Venerati maestri. Chi ha ucciso il giornalismo italiano? La XVII legislatura, l’intoccabile e la congiura del silenzio
3.1 La XVII legislatura, l’intoccabile e la congiura del silenzio
“La legislatura che sta per essere sciolta (si spera nell’acido) è stata una delle peggiori della storia repubblicana”[1]. Così scrisse Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotidiano, nel dicembre 2017. In realtà, anche per quanto riguarda la libertà di stampa in Italia, soprattutto nel triennio 2014-2016, quella legislatura fu qualcosa di più di un’altra età politica italiana da dimenticare. Fu in quegli anni, infatti, che l’asticella dell’ingerenza governativa sul sistema informativo venne alzata come mai era avvenuto prima, sia per quanto riguarda la carta stampata[2], sia relativamente ai contenuti dei programmi televisivi in onda sulle reti pubbliche. Ma perché il governo Renzi ha potuto inaugurare una tipologia di interferenza politica così forte sugli organi di informazione? Essenzialmente per le stesse ragioni per cui Silvio Berlusconi può fare politica sulle sue televisioni senza dover renderne conto più a nessuno: perché in Italia il giornalismo ha smesso da tempo di essere l’watchdog di cui parlava il direttore dell’IPI Fritz nella sua risentita lettera al ministro Mancuso[3], e più che il cane da guardia della politica è piuttosto diventato il suo chihuahua da accompagnamento, da salotto, meglio se televisivo.
In Italia il giornalismo degli ultimi 50 anni, nella maggior parte dei casi, ha sempre fatto gli interessi del padrone, dell’editore, che da questo punto di vista ha preso il posto della fazione politica degli inizi del secolo XX. Infine, nel nostro Paese non esistono authority o organizzazioni dei giornalisti e della stampa davvero indipendenti, dato che, il più delle volte, si risolvono nell’essere associazioni di varia natura gestite da giornalisti che, chi prima chi dopo, hanno lavorato o potranno lavorare per i soliti editori. Nel caso del renzismo, la situazione era aggravata dall’essere Matteo Renzi il segretario del Partito Democratico, cioè di un partito che si presentava come l’erede naturale del più grande partito comunista europeo, il PCI. Come abbiamo già visto, il millantato ideale di superiorità culturale che l’ideologia di sinistra si è sempre portata dietro, ha fatto sì che nel tempo si creasse una sorta di corazzata di tipo intellettualistico a sostegno della sua azione politica. Si trattava, e si tratta, di una visione a suo modo patologica che, alla maniera delle antiche sette, porta a classificare il mondo secondo un istinto manicheo: c’è il bianco e c’è il nero, c’è il bene e c’è il male. In un simile universo non c’è mai spazio per il grigio o la negoziazione: o sei mio amico o sei mio nemico. Ancor più importante diventa la mission da compiere, il marciare compatti: tutto pur di difendere il partito e i compagni! Se poi, col passare degli anni, dei decenni, i compagni smettono anche di essere dei campagnoli illetterati alla Peppone, e cominciano a vestire trendy, in giacca e cravatta, tendono a diventare manager d’azienda, a infiltrarsi nei consigli di amministrazione di quasi tutte le banche italiane, la situazione si complica, gli interessi si fondono e si confondono. In particolar modo è la questione del maggior bene pubblico a confondersi con l’interesse privato, anche quando l’interesse privato è di tipo editoriale e tra le attività gestite vi è quella giornalistica, cioè una professionalità idealmente fatta esistere da un mestiere che dovrebbe nutrirsi di etica e di deontologia, soprattutto di etica e di deontologia.
Tra gli anni 2014 e 2016 il cosiddetto circolo mediatico era così politicamente coinvolto che buona parte dei giornali e dei giornalisti gravitavano (gravitano ancora) nell’area PD…
[1] Da Mai più di Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 28 dicembre 2017.
[2] Cfr. 2.6
[3] Cfr. 2.1
Un morto scomodo e una pletora di potenziali assassini sono i protagonisti di un mistero atipico che per essere risolto dovrà necessariamente farsi viaggio di studio e di conoscenza. Solo partendo dalle origini del giornalismo, dalla nascita dei primi quotidiani italiani, passando per la “Guerra dei venti anni”, l’analisi dei rapporti internazionali sul livello di libertà di stampa in Italia, l’arrivo del giornalismo online, la presentazione di alcuni casi-studio, sarà infatti possibile una attenta lettura della scena del crimine, raccogliere gli indizi e stringere il cerchio intorno al colpevole. Chi ha ucciso il giornalismo italiano? Come in ogni giallo che si rispetti la risposta a questo quesito non sarà affatto scontata, né sufficiente a fugare il dubbio: e se si fosse sbagliato tutto, sin dall’inizio?
