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“Nuovo” realismo e dintorni: ancora sull’opposizione Maurizio Ferraris vs Gianni Vattimo

untitleddi Michele Marsonet. Si dice spesso che nella filosofia occidentale vengono discussi sempre gli stessi problemi, a partire dai presocratici in avanti. In un certo senso è vero, e dipende dal fatto che i grandi temi affrontati dagli esseri umani continuano a ripresentarsi senza che a essi sia possibile dare risposte definitive. E’, in fondo, una condizione esistenziale che ci accomuna ai nostri più lontani antenati sin dal momento in cui ha avuto inizio l’avventura dell’uomo sulla Terra.


Le risposte che i filosofi forniscono, inoltre, si alternano costantemente assumendo un andamento ciclico. A un periodo in cui prevale il materialismo segue un’altra fase di tendenza idealista, e via dicendo. Una delle novità dell’epoca in cui viviamo è la crescente tendenza a “popolarizzare” la filosofia, con lo scopo di renderla fruibile anche da parte del grande pubblico.

Ne abbiamo un perfetto esempio, in Italia, proprio in questo periodo. Maurizio Ferraris, docente all’università di Torino, ha lanciato il “nuovo realismo”, dopo che nella filosofia – sia analitica, sia continentale – c’era stata una prevalenza di idee antirealiste. Tutto sarebbe rimasto confinato ai circoli degli specialisti se alcuni quotidiani, e in particolare “Repubblica”, non si fossero impadroniti della questione pubblicando  a più riprese articoli di grande respiro sul dibattito tra lo stesso Ferraris e i suoi avversari (in particolare Gianni Vattimo, del quale lo studioso torinese è allievo).

Ora un buon panorama si può trovare in un volume uscito per i tipi di Einaudi: “Bentornata realtà. Il nuovo realismo in discussione” (a cura di M. De Caro e M. Ferraris). I curatori notano che il realismo è tornato in auge in tutto il mondo (il che non è proprio esatto) e in ogni ambito filosofico: dall’ontologia all’etica, dall’epistemologia alla semantica, dall’estetica alla filosofia della scienza. Si tratta allora di capire in quale senso questo realismo sia “nuovo”.

A me pare che di nuovo non ci sia molto. Nel libro si dice che vi è il tentativo di “conservare le istanze emancipative” dell’antirealismo evitandone gli effetti indesiderati. “In natura – scrivono i curatori del libro – non esistono i granduchi, i padri padroni e gli angeli del focolare, loro sono socialmente costruiti. Ma questo non significa che tutto sia socialmente costruito, o che la verità sia un male”.

Il nemico, insomma, è il solito Nietzsche e il suo celebre aforisma: “non ci sono fatti ma solo interpretazioni”, e poi gli attuali postmoderni come Richard Rorty e il già citato Vattimo. Non solo. Per alcuni dei nuovi realisti l’antirealismo dei postmoderni, avendo abbandonato ogni traccia di oggettività, verità e realtà, sarebbe addirittura responsabile del populismo di Berlusconi e della prevalenza del reality televisivo sulla realtà concreta.

Tesi piuttosto strana e anche difficile da sostenere. Gianni Vattimo, caposcuola italiano del postmoderno, è stato prima europarlamentare DS e dal 2009 è di nuovo nel Parlamento europeo con la targa Italia dei Valori (pur rivendicando le sue origini comuniste). Un antiberlusconiano di ferro, convinto che l’aggressione di Tartaglia in Piazza del Duomo a Milano fosse una montatura (“Se Tartaglia avesse davvero voluto far del male a Berlusconi avrebbe usato una pistola e non una statuetta”: queste le sue parole).

Per il “nuovo realismo”, dunque, c’è una realtà indipendente da noi e che non ha bisogno del nostro contributo per esistere. Si può parlare di “realtà costruita” soltanto nell’ambito del mondo sociale. E anche questa non è una tesi nuova, poiché già gli storicisti tedeschi e Max Weber avevano sostenuto che il mondo naturale e quello storico-sociale hanno ontologie diverse.

