Figli indegni del Padre. C’è qualcosa che non quadra
Ma insomma che storia è mai questa? Possibile che non siamo mai degni del Signore? Prima, pieni di peccati e indegni. Poi è venuto Gesù, i peccati se li è presi tutti su di sé, e siamo ancora colpevoli e indegni? Qualcosa non mi quadra. E’ apparso un articolo sul blog “Come Gesù”, intitolato: “Io non sono degno”. Ho pensato si trattasse di qualche efferato delinquente, un incallito peccatore, uno che ne ha combinate di cotte e di crude, come il figliol prodigo, che poi, poverino, non sembra ne avesse combinate di così tremende, che torna pentito al padre e proclamandosi indegno di entrare nella sua dimora. Macché! Si tratta di un religiosissimo signore sicuramente senza orrendi peccati sulla coscienza che scrive, tra l’altro (i puntini sono miei):«C’è un momento preciso nel quale… mi prende uno struggimento. Esattamente lì, quando il sacerdote alzando l’Ostia pronuncia la frase: “Beati gli invitati alla Cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”. E siamo chiamati a rispondere: “O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato”. Abbasso gli occhi: non sono degno. La traduzione in lingua italiana non rende fino in fondo. La messa celebrata secondo il rito del Messale promulgato da Papa Paolo VI in latino usa una formula differente… “Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi. Beati qui ad cenam Agni vocati sunt”. E continua, dicendo insieme con il popolo: “Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea”. Il fedele si prepara alla comunione proclamando non una sola volta ma per ben tre volte la propria indegnità, precisamente con queste parole: “O Signore, non sono degno che tu entri nella mia casa, ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato”… È la stessa identica frase che troviamo infatti nel Vangelo di Matteo (8,8): sono le parole che il centurione rivolge a Gesù, non appena il Signore gli aveva detto che sarebbe venuto a casa sua per guarire il suo servo malato». Mah! Secondo me il centurione aveva scheletri nell’armadio. Ma sì, altrimenti, fallo venire a casa tua, il Signore, e preparagli un bel pranzetto, ché a Gesù non dispiaceva per niente stare a tavola.
L’autore dell’articolo conclude così: “Non sum dignus: lo struggimento di fronte al Mistero di Cristo che Risorto mi ama, nonostante io sia un niente”. Io tutta questa indegnità dei figli verso il Padre (“Figlioletti miei” chiama Gesù gli apostoli) non la capisco. Come può una creatura ad immagine e somiglianza di Dio, essere un “niente”? Indegna del suo Creatore? I figli sono indegni del Padre? Il padre ha creato figli indegni? Il fatto d’essere uomini ci rende indegni di Dio? Ma la “colpa” d’essere uomini non è nostra, è Dio che ci ha creati. Indegni perché peccatori? E va bene, ma io tutti questi peccati non li ho commessi. Insomma, io non credo che Dio consideri le sue creature indegne di lui. Indegni saranno gli assassini, i violentatori, gli affamatori, gli ingiusti, ma i giusti no, proprio non ci sto.
Renato Pierri
Alle volte commento sul blog “Come Gesù” dove sono stato invitato a scrivere dal titolare, il prete e scrittore mauro Leonardi. Altre volte pubblico su altri siti e da lì automaticamente i pezzi sono riportati sul blog “Come Gesù”, dove l’interessato può replicare.
Per l’altro pezzo, ad esempio, è andata così: https://rinabrundu.com/2017/09/28/la-sofferenza-puo-assumere-un-senso-ma-non-possiamo-darglielo-se-non-ce-lha/
In tal modo il mio pezzo viene messo in risalto (non come semplice commento), nella home del blog “Come Gesù” e intanto ho fatto un po’ di pubblicità a Rosebud.
Gentile scrittrice, grazie. Questa l’ho scritta un paio d’anni or sono.
I miei collaboratori immaginari e lo scherzo del grande cartoonist Enzo Apicella
Non so perché gli pseudonimi nel mondo dell’arte, nella letteratura, da sempre esistiti, e da un po’ di tempo presenti a iosa sulla rete internet, non danno fastidio a nessuno, e in calce alle lettere pubblicate dai giornali danno fastidio a molti, e persino a qualche giornalista. Un’azione è buona qualora buono è il suo fine (diffusione delle idee) e buono o perlomeno innocuo (ricorso agli pseudonimi) il mezzo. Che male c’è, quindi, se il sottoscritto ha una mezza dozzina di collaboratori immaginari, e precisamente quattro nomi femminili e due maschili? Che poi, in realtà, non sono solo un insieme di lettere, di sillabe, pseudonimi insomma, bensì personaggi ognuno con il suo carattere, al punto che ogni tanto mi prendono la mano e scrivono anche cose per conto loro, cose che non approvo del tutto. Del resto, neppure posso pretendere che mi obbediscano sempre, giacché li ho messi al mio servizio, questi collaboratori immaginari, e neppure li pago. E come potrei? Del resto, alle volte sono loro ad impadronirsi di me, ma questo è difficile da capire.
Più volte mi è stato chiesto: “Ma che bisogno hai di ricorrere a nomi inventati?”. E ogni volta devo spiegare: ho fatto ricorso a pseudonimi, semplicemente perché i giornali non amano far apparire spesso la stessa firma in calce alle lettere, e io di lettere ne scrivo tante, tantissime. La storia cominciò nel 1999, quando le bombe della Nato cominciarono a piovere sulla Jugoslavia. Il mio sdegno era tale, forse a causa dei ricordi delle bombe che quand’ero bambino cadevano sulla città di Carrara, da indurmi ad inviare al quotidiano Liberazione innumerevoli lettere. E un giorno accade che la giornalista che curava la rubrica lettere, ne pubblicasse una con la mia firma e un’altra sempre mia, lo stesso giorno, con un nome da lei inventato. Fu un provvidenziale suggerimento. Come avrei potuto, infatti, da allora pubblicare forse un paio di migliaia di lettere, se non mi fossi avvalso di collaboratori immaginari? Alle volte è accaduto persino che un quotidiano abbia pubblicato contemporaneamente tre mie nella stessa pagina. Cosa impossibile se avessero avuto in calce lo stesso nome.
Qualcuno mi ha accusato di fare degli pseudonimi un paravento dietro il quale nascondermi. Ma l’accusa è priva di fondamento, sia perché la maggior parte delle lettere reca in calce il mio nome, sia perché questa faccenda dei miei collaboratori immaginari è un po’ il segreto di Pulcinella, almeno per i lettori più attenti. E poi io stesso nel mio libro sulla Madonna di Lourdes (il più bello che abbia scritto), avendo riportato alcune mie lettere con firme diverse, ho svelato l’arcano.
Ma c’è anche chi vede con simpatia quest’essermi circondato di quattro gentildonne e due gentiluomini. Qualche sera fa ho avuto la fortuna di cenare, deliziosamente, col grande cartoonist Enzo Apicella, nell’unico ristorante di Roma disegnato da lui. C’erano anche le mie due figlie, affascinate, stregate dall’artista novantaduenne, che di anni ne dimostra dieci, o più, di meno. Le figlie ci hanno fotografato, ed Enzo ha riportato la foto su Facebook con la didascalia: “Al ristorante Grano con gli scrittori Renato Pierri… ”, e ha fatto seguire i nomi dei miei cari immaginari collaboratori. Ed ora guardando la fotografia mi viene il dubbio: sono io, oppure uno dei collaboratori immaginari?
Renato Pierri