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Sul concetto geopolitico di Eurasia

indexdi Michele Marsonet. Per comprendere la crescente contrapposizione tra la Russia di Putin e il blocco di nazioni occidentali capeggiato dagli Stati Uniti è utile ricorrere a un concetto geopolitico, quello di “Eurasia”, che non gode di grande considerazione sui nostri mass media. Dopo il crollo dell’Urss, la fine della Guerra Fredda e l’emergere degli Usa quale unica potenza globale rimasta sulla scena, a Washington si è fatta strada l’idea che occorresse approfittare della situazione per dar vita a un nuovo “ordine mondiale” nel quale la leadership americana non venisse più posta in discussione.


Il teorico più noto – ma non certo il solo – di questo progetto di grande respiro è stato Francis Fukuyama, profeta della “fine della Storia”. Ma anche l’ex Segretario di Stato Zbigniew Brzezinski ha dato un notevole contributo, sembrandogli che la scomparsa dell’Unione Sovietica avrebbe finalmente condotto al mondo unipolare che vagheggiava quando era consigliere per la sicurezza nazionale con Jimmy Carter dal 1977 al 1981.
Da questo punto di vista la continua espansione della Nato verso Oriente e il tentativo di trasformare la Russia in una potenza regionale come tante altre e, soprattutto, non ostile nei confronti degli Usa, altro non sono che conseguenze logiche del progetto di grande respiro prima menzionato. Tuttavia – come sempre accade – la Storia, nel senso attribuito a tale termine da Fukuyama e dai suoi seguaci, non si lascia incasellare entro schemi rigidi e preconfezionati. Procede, per così dire, lungo binari imprevedibili e non sottoposti al controllo di un solo Paese, per quanto potente esso sia.
Ecco quindi l’entrata in scena della Cina che, pur afflitta da molte contraddizioni, dimostra di poter svolgere un ruolo di primo piano nella politica internazionale diventando competitiva su più piani. Ed ecco, soprattutto, l’esplosione del fondamentalismo islamico, che gli americani in un primo tempo incoraggiarono in funzione anti-sovietica, salvo accorgersi in seguito che avevano favorito un nemico mortale.
Dopo il suo avvento al potere, Vladimir Putin si è mosso senza tregua per ristabilire un minimo di pluralismo nei rapporti tra gli Stati, e cercando a tutti i costi di impedire che l’America conquistasse il ruolo agognato di unico attore che conta. Una battaglia in effetti assai difficile, perché combattuta in un’epoca di globalizzazione rampante e solo in apparenza casuale. Anche in questo caso, infatti, c’è un progetto ben preciso. Il controllo Usa di Internet e di tutti i principali motori di ricerca fornisce una base incredibilmente efficace per realizzarlo. E, non a caso, il rifiuto della Cina e di altre nazioni di consentire libero accesso a Google e ad altri motori si spiega con il timore che il “soft power” americano conduca a una standardizzazione delle idee e dei costumi in ogni angolo del nostro pianeta. Fatto che, in parte, sta già realizzandosi.
Putin si oppone (o, almeno, cerca di farlo) ponendo l’accento sulla specificità non tanto di singole nazioni, quanto di blocchi di Paesi che hanno storia e tradizioni comuni. Accanto all’Occidente propriamente detto, che include gli Usa e gran parte dell’Europa, il leader russo vede la Cina come civiltà autonoma e potenzialmente alleata, e la suddetta Eurasia che include la maggioranza delle ex repubbliche sovietiche. Di qui, per esempio, (1) lo stretto legame con il Kazakhstan e la Bielorussia; (2) l’accettazione della sfida Nato che punta a includere l’intero Ucraina nel blocco occidentale; e (3) l’intervento decisivo in Siria per impedire che i fondamentalisti ne prendessero possesso.
I giochi sono tuttora in corso ed è arduo prevedere il risultato finale. Anche perché, come dimostrano recenti episodi, gli americani riescono (grazie alla loro enorme potenza tecnologica) a creare il caos nei rapporti internazionali colpendo i nemici e, se serve, anche gli amici che possono essere sacrificati. E’ una globalizzazione in fondo perversa e mirante al dominio, nonché basata sulla retorica dei diritti umani di cui Hillary Clinton è stata – ed è tuttora – la principale esponente, con Barack Obama a rimorchio.
Ma, anche in questo caso, la Storia si prende le sue vendette. Nella campagna elettorale Usa sono imprevedibilmente emersi due personaggi – Sanders e Trump – che, pur collocandosi agli antipodi nello spettro politico, rifiutano entrambi la logica che sottende l’agire dell’attuale amministrazione americana. E il discorso vale anche se si pensa alla candidatura di Corbyn nel Regno Unito. Il corso della Storia è, per l’appunto, imprevedibile, e alla lunga punisce il delirio di potenza.