Nel volume si parla molto di “realismo del senso comune” sottovalutando forse il fatto che senso comune e scienza ci forniscono immagini del mondo assai diverse tra loro tanto da apparire, talora, irriducibili l’una all’altra. Non si risolve la questione affermando che un oggetto del senso comune come una sedia può essere descritto da più linguaggi senza il bisogno di ricorrere a un linguaggio “fondamentale” perché prioritario rispetto agli altri. E proprio su questo tema ha di recente scritto un bel libro il fisico Carlo Rovelli: “La realtà non è come ci appare” (Cortina Editore).

Il vero problema è che il rapporto degli esseri umani con la realtà naturale, di cui è praticamente impossibile negare l’esistenza indipendente, è sempre mediato dal nostro apparato percettivo e sensoriale, che a sua volta determina gli schemi concettuali che applichiamo al mondo. Ed essendo il nostro apparato sensoriale assai limitato, abbiamo un accesso alla realtà anch’esso limitato, nel senso che – come del resto dimostra la scienza – possiamo accedere a certi settori del reale e non ad altri che trascendono le capacità cognitive degli esseri umani.

Molti autori parlano del “nuovo realismo” come mero fenomeno mediatico, e credo sia vero. Nulla di male, tuttavia, se si tenta di rendere i problemi classici della filosofia comprensibili al grande pubblico. L’importante è non far credere di aver formulato tesi assolutamente nuove.

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4 Comments on “Nuovo” realismo e dintorni: ancora sull’opposizione Maurizio Ferraris vs Gianni Vattimo

  1. Teodorico Moretti Costanzi, in “Etica nelle sue condizioni necessarie” del 1965, nella nota 2 al Capitolo primo svolge alcune considerazioni che di seguito trascrivo liberamente, sperando di non allontanarmi troppo dal concetto che intendeva esprimere. Il termine di Coscienza è inconciliabile se lo riferiamo all’insieme di coscienze appartenenti ad un gruppo di più persone. L’ambito sociale nel quale viviamo ci porta ad essere degli “Io co-intelligenti”, nella misura in cui interagiamo l’uno con l’altro. Co-intelligenza può e deve essere intesa come Co-scienza in senso duplice. Primo: in riferimento al suo comprendere i vari coscienti; secondo: in riferimento alla sua strutturazione nelle tre forme di sapere (volontà, senso e intelletto) che precedono l’atto. Il Sapere, tolto definitivamente il pregiudizio di un essere-oggetto che stia dinanzi all’io-soggetto, non ha più modo di primeggiare e quindi il risultato dell’atto diventa frutto dell’operato di più persone che condividono la stessa Coscienza. La Scienza di a combinata con quelle di b, c, d, … k diventa Coscienza dal momento in cui le Scienze giungono allo stato di essere unificate e condivise.
    Ciò premesso “realismo” è ciò che vede la coscienza. Il senso comune è un’immagine parziale della verità, ovvero quella che serve per fare ciò che si vuole fare. L’immagine dell’automobile serve quando la debbo comprare. Quando guido penso ai fatti miei e istintivamente osservo quanto mi precede sulla direzione presa per raggiungere la meta; peraltro con la coscienza imbevuta nelle norme di comportamento della strada in capo a tutte le persone valide o invalide circolanti a piedi, in bicicletta, col triciclo, col motorino, con la motocicletta, col sidecar, in city car, in auto di classe A, B, C, D, E, in Ferrari o sulla Limousine sul Caravan o sul Pick-up; sull’Autobus o sul Tram e per finire (ma ancora insicuro sulla completezza dell’elenco) menziono animali dai cani, ai gatti, alle galline ai cavalli dentro o fuori dal loro Van, e i somari. Termino col ricordare i maleducati che pretendono di essere i padroni della strada e che solitamente mandiamo a quel Paese. Il tutto è solo parte della coscienza sollevata dal codice della strada e rappresenta il senso comune che ci spinge a regolare i nostri atti quotidiani con la realtà contingente che scorre nel tempo.
    Credo sia impossibile concepire le Scienze umane ignorando la Coscienza, intesa nel senso indicato da Teodorico Moretti Costanzi.

  2. Concordo, ma bisogna rammentare che per molti filosofi e scienziati al termine “coscienza” non corrisponde alcunché, e che le scienze umane (o storico-sociali) vanno “ridotte” a quelle naturali. Per loro esiste soltanto una scienza, non essendo il mondo umano qualcosa che si può indagare con un metodo diverso.

