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Cina e Giappone: prove di confronto

Jiangjieshi-declaredi MIchele Marsonet. L’interesse per quanto avviene nell’estremo Oriente da noi è piuttosto scarso, tranne quando si parla dell’incredibile crescita economica della Repubblica Popolare Cinese negli ultimi decenni. Crescita che ha prodotto un parallelo aumento della sua influenza politica e la capacità – prima sconosciuta –di influenzare i mercati finanziari internazionali.

Eppure lo scacchiere del Pacifico sta diventando sempre più importante, anche se in Italia (e in Europa, forse con l’eccezione del Regno Unito) non viene percepito come tale. L’hanno capito da tempo gli americani, e con la presidenza Obama l’attenzione è cresciuta ancor di più grazie al fatto che il 44° presidente USA è nato a Honolulu e nelle Hawaii ha trascorso parte della sua giovinezza.

C’è tuttavia una novità assai importante in quest’area del mondo. Dopo l’avvento al potere di Shinzo Abe il Giappone, grande potenza economica ma Paese pressoché ininfluente sul piano militare, sta manifestando consistenti segni di risveglio anche da questo punto di vista. Il premier nipponico ha annunciato senza giri di parole che il principale obiettivo giapponese nei prossimi anni sarà quello di contrastare la crescente potenza cinese nel Pacifico.

Di qui a dire che il vecchio militarismo di Tokyo sta tornando in auge il passo è breve, e alcuni quotidiani italiani hanno pubblicato articoli sul tema. In realtà le cose non sono così semplici poiché, dopo la disfatta subita nel secondo conflitto mondiale e le due bombe atomiche sganciate sul suo territorio, il Giappone è stato “occidentalizzato” con la forza. I vincitori americani si sono proposti di cancellare una volta per tutte lo spirito nazionalista (e militarista) che da sempre lo connota. Hanno insomma voluto inculcare nella mentalità giapponese un pacifismo a tutto tondo e la fiducia che lo scudo USA sia sufficiente a proteggere la nazione da attacchi esterni.

Il problema è che la tradizione militare del Sol Levante preferisce l’attacco alla difesa. Paese povero di materie prime, il Giappone ha sempre cercato di procurarsele con la forza, e ora si scopre – con una certa sorpresa – che nella cultura popolare nipponica sta rifiorendo l’immagine dell’esercito e delle forze armate in genere, capaci nella seconda guerra mondiale di conquistare buona parte dell’Asia e una grande estensione dello stesso territorio cinese in poco più di un anno. Non sembra quindi temerario concludere che l’orgoglio nazionale era solo sopito e non eliminato. Viene inoltre richiesta a gran voce l’abrogazione dell’articolo 9 della costituzione scritta proprio dagli americani, secondo il quale il Giappone rinuncia per sempre alla guerra, non dev’essere armato ed è tenuto a sostituire l’esercito con le cosiddette “Forze di autodifesa”.

E’ stata sufficiente la contesa con la Cina circa le piccole isole Senkaku (in cinese Diaoyu) per assistere a eventi imprevedibili sino a poco tempo fa. Nonostante l’evidente squilibrio delle forze, la marina e l’aviazione giapponesi hanno ripreso il largo rispondendo colpo su colpo alla sfida propagandistica della Repubblica Popolare, senza all’apparenza curarsi della loro inferiorità.

Assai significativo al riguardo un episodio recentissimo. Alla fine di ottobre la marina militare cinese ha organizzato nel Pacifico occidentale manovre su grande scala per verificare il proprio grado di efficienza, avvertendo – com’è nella prassi internazionale – gli altri Paesi dei pericoli causati da eventuali interferenze. Ciò nonostante una nave da guerra di Tokyo è entrata nell’area delle manovre senza muoversi per la loro intera durata, mentre aerei delle “Forze di autodifesa” nipponiche hanno monitorato costantemente i movimenti della flotta cinese. Chiaro l’intento di verificare, per l’appunto, il grado di preparazione dei cinesi.

Quest’ultimi hanno a disposizione forze armate di grandi dimensioni e, a quanto pare, sofisticate sul piano tecnologico. Ma non sempre in ambito militare la numerosità corrisponde alla forza reale. Basti citare l’esempio dei tanti conflitti arabo-israeliani in Medio Oriente. Ed è probabile che il Giappone abbia puntato, viste le limitazioni imposte dai vincitori nel 1945, sulla qualità, mantenendo intatta la sua celebre scuola militare.

Il corso futuro degli avvenimenti resta quanto mai incerto e imprevedibile. La Cina, come del resto molti analisti avevano previsto, si trova a fronteggiare problemi seri. Si parla in questi giorni di una spaccatura grave nel Partito comunista con i seguaci dell’imprigionato Bo Xilai che avrebbero addirittura in mente una scissione. Il Paese ha subito un’ondata di attentati senza precedenti, e il radicalismo islamico è presente nonostante la dura repressione della rivolta degli Uiguri musulmani nello Xinjiang. Aggiungendo il rallentamento dell’economia il quadro appare assai meno roseo del previsto.

Il  Giappone dispone dunque di spazi che soltanto un paio di anni fa erano impensabili. Difficile dire se un suo consistente riarmo possa rappresentare un pericolo come molti lasciano intendere, per la verità più in Europa che in Oriente. Sullo sfondo rimane la questione della politica estera americana, quanto mai enigmatica e ondivaga. Questione però essenziale considerando il fatto che gli Stati Uniti restano comunque la potenza militarmente egemone anche nel Pacifico.

Featured image, Chiang-Kai-shek annuncia la politica del Kuomintang di resistenza al Giappone parlando a Lushan il 10 luglio 1937, tre giorni dopo l’incidente del Marco Polo.