Indice
Epitaffio
Capitolo 1
Venerati maestri e soliti stronzi: le origini
1.1 In principio, c’era Gutenberg…
1.2 1976, nasce la Repubblica di Eugenio Scalfari
1.3 Gli anni 90 e Mani pulite
1.4 La guerra dei venti anni
1.5 Berlusconi: “L’Italia è il Paese che amo”
1.6 Quelli di Capalbio
1.7 La rivoluzione digitale
Capitolo 2
I rapporti internazionali sulla libertà di stampa
2.1 1960 1995 Lo studio di Raymond B. Nixon e la lettera dell’IPI al ministro Mancuso
2.2 Freedom House Il rapporto 2002
2.3 Freedom House Il rapporto 2004: l’Italia diventa uno Stato PARTLY FREE
2.4 Freedom House Il rapporto 2014
2.5 Freedom House Il rapporto 2015
2.6 Il rapporto 2016 della Freedom House: reticenza?
2.7 Freedom House Il rapporto 2017
2.8 2013-2018. I rapporti di Reporters sans frontières
Capitolo 3
2014-2018: dal governo Renzi al Salvimaio
3.1 La XVII legislatura, l’intoccabile e la congiura del silenzio
3.2 Il Caso Alessandro Di Battista e il risveglio della “coscienza” giornalistica in Italia
Capitolo 4
La crisi e il giornalismo online
4.1 La crisi nelle vendite
4.2 Dal giornalismo al giornalismo online
4.3 Il problema della credibilità
4.4 Caso studio 1 Repubblica vs Luigi Di Maio
Capitolo 5
Caso studio 2 Il Corriere della Sera
5.1 Il Caso Raggi e il Caso Spelacchio
5.2 Certificazioni ADS e trend negativo
5.3 La svolta di Cairo, oppure no?
Capitolo 6
Caso studio 3 Il Fatto Quotidiano
6.1 Il “Caso Salvini” e i commenti in calce
Capitolo 7
Caso studio 4 La verità
7.1 Sul nuovo giornalismo a destra
7.2 La pagina Facebook di Salvini
Capitolo 8
Caso studio 5 Il problema Rai
8.1 Gli anni del renzismo e il “Caso Fazio”
8.2 Rai: lottizzazione senza fine
Capitolo 9
Caso studio 6 Gli altri players editoriali
9.1 L’impero berlusconiano e il serpente che si morde la coda
9.2 Cairo Communication, l’editore puro?
9.2 Avvenire e gli interessi di Dio in terra
9.2 Il Gruppo Caltagirone
Capitolo 10
Sull’emergenza mediatica in Italia: il problema socio-economico
10.1 I contributi all’editoria
10.2 Alcune interrogazioni di base
10.3 Intermediazione e disintermediazione
10.4 Stampa di regime e censura
10.5 Il falso spettro del populismo
Capitolo 11
Sull’emergenza mediatica in Italia: il problema culturale e deontologico
11.1 Le associazioni culturali: beata ignoranza!
11.2 La censura e il mobbing
11.3 Baroni e mercanti di verità
11.4 Dalla notizia circolare alle marchette
11.5 Dubbi ontologici arcani
Capitolo 12
Chi ha ucciso il giornalismo italiano?
12.2 Il giallo e gli indizi neppure troppo nascosti
12.3 Come Poirot sull’Orient Express
12.4 Codice etico della vita italiana (1921)
12.5 Dénouement
Postfazione
Appendici
1. Quotidiani italiani 2015-2016: tiratura, diffusione cartacea, diffusione digitale
2. Quotidiani nazionali e locali del Gruppo GEDI
3. Quotidiani e periodici del Gruppo RCS
4. Informativa ADS Dati Certificati 2016
5. Informativa ADS Dati Certificati 2017
6. Scene dal giornalismo italiano
Nota bibliografica
Biografia
Libri di Rina Brundu
Rina Brundu – Scrittrice italiana, vive in Irlanda. Ha pubblicato i primi racconti nel periodo universitario. Il romanzo d’esordio, un giallo classico, è stato inserito nella lista dei 100 libri gialli italiani da leggere. Le sue regole per il giallo sono apparse in numerosi giornali, riviste, siti, e sono state tradotte in diverse lingue, così come i suoi saggi e gli articoli. In qualità di editrice ha coordinato convegni, organizzato premi letterari, ha pubblicato studi universitari, raccolte poetiche e l’opera omnia del linguista e glottologo Massimo Pittau, con cui ha da tempo stabilito un sodalizio lavorativo e umano. Negli ultimi anni ha scritto diversi saggi critici, ha sviluppato un forte interesse per le tematiche e le investigazioni filosofiche, e si è impegnata sul fronte politico soprattutto attraverso una forte attività di blogging. Anima il magazine multilingue www.rinabrundu.com.