La grande sorella
Sul “reality-show” Sarah Scazzi
di Rina Brundu. Stupisce, con il passare del tempo, l’evolversi del destino mediatico del caso Sarah Scazzi. E se da un lato non si può non avvertire il fastidio procurato da quei programmi che, all’insegna del motto noi-siamo-una-testata-giornalistica, sembrano determinati a toccare il fondo scavando e soppesando finanche l’ultimo granellino di sabbia portato colà da una folata di vento distratto, dall’altro non si possono non registrare le novità sostanziali che questo eccezionale caso di invito-al-mare-con-delitto ha portato seco.
Per dirne una, c’era un tempo in cui per acquistare celebrità immediata occorreva fare la coda davanti alle postazioni del programma Il Grande Fratello che, sparse in tutta Italia, miravano ad arruolare la gioventù aspirante, mentre adesso sembrerebbe che per ottenere lo stesso risultato occorra essere coinvolti, a vario titolo, in un eclatante caso delittuoso. Dico a vario titolo perché, il va sans dire che, pure nel lontano passato, chi si ritrovava suo malgrado coinvolto in una situazione così grave balzava all’onore delle cronache, anche nazionali, ma sicuramente mai sono stati toccati i livelli raggiunti nel caso di Avetrana, dove persino i cagnolini che passeggiavano melanconici lungo il tratto di strada incriminato hanno avuto il loro momeno di gloria.
Dopo le loro prime comprensibili perplessità, si è quasi avuta l’impressione che personaggi più o meno noti, più o meno scaltri abbiano fatto a gara per ritagliarsi un posto al sole (i cui dividendi, in dati casi, potrebbero pagare per il resto della vita) nella foto di gruppo che immortalerà questo momento-delittuoso a vantaggio dei posteri. E tanto è forte questa impressione che, essendo questo il mio terzo o quarto articolo sull’argomento, mi interrogo finanche sull’opportunità del mio stesso operare.
È davvero indispensabile? Nulla è indispensabile, ma tutto è necessario. Di sicuro, per chi ama imparare dalla realtà che diviene e che lo circonda, può essere necessario capire il perché dello status-quo. Il perché, per esempio, le necessità esistenziali dell’occhio del grande fratello (quello vero, quello di orwelliana memoria, per intenderci) si siano ingigantite in maniera così bulimica, portandolo addirittura a farsi beffe della sua versione catodica che mai come quest’anno vivacchia ignorata e fastidiosa sugli schermi televisivi.
Francamente, non saprei dire cosa ha determinato questo straordinario balzo “evolutivo” ma, per certi versi, non ho dubbi nel parlare di una vendetta delle ragioni nobili del suo esistere. Di una vendetta delle ragioni importanti (svilite a suon di consigli per gli acquisti) che avevano portato George Orwell ad immaginare un ambiente distopico unico, capace come pochi di costruire prigioni per l’Essere, capace di gravarlo fino quasi a schiacciarlo, capace di portarlo, con le buone o con le cattive, ad interrogarsi sulla sua natura, sulla sua essenza e sulla bontà del cammino che si era impegnato a percorrere. A ben guardare, questo prodigioso risveglio dal sogno-televisivo-indotto, potrebbe essere davvero il vero dono che ha portato nelle nostre vite la tragica vicenda del piccolo angelo Sarah Scazzi, la grande sorella.
Sono giusti i suoi commenti in quanto a macellazione mediatica,e non escludo nessun programma,d’altra parte oggi, anche i telegiornali sono diventati reality.Per me la chiamata in correità non si dovrebbe fermare a Sabrina è più ampia e ritengo addirittura che ci sia un elemento fondamentale, del quale nessuno ha parlato se non in modo marginale.Per quanto mi riguarda,credo che ora dovremmo solo sapere i colpevoli oscurando i processi mediatici per dare a Sara la pace che le è stata tolta in vita.