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QUANTUM LEAP – Dalla Nuova Fisica a una ontologia fondamentale

ESTRATTO

Nella nostra descrizione della natura lo scopo non è di svelare la vera essenza del fenomeno, ma solo identificare, con la maggiore precisione possibile, le relazioni tra i multiformi aspetti della nostra esperienza.

Niels Bohr, fisico teorico

heisenberg

Werner Heisenberg

La definitiva affermazione delle teorie della Meccanica Quantistica all’inizio del ventesimo secolo non portò solamente molti grattacapi e molti mal di testa ad Albert Einstein e ai suoi colleghi, ma procurò una rivoluzione copernicana che implicava, tra gli altri aspetti, una nuova interrogazione su ciò che si intendeva con termini come fenomeno o realtà oggettiva. Se è sufficiente la presenza di un osservatore per determinare il suo stato quantistico, cos’è la realtà oggettiva? Può continuare a esistere un simile concetto? Per lo stesso Heisenberg “la realtà della quale possiamo parlare non è mai la realtà “in sé”, ma una realtà filtrata dalla nostra conoscenza o persino in molti casi da noi configurata. Se a quest’ultima formulazione si obietta che dopo tutto c’è un mondo oggettivo, completamente indipendente da noi e dal nostro pensiero, che procede o può procedere senza il nostro apporto e alla quale realtà ci riferiamo con la ricerca, a questa obiezione a prima vista così ovvia si deve opporre il fatto che già la parola “c’è” appartiene al linguaggio umano che non può quindi significare qualcosa che non sia in relazione alla nostra capacità conoscitiva. Per noi “c’è” appunto solo il mondo nel quale l’espressione “c’è” ha un senso.[1]”. Come si evince Heisenberg non sembra cadere nella trappola del linguaggio-localizzante come è accaduto a Heidegger. Gli impatti di queste rivoluzioni concettuali furono sostanziali e portarono anche a delle radicalizzazioni estreme nell’approccio, come fu il caso del fisico ungherese, naturalizzato statunitense, John von Neumann (1903-1957), il quale nel suo studio The Mathematical Foundations of Quantum Mechanics (1955) vide il collasso della funzione d’onda[2] introdotta dalle equazioni di Erwin Schrödinger, come il risultato dell’interferenza di un altro “sistema”, nello specifico l’interferenza della “coscienza dell’osservatore”, e dunque lo interpretò come un atto dipendente dal soggetto. Le implicazioni che portarono simili teorie (seppure molto criticate), non riguadarono solo il superamento di assiomi cartesiani come la res cogitans (la realtà psichica inestesa, libera e consapevole) e la res extensa (la realtà fisica estesa, limitata e inconsapevole), ma produssero un’eco enorme anche in altre discipline, tra cui la Filosofia, procurando lo stesso disagio dello spirito, o quasi.

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Heidegger mette in bocca la domanda “Cos’è l’uomo?” allo stesso soggetto-che-esplora di Husserl (a un ideale osservatore-quantistico), quindi da buon filosofo esistenzialista parte dall’individuo per arrivare al suo mondo-ambiente dove gli oggetti non hanno solo il senso-della-presenza ma diventano “utilizzabile” funzionale, frutto della capacità che ha avuto la coscienza trascendentale di progettarlo (in questo senso egli si fa husserliano). Nella filosofia heideggeriana il limite alle possibilità della “coscienza possibile” di Husserl viene tracciato in maniera molto netta e decisa dal fatto che il protagonista incontrastato della narrazione sarà sempre e soltanto quell’EsserCi – essere-gettato, pro-gettato – che si risolve nella sua finitezza, che non ha alcun interesse a definire un diverso orizzonte, men che meno di natura trascendentale, e che così facendo costruisce il suo proprio limite empirico invalicabile sullo sfondo di una realtà sostanzialmente immutabile, quindi classica, pre-rivoluzione quantistica, dominata dall’incontrovertibile verità io-sono-il-soggetto e quello-è-un-oggetto, non importa quanto reso mirabile e vivo dalla sua stessa logica fenomenologica.

Rina Brundu

[1] Heisenberg W., Indeterminazione e realtà, a cura di Giuseppe Gembilla e Giuliana Alfredo, Guida Editore, pag. 106 (titolo originale: Über den anschaulichen Inhalt der quantentheoretischen Kinematik und Mechanik, 1927)

[2] Che si ha quando tutti gli stati da essa descritti si riducono a uno, per esempio a un unico valore per una quantità che prima era una tra le tante sovrapposizioni.