  3. Ecco un altro caso di Co – Scienza, nel senso immaginato da Teodorico Moretti Costanzi. Lo Scienziato non esiste. Esiste solo il Ricercatore. Più ricercatori condividono una teoria scientifica valida solo per l’ambito della ricerca effettuata con gli strumenti usati per il campionamento dei fenomeni osservati. La scienza convalida una teoria, ma poche sono integrabili e tutte insieme non sono integrabili tra loro, salvo il fatto che le teorie sulle strutture dissipative di Ilya Prigogine arrivino a determinare il futuro, come questo illustre premio Nobel per la chimica nel 1977 aveva immaginato in suo libro (“Il futuro è già determinato?” Di Renzo Editore – 2003). L’integrazione più complessa avviene nelle scienze umane dove i rapporti tra la sociologia e l’economia sono complicati dallo stesso soggetto osservante: l’uomo solo o in gruppo nei suoi rapporti con se stesso, solo o in società, nel modo di agire con i suoi simili con gli effetti ricadenti nell’ambiente naturale circoscritto dal suo orizzonte. In Economia, esistono alcune teorie per consigliare all’uomo sul come agire per ottenere risultati corrispondenti alle attese entro i limiti di accettabilità statistica; in Sociologia, le azioni sono prevalentemente non logiche e i risultati corrispondenti alle attese si possono valutare solo sotto il profilo della ragionevolezza riferita non una teoria convalidata dalla ricerca su base scientifica, ma da una religione, da una ideologia, da una moda, da un uso, da un costume, comportamenti tutti, che, nel complesso, riguardano entità non ricadenti nei campi della fisica e della matematica, ma in quello dei sentimenti e delle passioni. Cancellare dalla nostra Coscienza l’estasi, l’etica e l’estetica che s’integrano con le nostre capacità intellettuali, significa uccidere la nostra creatività e costringere la nostra individualità a precipitare nel formicaio collettivistico immaginato da Marx.

  4. Dopo aver scritto che “Lo Scienziato non esiste”, evidentemente non potevo immaginare, da parte di chi mi ha letto, una risposta diversa dall’essere ignorato e non meritevole di considerazione per le altre espressioni contenute nel mio commento che precede questo. Il motivo sta nel fatto che i miei interessi sono orientati sulle scienze umane e, in particolare sono concentrati sulle argomentazioni di economia e di sociologia dove le teorie riguardano entità e fattori misurabili solo nel senso (diretto – opposto; prima – dopo) e nella direzione (destra – sinistra alto – basso) e entità e fattori non misurabili. Sono quindi argomentazioni che per assumere un interesse scientifico devono subire un primo riordino nel definire i fenomeni in modo da individuare nessi logici e rapporti tali a costituire un campo di ricerca. Ora, il capo di ricerca non sono gli elementi chimici, ma le azioni dell’uomo che non sono configurabili come gli atomi che formano le molecole, per cui si possa immaginare un ingegnere sociale, come in effetti esiste l’ingegnere chimico.
    Quali sono le molecole oggetto di esame nelle scienze umane? In primis: “Esiste un’economia che assimili i bisogni di un uomo solo con quelli di un uomo in società”? Aggiungo: “E’ concepibile una sociologia che prescinda dai sentimenti e dalle passioni?” Termino con un’ultima domanda: “Qual è l’istinto distintivo dell’uomo nei riguardi dell’esistenze”? Furono domande che, tutte, Vilfredo Pareto mise sul piatto della bilancia e angosciato osservò che tra tutte le azioni compiute dagli uomini, partendo dai miti, in poche stavano sul piatto di quelle “logiche” e una quantità strabocchevole, invece, sul piatto delle “Azioni non logiche”, azioni quest’ultime, che non avrebbero dovuto interessare la Scienza. Pareto, invece, se ne interessò al punto da scrivere un il Trattato sulla Forma Generale della Società.
    Di tanto mi occupo da quando andai in pensione nel 1997 e da allora scrivo sui blog, in particolare sul mio: pibond.blogspot.com

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