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SULLA NATURA DEL MALE – Quand’è che il crimine di Stato si fa colpa dell’individuo?

 

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Estratto

Riusciamo a riconoscere l’energia intelligente che è il Male? Quando? Paradossalmente, se dovessimo applicare il carattere “banale”, in senso arendtiano, alla natura del Male, saremmo ridotti allo stato di individui che quando non pensano (una affermazione che resta comunque abbastanza vaga, come spesso avviene con i concetti introdotti o le posizioni difese in Eichmann in Jerusalem), non sono neppure più in grado di distinguere ciò che è Bene da ciò che è Male. Se noi siamo potenzialmente vittime delle tresche imbastite da una energia intelligente chiamata il “Male”, dentro un universo multidimensionale presumibilmente pullulante di altre forme di energia intelligente, noi siamo, credo, anche in grado di rilevare la sua presenza di corpo estraneo alla nostra essenza umana, almeno a livello istintivo. Detto altrimenti, esiste in noi un qualche campanello di allarme che ci istruisce sulla vera natura dell’azione che stiamo intraprendendo contro la nostra coscienza morale (mi trovo, infatti, perfettamente d’accordo con la Arendt quando parla di “radicalità del Bene”).

Adolf Eichmann, escludendo a priori la possibilità di avvertire rimorso da parte sua (a ulteriore dimostrazione che il regno della morale[1] non è né accessibile né interessante per il Male, che in virtù di questo non può contemplare neppure un qualsiasi processo di ravvedimento del quale non ne comprenderebbe l’utilità[2]), dato che questo non avrebbe portato a nulla, non avrebbe risuscitato i morti né cambiato la Storia, ha ammesso la colpa di avere organizzato le deportazioni, ma ha anche affermato che egli, nella sua qualità di servitore dello Stato, non avrebbe avuto scelta, doveva obbedire agli ordini. Inoltre, per la Legge tedesca vigente sotto il Terzo Reich, le azioni di Eichmann non erano crimini: obbedendo agli ordini ricevuti egli si dimostrava piuttosto un cittadino modello e coscienzioso. Su questi punti si basava anche tutta la linea difensiva nel processo Eichmann: i crimini dell’imputato non erano crimini dell’individuo, quanto piuttosto azioni ufficiali dello Stato, non punibili anche in virtù del principio di irretroattività della norma, dato che nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto come reato dalla Legge. Che Eichmann non riuscisse a provare rimorso lo si comprende perfettamente, del resto stiamo parlando dell’uomo che non si sarebbe fatto scrupoli ad uccidere mille bambini in un giorno perché l’idea di avere in futuro, mille vendicatori alla porta, non gli garbava affatto, ma diventa più difficile seguirlo quando afferma che “non avrebbe avuto scelta”. Non ci sono dubbi che, proprio in virtù di quella nostra capacità di avvertire istintivamente la presenza del Male, lui avrebbe potuto scegliere. Proprio come avrebbero potuto scegliere i tedeschi della Repubblica di Weimar. Quando l’azione statale è permeata da un carattere riconducibile all’azione dell’energia intelligente negativa che è il Male, la disobbedienza civile è legittima, mentre il non azionarla trasforma implicitamente il crimine dello Stato in crimine individuale. Affermare questo non si significa auspicare un sistema anarchico dove ogni individuo può ribellarsi sulla base di una sua privata convinzione che il Sistema sia iniquo, proprio perché sia come individui che come collettività moderna abbiamo generalmente coscienza di dove debbano essere sistemati i paletti che separano una democrazia da una dittatura. Sotto certi aspetti tutta la Storia del mondo è stata una terribile guerra per decidere dove sistemarli quei paletti, dove mettere il limite, benché ancora oggi siamo ben lontani dall’avere vinto ogni battaglia. In questo contesto è doveroso ricordare l’esempio straordinario dato dalla Danimarca, e dal suo re Cristiano X. Il popolo danese, infatti, benché considerato ariano dai nazisti, rifiutò di partecipare al progetto di sterminio degli ebrei, anche solo di discriminare contro i suoi cittadini di religione ebraica. Grazie a questo loro modo etico di procedere, solamente 120 ebrei danesi trovarono la morte durante gli anni orribili dell’Olocausto, su migliaia che abitavano quel regno e in quel regno avevano trovato rifugio.

Mi ha colpito inoltre come in Eichmann in Jerusalem, la Arendt non si soffermi troppo ad investigare questi aspetti legali, mentre di converso la scrittrice spende molte energie per sollevare dubbi sulla reale capacità del collegio giudiziario giudicante, per sottolineare come il rapimento di Eichmann in terra straniera e il successivo processo potessero diventare un precedente pericoloso, per denunciare l’obiettivo israeliano di vendicare l’antisemitismo tedesco piuttosto che il crimine contro l’umanità, per addurre infinite giustificazioni allo scopo di sostenere l’idea della non legittimità della procedura giudiziaria contro Eichmann. Il processo Eichmann era prima di tutto legittimato dalla Storia, mentre parafrasando Golda Meir si potrebbe scrivere che anche i crimini vanno misurati per gradi e da questo punto di vista è indubbio che i crimini di cui si è fatto attuatore il nazionalsocialismo tedesco, e Adolf Eichmann in qualità di suo esecutore (in tutti i sensi), sono di gran lunga più gravi di quelli commessi da Israele quando ha rapito Eichmann dal suo buen retiro.

Tuttavia, se è vero che in quanto esseri umani non abbiamo ancora strumenti ottimali per confrontarci da pari a pari con il Male, dunque anche per punirlo con una pena commisurata al danno procurato dalla sua nefasta azione, è pure vero che il modo in cui è stato gestito il processo Eichmann, nonché la conseguenza condanna a morte e esecuzione dell’imputato, una legittima domanda sul piano morale la pone: se noi diventiamo responsabili dell’uccisione di un assassinio fanatico, in che grado diventiamo colpevoli a nostra volta[3]?

[1] Cfr. 6.7

[2] Cfr. 6.7

[3] Vedi 11.6