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QUANTUM LEAP – Dell’Heidegger analogico e edenico

ESTRATTI

In una analitica dell’essere come quella considerata in questa ultima parte del mio studio, ovvero in una analitica che si fa quasi cosmogonia ontologica, escatologica, che vive di teorizzazione, l’interrogazione sul modo di essere dell’EsserCi e in merito alla sua natura può avvenire solo su basi molto diverse da quelle presentate in Essere e tempo. Non si può cioè portarla avanti poggiando il ragionamento su fondamenti fenomenologici, ma bisogna immaginarla come fosse una matrioska sui-generis, come fosse una pro-gettazione del progetto pro-gettato. Naturalmente così facendo i limiti investigativi diventano sostanziali, ma la metodologia utilizzata è pure l’unica possibile per colmare i vuoti, per evitare quell’incipit in media-res tecnico[1] di cui ho già parlato. Peraltro, se per Heidegger si può fare “ontologia” solo sulla base dell’interpretabilità dei fenomeni, la filosofia pre-fenomenologica, da Platone in poi, ha esaltato la capacità teorizzatrice dell’essere-Uomo. D’altro canto, oggi, noi figli della Rivoluzione industriale prima e di quella digitale dopo, sappiamo bene che non vi può essere speculazione valida senza conoscenza, soprattutto senza un know-how tecnico delle basi scientifiche su cui l’ipotesi-teorizzata deve necessariamente poggiare. Martin Heidegger, è noto, ha sempre nutrito una forte avversione per il mondo della tecnica, una avversione plasticamente evidenziata nella decisione di vivere l’ultima parte della vita nella baita di Todtnauberg nella Foresta nera.

L’esperienza edenica di Heidegger ricorda molto da vicino il vivere nei boschi del filosofo naturalista americano Henry David Thoreau, nonché il modo in cui nella sua arte si viene quasi a creare una alleanza di tipo ontologico tra l’ente-uomo e l’ente-natura. Ne deriva che è molto difficile immaginare qualcuno più lontano di Martin Heidegger dalle dinamiche quantistiche folli con cui si sono dovuti confrontare Niels Bohr e Alfred Einstein, sebbene il fatto che tali dinamiche siano lontane dal modo di intendere l’universo-abitabile da parte dell’ontologia-fenomenologica non significa che le stesse non esistano. Val la pena notare, inoltre, come l’anno di pubblicazione di Essere e tempo, il 1927, sia lo stesso anno della conferenza di Solvay già citata[2]. Se è vero perciò che – viste le difficoltà interpretative che poneva agli stessi fisici teorici la nuova disciplina, la sua stessa accettazione – Essere e tempo precede a buon diritto la rivoluzione copernicana portata dalle nuove teorie quantistiche, è pur vero che gli atteggiamenti ontologici del filosofo tedesco, quali per esempio la completa fiducia nella bontà della manifestazione oggettiva del fenomeno oggetto di studio, porterebbero a collocare idealmente Heidegger tra le fila di coloro che diedero vita alla corrente reazionaria fiera avversaria di tali teorie. Resta il fatto che le stesse risultano talmente fondamentali che tale ontologia esiste in virtù delle dinamiche scientifiche alla base, non viceversa. Ne deriva che una struttura piramidale formata da un ist-sein-dortsein-dasein, non è che un’altra logica possibilità ontologica di continuazione, completamento o superamento dell’ontologia fenomenologica, una delle tante, forse, ma nulla di più!

[1] Cfr. 1.1

[2] Cfr. Sezione Quantum Leap, paragrafo 1

Heidegger, nei contesti rurali preferiti