piano commerciale. L’amministrazione Biden è riuscita a diminuire il deficit nei confronti della Repubblica Popolare, grazie a un calo significativo dell’importazione di prodotti “made in China”. Da questo punto di vista, il Langhui può certamente fornire indicazioni utili circa la strategia che Pechino intende adottare nel prossimo futuro.
Si noti, tuttavia, che per la prima volta non c’è stata la tradizionale conferenza stampa del primo ministro alla fine delle “due sessioni”. Avrebbe dovuta tenerla, quest’anno, il premier Li Qiang. La sua assenza, secondo gli analisti, può significare che pure lui è caduto in disgrazia, come molti altri esponenti di punta del Partito spariti dalla scena negli ultimi tempi.