Sarah on the road
Uno scritto.
“Chi l’ha visto?” è una bella trasmissione, utile, ma che purtroppo guardo di rado. É stato quindi un caso l’avere seguito il programma proprio questa sera. O forse, a tenermi incollata al video, durante il solito zapping annoiato, è stata l’agitazione che regnava nello studio. Girava voce che Sarah Scazzi, la ragazzina di Avetrana (TA), scomparsa da casa lo scorso 26 Agosto, fosse stata uccisa.
Girava voce che lo zio, lo stesso che ha ritrovato il cellulare di Sarah pochi giorni fa, avesse confessato l’omicidio. Girava voce che i carabinieri stessero cercando il corpo di lei dentro un pozzo. Girava voce di due fermi di polizia giudiziaria già effettuati. E giravano mille altre voci, ipotesi, supposizioni, si, no, forse. Sempre senza uno straccio di conferma, ma in un crescendo di tensione che non lasciava spazio alla speranza.
Il dramma in diretta dunque. Inclusa la comunicazione della possibile morte di Sarah alla famiglia, alla madre, alla cugina, agli amici, in quel momento collegati con lo studio. E poi le voci hanno continuato a rincorrersi in Internet, il tutto dentro una dimensione impossibile da definire, come solo può accadere durante quegli attimi importanti nei quali una notizia si forma, non è ancora ragionevole definirla tale, ma è altrettanto difficile smentirla.
Bella Sarah. La sua foto sorride sorniona dalla homepage di ogni quotidiano. Giovane Sarah. Giovanissima. C’è nei suoi occhi un guizzo di sensuale innocenza, di adolescenziale incoscienza che, se fossero confermate le voci del ritrovamento del suo cadavere, ci sarebbe da domandarsi se questi fattori fisici e psichici non siano stati determinanti nel segnare il suo destino ultimo.
Mi colpisce, oltre la tristissima storia personale, il quadro di provincia che fa da sfondo a questa brutta vicenda. Emerge, e si fa spazio a suon di misfatti, un ritratto del paesotto-Avetrana che per molti aspetti si propone quale specchio deprimente e severo dove riflettono centinaia di altri paesotti simili, in un’Italia fondamentalmente dimenticata. Paesotti che muovono a ritmi pigri e cucinano a fuoco lento sotto il solleone d’estate che annienta ogni desiderio di essere e di fare, finanche di alzare lo sguardo, lungo il corso vuotato e solitario, per guardare l’unica auto che passa, che incidentalmente si ferma e porta via una ragazza. Per sempre.
E mi tornano alla mente anche i sogni di Sarah, che quel mondo avrebbe voluto dimenticarlo. Che un giorno l’avrebbe disertato per cercare la sua fortuna altrove, come milioni di altri cristi senza nome prima di lei, e molti altri che verranno, dopo. Difficile pensare che qualcosa, quasiasi cosa, potrà cambiare mai. Nel dubbio, Sarah on the road camminava verso il mare, calzoni corti, maglietta colorata, borsa sulle spalle, la stessa sensuale innocenza, adolescenziale incoscienza. Perché, a discapito della stasi eterna che la circondava, soffocandola quasi, Sarah sentiva dentro che in fondo era necessario andare, “e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare”[1].
Bella Sarah. E adesso non c’è più.
[1] On the road (1957), Jack Kerouac