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Massimo Pittau – Diodoro Siculo e i nuraghi

Nella supposizione che i nuraghi fossero "fortezze" e "castelli", gli autori antichi, greci e latini, che hanno parlato delle guerre combattute dai Cartaginesi e dai Romani contro i Nuragici, di certo non avrebbero tralasciato di parlare di queste "opere di fortificazione", sia per il loro numero elevato sia per la loro imponenza sia infine per il loro carattere assolutamente singolare, tipico ed esclusivo della Sardegna.

Sta invece di fatto che nessun autore antico ne ha parlato. Inoltre il console romano Tiberio Sempronio Gracco, che nel 175 avanti Cristo dedicò una tavola a Giove, parlando della vittoria conseguita sui Sardi, non avrebbe fatto a meno di citare, col numero degli 80 mila Sardi uccisi o catturati, con la liberazione degli amici, la restaurazione delle tasse, la salvezza dell’esercito e infine col ricco bottino, anche l’espugnazione delle “fortezze nuragiche”; ed invece non l’ha fatto. Molto sensatamente quell’acuto studioso che era Raimondo Bachisio Motzo si era posto questa domanda: «Come mai avviene che di questo veramente grandioso sistema difensivo, ch’è ancora l’opera umana più notevole sul suolo sardo, non si faccia mai ricordo a proposito delle tante guerre combattute da Cartaginesi e da Romani nell’isola, mentre si ricordano spelonche in cui gl’indigeni avrebbero abitato e si sarebbero rifugiati a salvezza quando erano assaliti?»<1>. E per parte sua Marcello Serra (pg. 119) ha scritto: «Questo silenzio degli scrittori greci e romani su un edificio così singolare e frequente nel territorio sardo, è piuttosto strano»>. – La risposta a questa sensata domanda del Motzo è semplice e chiara: se in linea di fatto gli autori greci e latini nelle loro narrazioni di guerra non hanno mai fatto alcuna menzione dei nuraghi, è segno evidente e prova certa che questi non erano affatto opere militari. – Tutto al contrario esiste la testimonianza di un autore greco, Diodoro Siculo, unica, purtroppo, ma abbastanza chiara, dalla quale si evince che anche per gli antichi i nuraghi non erano altro che edifici sacri e precisamente «templi degli dei». Nell’opera di Diodoro, Bibliotheca Historica, ci sono due passi relativi alla Sardegna, che traduciamo e trascriviamo: «Allora Jolao […] fatto venire Dedalo dalla Sicilia, costruì opere molte e grandi, che rimangono fino ai tempi d’oggi e chiamate dedalee da colui che le costruì; fabbricò anche ginnasi grandi e magnifici e fece tribunali e le altre cose che contribuiscono alla prosperità» (IV, 30). «[Jolao] costruì e ginnasi e templi degli dèi e tutte le altre cose utili per la vita degli uomini, di cui rimangono notizie fino a questi tempi» (V, 15, 2). Dalla comparazione di questi due brani di Diodoro a noi sembra che si debbano trarre due conclusioni: 1ª) Premesso che Diodoro indica queste tre “funzioni” per le costruzioni di cui sta parlando: ginnasi, tribunali, templi degli dèi, se ne deduce che: a) la funzione di fortezza non viene indicata per nulla; b) dovendosi escludere, per le caratteristiche costruttive, che i nuraghi potessero essere tribunali oppure ginnasi (cioè palestre e stadi), non resta altra possibilità che intendere come loro funzione quella unica rimasta, templi degli dèi. 2ª) I nuraghi erano ancora in funzione all’epoca in cui Diodoro scriveva e cioè nel I secolo avanti Cristo; ma ciò si può comprendere ed accettare solamente nella supposizione che essi fossero «templi degli dei» e nient’affatto “fortezze”, dato che in quel secolo un problema di resistenza in forze dei Sardi in generale contro i Romani non sussisteva più per nulla.

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