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La concezione della storia nella Patristica

di Michele Marsonet.

I Padri della Chiesa greca e latina si sono sforzati di contrapporre alle teogonie orfiche, secondo cui il tempo è divino e causa di tutto, l’eternità di Dio che crea, col mondo, il tempo, e dà senso alle decisioni dell’uomo. Nella concezione patristica la cristologia è elemento essenziale per comprendere le vicende spirituali dell’uomo storico, nel senso che il peccato crea sazietà e intorpidisce le energie spirituali, mentre Cristo “per mezzo della saturazione sollecita il desiderio (di progredire) invece di estinguerlo” (Gregorio di Nissa).
Alla luce della Sacra Scrittura i Padri hanno acquisito il senso storico della missione della Chiesa che deve riguadagnare l’umanità all’amore del Padre celeste attraverso convulse, e talora incresciose, vicende umane che vengono interpretate “allegoricamente”, con intento prevalentemente etico, come fa, per esempio, Sant’Atanasio che prospetta la “storia del male”, a cui contrappone la redenzione di Gesù Cristo come motivo di ottimismo per il genere umano.
Negli scritti “Contra Gentes” e “De Incarnatione” egli distingue tre momenti della storia del male: stato di innocenza originale, invenzione del male e invenzione degli idoli. Il male genera idolatria e l’uomo, creato a immagine di Dio, peccando, si stanca in fatto di pietà e finisce per mettersi contro Dio. Dandosi in balia alle passioni, egli diventa cieco e sconsiderato come un pazzo che mena il pugnale e come auriga che guida senza meta. L’unica possibilità di rigenerazione per l’uomo è data dall’incarnazione del “Logos” che crea una possibilità redentrice nella storia.
Mette conto notare che per i Padri della Chiesa il tempo storico viene considerato più per le qualità salvifiche di cui è riempito, anziché per le prospettive catastrofiche. Come vengono considerate le epoche della storia universale sia pure interpretate in modo allegorico? In genere si sfruttano due schemi: quello delle sette epoche, sviluppato in relazione alla letteratura profana, all’apocalittica e al pensiero ebraico-cristiano, e quello delle quattro epoche, fondato prevalentemente sulla teologia paolina.
Ecco qualche esemplificazione dei due schemi. La famosa “Epistola di Barnaba” (II sec. d.C.) polemizza contro l’ebraismo. Verso la fine della prima parte si parla della storia del mondo e degli ultimi avvenimenti. Le epoche del mondo corrispondono ai giorni della creazione biblica con riferimento al Salmo 89, 4, dove si legge: “mille anni ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri”, e a Pietro 3, 8: “un giorno, come mille anni presso il Signore”. Il settimo giorno conclude l’allegoria vetero-testamentaria, mentre l’ottavo, rievocazione della risurrezione di Cristo, è simbolo di vita eterna. Pertanto nel tempo c’è una tensione verso la “parusia”. Vanno ricercate in questo testo le radici di quelle tendenze millenaristiche che di lì a poco prenderanno piede con Giustino, Ireneo, Montano e Tertulliano.
Sant’Ireneo di Lione, in polemica con gli gnostici, valuta positivamente la materia perché creata da Dio e sfrutta lo schema dei seimila anni di storia. Alla fine del sesto millennio Cristo consegnerà il regno al Padre e finirà la storia. Nel frattempo i cristiani dovranno far tesoro delle tribolazioni sull’esempio del loro ispiratore, che è arrivato alla risurrezione attraverso la morte di croce.
Gregorio di Nazianzo sfrutta invece lo schema delle quattro epoche: idolatria, Legge, Vangelo, vita celeste. Sant’Ambrogio di Milano utilizza un duplice schema: quello delle quattro età del mondo e quello di due età. In ambedue i casi Cristo si colloca al centro della storia umana. Egli è convinto della linearità escatologica del tempo, ma ne scandisce i ritmi secondo finalità pastorali, correlando quattro epoche scritturistiche (del diluvio, dei patriarchi, dei profeti e di Cristo) con le quattro virtù cardinali (prudenza, temperanza, fortezza e giustizia), per esortare i fedeli all’impegno ascetico nella vita. La storia procede insomma secondo scansioni progressive.
Un discorso a parte merita sant’Agostino di Ippona, che rielabora in maniera personale le precedenti riflessioni sulla storia umana, evidenziandone soprattutto il provvidenzialismo cristiano. Contro i manichei egli accentua la linearità del processo storico, condannando lo gnosticismo e utilizzando lo schema biblico delle sei età del mondo, aggiungendovi però il settimo giorno del riposo eterno nella pace di Cristo. Polemizzando, invece, contro i Pelagiani egli afferma la priorità assoluta della grazia, pur non trascurando gli impegni della libertà umana.

