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Gli universali umani

di Michele Marsonet.

Esistono universali specificamente umani che siano anche trans-culturali? Prima di dare una risposta occorre fornire qualche chiarimento. Vi sono infatti diversi modi per definire un “universale umano”. Possiamo usare tale concetto per riferirci a generalizzazioni riguardanti tutti gli esseri umani: per esempio, “tutti gli esseri umani in quanto tali provano sensazioni di dolore”. Possiamo inoltre identificare come universali certi aspetti comuni della situazione umana: ad esempio, “tutti gli esseri umani hanno bisogno di cibo e di acqua”.
Oppure ancora potremmo identificare alcune capacità comuni come universali: per esempio, “tutti gli esseri umani possono imparare l’aritmetica”. Un’importante caratteristica di una capacità è che essa può collocarsi al livello di potenzialità piuttosto che a quello dell’attualità: affinché si “attualizzi”, occorre un’interazione appropriata con l’ambiente circostante.
Consideriamo un esempio particolarmente chiaro: l’acquisizione e l’uso del linguaggio. I linguisti hanno ormai chiarito che le lingue umane dipendono dalla capacità cognitiva – relativa alla nostra specie – di imparare e usare il linguaggio. Pertanto la capacità di usare il linguaggio è effettivamente un “universale umano” nel terzo senso di cui sopra. Si dà tuttavia il caso che l’uso del linguaggio non sia un universale privo di eccezioni per diversi motivi.
In primo luogo, vi sono degli individui che non possiedono la capacità di imparare il linguaggio. In secondo luogo, vi sono individui che possiedono tale capacità ma vivono in un ambiente nel quale essa non può essere sviluppata; è il caso di coloro che restano isolati durante gli anni dell’apprendimento del linguaggio. E infine esiste la possibilità almeno teorica (ma mai verificata nella pratica) di società in cui venga sistematicamente proibita ad alcuni soggetti l’acquisizione del linguaggio, con il risultato di produrre un gruppo privo della competenza linguistica.
Si noti, tuttavia, che nessuna di queste eccezioni dimostra che la capacità linguistica non è un universale umano; esse mostrano, piuttosto, che gli universali sono capacità che richiedono certe condizioni ambientali per essere attivate e sviluppate. Ciò rende giustizia alle varie definizioni di “universale umano” prima menzionate, e ci fornisce pure una definizione di “capacità”. L’universale in senso stretto – “tutti gli esseri umani adulti normali usano il linguaggio” – è vera in modo approssimativo, e la sua verità deriva dal fatto che (1) tutti gli esseri umani possiedono la capacità di acquisire il linguaggio (universale riguardante le capacità) e (2) tutti gli esseri umani (con pochissime eccezioni) nascono in comunità che utilizzano il linguaggio (universale riguardante le situazioni).

