LA BARBA DI DIOGENE, Dublin (EIRE) – 21 Years Online. Leggi l'ultimo pezzo pubblicato...

Fisici italiani nel Risorgimento. Con particolare attenzione alla vita e all’opera di Macedonio Melloni

Melloni

Macedonio Melloni

di Roberto Renzetti. I tentativi di ricostruzione di un periodo storico sono sempre complicati e discutibili. I documenti che servono allo scopo sono difficili da reperire e, comunque, nessuno garantisce della loro completezza. È chiaro quindi che solo un processo di "approssimazione successiva" può permettere la soluzione del problema: ciascuno metta a disposizione i tasselli di cui dispone in modo che il mosaico sia il più completo possibile.

        Nel numero di Sapere del marzo 1984, Arcangelo Rossi tenta una stimolante ricostruzione della nascita dell’Italia scientifica, nascita datata appunto intorno alla formazione dell’Italia come Stato Unitario (1). Credo valga la pena ampliare il discorso di Rossi per la parte relativa alla ricerca fisica in periodo preunitario, premettendo un paio di considerazioni.

        La prima cosa che mi interessa sottolineare è relativa alla datazione della nascita di un’Italia scientifica. Mi sono convinto che, particolarmente in Italia, quello che conta sono le Scuole e le tradizioni scientifiche e, in questo senso, mi pare si possa affermare che non vi sia nessuna frattura tra la “fine” della scuola galileiana e la fisica che si sviluppa in Italia a metà dell’Ottocento. Si può certamente parlare di una caduta di prestigio ma non certo della fine di una scuola e della nascita di una nuova.

        L’altra questione che merita risalto, soprattutto di questi tempi è il grandissimo impegno civile e politico dei fisici italiani (almeno nella loro parte più qualificata) durante il periodo della formazione dello Stato unitario.

        Agli inizi dell’0ttocento, dopo Volta, la ricerca fisica nel nostro Paese aveva perso gran parte del prestigio che l’aveva accompagnata nel passato. Le cause sono diverse ma si possono ricondurre tutte all’estrema frammentazione della ricerca, alla mancanza di una scuola di base, alla scarsezza, dispersione ed arretratezza tecnologica (le moderne macchine introdotte nell’industria si contavano sulle dita di una mano) ed imprenditoriale dell’industria, all’oscurantismo dominante in varie parti d’Italia (lo Stato Pontificio è l’esempio più evidente), alla difficoltà che i fisici avevano di incontrarsi. Quest’ultimo punto merita però una precisazione, proprio in relazione al lavoro di Rossi citato. È vero che tra alcuni stati gli «scambi culturali» erano abbastanza frequenti ma avevano soprattutto un carattere bilaterale, provinciale si potrebbe dire. Lo scambio collegiale, il Congresso, era qualcosa di impensabile tanto è vero che ci vorrà un gran lavoro per realizzarlo soltanto nel 1839. Insomma ciò, che con fatica, si tentò fu l’uscita della ricerca da un ambito cortigiano verso il livello cosmopolita dei vari altri Stati europei.

        Riguardo poi alla mancanza di finanziamenti la protezione del principe di turno non era sulla scienza ma sullo scienziato; ciò vuol dire che si entrava nell’ambito della protezione e della «munificenza» del principe solo quando ci si era fatti conoscere. Ed allora chi imboccava la «professione del fisico certamente doveva partire da una certa base materiale (un minimo di agiatezza famigliare) ed altrettanto certamente, da un certo punto in poi, doveva cominciare ad arrangiarsi (rendere economicamente redditizia la fisica). In mancanza di scuole e di strutture di ricerca tali da accogliere tutti coloro che si occupavano di ricerca ecco che, soprattutto in Italia, sorge la figura del «fisico inventore», del fisico che si costruisce strumenti che poi in qualche modo commercia (credo che solo i nomi di Mossotti e di Bartoli possano essere iscritti nell’ambito della fisica teorica). E saranno in gran parte proprio gli «inventori» a continuare a fare una ricerca con risonanza europea.

        Per le caratteristiche peculiari della ricerca scientifica lo spirito generale rimane comunque cosmopolita; diffusi rapporti si intrecciano tra ricercatori italiani e scienziati di Paesi scientificamente più avanzati (particolarmente Francia e Gran Bretagna) rapporti che venivano invece a mancare all’interno della comunità scientifica italiana per la già ricordata difficoltà interna di comunicazione. A questo stato di cose corrispondeva un diffuso senso di insoddisfazione che portò, dopo estenuanti fatiche, alla realizzazione del primo Congresso degli scienziati italiani che si tenne a Pisa nel 1839 (2) (e questa data può essere presa come quella che diede il via alla formazione di una moderna comunità scientifica in Italia).

        Questi congressi furono una delle più importanti occasioni per far incontrare gente proveniente dai vari Stati italiani al fine di tenere i collegamenti ed organizzare azioni volte al conseguimento dell’Unità. Vari storici attribuiscono a questo interesse per la «politica» la decadenza della fisica italiana in quel periodo ma, come vedremo, questa affermazione è almeno discutibile se solo si pensa che furono proprio i più importanti fisici italiani del periodo quelli maggiormente impegnati nel Risorgimento.

        Ma passiamo ora alla biografia di Macedonio Melloni, una delle maggiori “glorie della fisica italiana”, il “Newton del calore”, come lo definì A. de la Rive. Vedremo poi, in modo più succinto, alcuni momenti della vita e dell’opera di altri fisici italiani impegnati nel Risorgimento.