Esperto di letteratura pagana, Agostino non disdegna di applicare alle vicende storiche della Chiesa la teoria biologica che Cicerone, Seneca e Floro avevano applicato all’impero di Roma. Se nelle “Confessioni” sottolinea l’importanza dell’elemento autobiografico come manifestazione della grazia divina e come impegno della personale responsabilità storica, nella “Città di Dio” il problema teologico della storia assume rilievo universale. Nel libro V vengono esaminate le cause della grandezza dell’impero di Roma. Alla spiegazione casuale (“fortuita”) e fatale (“fatalis”) viene opposta un’interpretazione provvidenzialistica dei fatti umani alla luce dei capitoli essenziali della Bibbia che parlano della creazione, della caduta e della redenzione dell’uomo.
Una storia intesa soteriologicamente (“historia salutis”) e distinta da quella mondana (profana), ma che si attua in essa e la illumina di respiro escatologico. E’ nota la dialettica dei due amori (egoismo contro eroismo evangelico) che fondano e distinguono la “civitas terrena” dalla “civitas Dei”. Nella storia permarrà sempre la lotta tra bene e male, senza ombra di illusioni. E’ opportuno sottolineare la distinzione agostiniana tra aspetto oggettivo e aspetto soggettivo del progresso storico. Oggettivamente l’umanità, globalmente considerata, è ora giunta nella penultima fase della storia, costituita dal tempo della Chiesa (i “novissima tempora”, di cui parla San Paolo). Soggettivamente, invece, ogni individuo può appartenere a una diversa fase, a seconda della fruttificazione esistenziale della sua libertà vivificata dalla grazia divina.
Da notare, infine, che l’intreccio dell’interpretazione filologica, allegorica e mistica di Sant’Agostino si ricapitola nella persona di Gesù Cristo, emblema del “settimo giorno”, ossia dell’eterna felicità dei giusti nel regno celeste, dove “riposeremo e vedremo, vedremo e ameremo, ameremo e loderemo. Ecco che cosa sarà alla fine, senza fine. Infatti quale altro fine noi abbiamo se non quello di giungere nel regno che non ha fine?”.
A questo punto giova sottolineare una riflessione di metodo e di contenuto sulla storia. Nel periodo della Patristica e nei secoli successivi della scolastica medievale, propriamente parlando, le considerazioni che si fanno sul tempo redento sono di carattere spiccatamente teologico, in quanto contemplazione e decifrazione per lo più allegorica dei portenti divini. In tal senso acquista rilievo la figura di Gioacchino da Fiore.
Figura tipica dell’ermeneutica apocalittica medievale, monaco e abate cistercense. Egli incarna la speranza nell’imminente fine del mondo ed esprime la crisi che travagliò la cristianità al termine del secolo XII. La sua visione allegorica della storia si scandisce attraverso tre tappe fondamentali, che svelano il progresso della vita spirituale, dalla pesantezza della legge mosaica (epoca del Padre), alla libertà interiore della grazia (epoca del Figlio) e alla libertà totale degli spirituali (epoca dello Spirito Santo). La prima epoca inizia con Adamo e termina con Gesù Cristo, la seconda ha cominciato a produrre frutti con Zaccaria, padre di Giovanni Battista e non si è ancora conclusa, la terza ha avuto inizio con San Benedetto, apostolo di amore e di gioia, e si concluderà con la venuta del profeta Elia alla fine dei secoli.
Da san Benedetto in poi si manifestano due tipi di Chiesa: quella dei chierici, destinata a scomparire, e quella dei monaci in via di consolidamento. Esse sono simbolo del cammino ascensionale dell’uomo che conquista dapprima la “scientia”, poi la “sapientia” e, infine, la “plenitudo intellectus”. La dottrina gioachimita fa perno anche sul numero 30, che ha portata mistica (trenta generazioni di trent’anni ciascuna, con richiamo alla Trinità e agli anni di Cristo allorché cominciò la sua predicazione), fino alla fatidica data del 1260, in cui Federico II si svelerà come Anticristo e i francescani come autentici interpreti dell’illuminazione dello Spirito. La teoria gioachimita avrà notevole influsso sulle prospettive utopiche e millenaristiche della storia. In quanto eresia fu combattuta dagli scritti di Sant’Alberto Magno e di San Tommaso d’Aquino, che accentuarono il libero arbitrio e un motivato progresso razionale dell’uomo nella natura e nella società.