È la biologia a determinare delle classi di simili universali. Su un piano estremamente generale costituisce un universale trans-culturale il fatto che gli esseri umani hanno bisogno di cibo e di un qualche tipo di rifugio. Analogamente, esistono modelli trans-culturali di comportamento sessuale e riproduttivo che appaiono basati sulla storia evolutiva della specie. Anche gli elementi di base del sistema cognitivo umano sono determinati geneticamente: il sistema percettivo, i modelli di riconoscimento, la memoria, la competenza linguistica, la capacità di usare strumenti, sembrano avere una forte componente neurofisiologica: si tratta di caratteristiche spiegabili facendo riferimento alla storia evolutiva dell’organismo umano. Tutti gli esseri umani usano il linguaggio naturale, e a partire da Noam Chomsky i linguisti cercano di identificare degli “universali linguistici” comuni alle varie lingue nonostante la loro evidente diversità.
Vi sono infine caratteristiche della “ragione pratica” che possono essere considerate universali trans-culturali. Tutti gli esseri umani sono dotati della capacità di compiere scelte deliberate in certe situazioni, di formulare credenze circa il mondo, di ipotizzare connessioni causali e di fare predizioni sul futuro. Anche la capacità di ragionare su fini e propositi, di valutare se una certa azione risulta compatibile con norme e valori cui l’agente aderisce, e il complesso sistema di passioni ed emozioni che generano l’azione in varie circostanze sociali rientrano in questo novero.
Queste caratteristiche, tuttavia, debbono essere intese come risorse che sono sì disponibili per tutti gli esseri umani in quanto tali, ma che vengono d’altra parte attualizzate e usate in modi differenti nelle diverse culture. Un’analogia con il linguaggio può essere fruttuosa. Tutti gli esseri umani possiedono la capacità (e la base neurofisiologica che la determina) di imparare un linguaggio. Ma “quale” linguaggio acquisiscono dipende interamente dalla comunità linguistica in cui nascono. Ed è per questo motivo che il linguaggio umano manifesta sia elementi di universalità che di specificità culturale. La diversità a livello di fonologia, semantica e sintassi non contraddice affatto la presenza di una comune e universale capacità umana di apprendere e di usare l’una o l’altra lingua particolare.
Quanto abbiamo detto finora suggerisce che vi sono importanti capacità, sia teorico-cognitive sia pratiche, che sottendono l’intero comportamento e sono pertanto universali. Ma vi sono anche schemi che siano parimenti universali e trans-culturali? Esistono in particolare caratteristiche degli schemi concettuali invarianti rispetto alle culture?
Nonostante le tesi forti del relativismo concettuale, è difficile evitare una risposta almeno parzialmente positiva.

L’esperienza umana in generale non può fare a meno dei concetti necessari per dividere la realtà circostante in oggetti separati, dell’attribuzione di proprietà agli oggetti stessi, della loro collocazione nel tempo e nello spazio, e di un quadro concettuale che ci consentono di distinguere le cause dagli effetti.

A ciò possiamo aggiungere i concetti necessari per analizzare gli elementi comuni dell’esperienza – colore, temperatura, sapore, odore, tridimensionalità dell’esperienza visiva. Tale posizione non afferma che tutti i concetti sono comuni, poiché è sufficiente lo studio delle culture diverse dalla nostra per confutarla. Essa esclude, tuttavia, la validità della tesi di Whorf espressa nella sua forma più radicale: che cioè si dia diversità anche ai livelli più elementari dell’ontologia, mettendo in dubbio che tutti gli esseri umani dividano il mondo in oggetti.
La conclusione è in fondo simile se passiamo agli schemi relativi alle credenze: esiste un insieme fondamentale di criteri appartenenti al ragionamento empirico e causale che appaiono presenti in ogni cultura. Si possono menzionare la capacità di imparare che pesci e uccelli migrano stagionalmente e si possono quindi trovare in certe stagioni ma non in altre; l’abilità di apprendere le proprietà dei vari semi da usare nell’agricoltura; la capacità di notare i movimenti regolari delle stelle e dei pianeti (la storia dell’astronomia, infatti, inizia in culture diversissime dalla nostra come quella caldea e babilonese); la scoperta delle proprietà medicinali di piante ed erbe. In ogni caso siamo in presenza di capacità che dipendono dall’osservazione dell’ambiente circostante e su di essa si basano per giungere alla formulazione di ipotesi e generalizzazioni. Ancora una volta, pertanto, le affermazioni più radicali della relatività culturale appaiono infondate.
Si può concludere che l’antropologia ci trasmette un importante messaggio relativo alla variabilità sociale, culturale e normativa, ma non si tratta dello stesso messaggio lanciato dal relativismo radicale. La conclusione corretta sembra essere la seguente: esistono tanto uniformità quanto diversità tra le culture umane a livello di concetti, credenze e norme. La diversità è, in fondo, il segnale della creatività umana quando si tratta di sviluppare strumenti culturali che siano in sintonia con le necessità materiali. L’uniformità, d’altro canto, riflette sia le costanti biologiche nella vita umana sia le caratteristiche comuni della nostra situazione esistenziale. E un ultimo elemento dev’essere notato. Il fatto che gli esseri umani siano capaci di pensiero riflessivo dando vita alla filosofia, alle teorie scientifiche e alle credenze religiose, rende possibile l’emergere di “nuovi” universali in futuro.