MACEDONIO MELLONI

        Macedonio Melloni nacque nel 1798 a Parma. Le agiate condizioni economiche gli permisero di iniziare gli studi nella sua città e quindi di proseguirli a Parigi (dal 1819), nella prestigiosissima École Polytechique degli Ampère, Laplace, Poisson, Fresnel. Tornato a Parma (1824) ottenne la cattedra di fisica teorico-pratica presso quell’Università diventandone titolare nel 1827. In quell’epoca divenne amico e collaboratore di L. Nobili.

        Nel luglio del 1830 scoppiarono a Parigi dei moti rivoluzionari e Melloni, nel novembre, lodò, all’apertura del suo corso, il comportamento degli studenti in quei moti aggiungendo che era doveroso insorgere contro i tiranni. Fu immediatamente destituito ed esiliato.

        Tornò a Parigi da dove ben presto ritornò a Parma. I moti rivoluzionari che nel 1831 investirono tutta Italia (e particolarmente i Ducati di Parma e di Modena) avevano permesso il formarsi a Parma di un Governo Provvisorio. Melloni, che era rimasto in contatto con l’ambiente liberale parigino, non fu estraneo alla rivolta e, durante gli scontri con le forze ducali, fu portato in trionfo dagli studenti insorti e chiamato a far parte del Governo Provvisorio. Nel marzo del 1831 l’ordine fu ristabilito dalle truppe austriache: Melloni riuscì a fuggire portandosi dietro una condanna del Governo Ducale restaurato. Riparò di nuovo in Francia e dopo una breve permanenza a Parigi, dovette recarsi a Dôle, una cittadina del sud-est della Francia, per insegnare fisica (quella sistemazione gli era stata trovata dal suo amico Arago e dovette accettarla perché privo di mezzi di sussistenza). Non potendo a Dôle portare avanti le sue ricerche, messo da parte un poco di denaro, si trasferì nella vicina Ginevra dove riprese i suoi studi con gli amici P. Prévost e A. de la Rive. Portato a termine uno dei suoi più importanti lavori ed incoraggiato dai suoi amici, si recò a Parigi per sottoporlo al giudizio dell’Académie des Sciences (un eventuale giudizio positivo gli avrebbe permesso di ottenere una qualche cattedra a Parigi con la quale rendersi indipendente economicamente e, ad un tempo, proseguire le sue ricerche). Gli «esaminatori» del lavoro di Melloni furono tre prestigiosi scienziati. Uno di essi, Poisson, dette parere sfavorevole e con ciò sfumò ogni speranza da parte del nostro.

        Fu questo un periodo di profonde amarezze testimoniato da una commovente corrispondenza con Michael Faraday (che riporto in altro articolo della rivista). Non aveva soldi, non aveva lavoro; era costretto, per vivere, a far da mediatore nel commercio di strumenti scientifici. Scriveva a Faraday di questa sua situazione inviandogli anche copie dei suoi lavori. Nel 1834 Faraday rifece le esperienze di Melloni davanti alla londinese Royal Society, dopo averne fatto oggetto di svariate lezioni alla Royal Institution. Gli scienziati della Royal Society furono entusiasti di quei lavori e premiarono Melloni con la Rumford Medal (una specie di Premio Nobel dell’epoca).

        Conseguenza di ciò fu che anche in Francia cominciarono gli entusiasmi per Melloni.

        Un’altra Commissione, composta ora dallo stesso Poisson, da Arago e da Biot, si riunì per riesaminare i suoi lavori e questa volta ne uscì con un rapporto estremamente favorevole (di 140 pagine, redatto da Biot e pubblicato — 1839 — nelle Memorie dell’Académie). Inoltre il ministro della Pubblica Istruzione gli fece dono di una somma di 1200 franchi. Melloni commentava con amarezza questi fatti rivolgendosi a Faraday: «…Debbo della riconoscenza a questi signori, e ne avrei… Ma l’opposizione scientifica francese ed i miei compatrioti (3) osservano che tutto ciò arriva dopo il premio della Royal Society…».

        Insieme al riconoscimento ufficiale francese, vennero svariati altri riconoscimenti da tutto il mondo e, tra l’altro, fu fatto socio dell’Accademia di Francia, di quella di Pietroburgo, di quella di Stoccolma e di quella di Berlino. Ma ciò che a questo punto più interessava Melloni era di tornare in patria ed egli usò la fama scientifica conquistata per riuscire ad ottenere un lavoro in Italia (grazie anche all’interessamento di Arago ed Humboldt). Nel frattempo aveva ottenuto la cattedra di Fisica all’Università di Montpellier e subito dopo a quella di Parigi. Nel 1838 arrivò l’amnistia del governo di Parma, ma Melloni non volle ritornare nel Ducato e preferì accettare il posto di direttore del Conservatorio d’Arti e Mestieri a Napoli. Qualche anno dopo (1843) si sposò con l’inglese Augusta Brugnel Philipson, dalla quale ebbe tre figlie, una delle quali morì giovanissima. Nel 1847 riuscì a portare a termine la fondazione dell’Osservatorio Meteorologico sulle falde del Vesuvio, del quale fu nominato direttore. Altre onorificenze si accumularono: la Legion d’onore francese, l’Ordine di Toscana, la Legion d’onore del Re del Piemonte, l’Aquila nera del Re di Prussia, ecc. Queste cose non lo commuovevano più di tanto: i moti del 1848 erano alle porte e, di nuovo, la politica era al centro dei suoi interessi. Ancora egli partecipò a questi moti ed ancora pagò: fu destituito da tutte le sue cariche e inviato al domicilio coatto nella sua villa di Moretta a Portici (1849). Nel 1853 ancora scriveva a Faraday inviandogli dei lavori ed aggiungendo delle considerazioni di interesse. Secondo Melloni era la fatale passione per la scienza che aveva seriamente compromesso il suo patrimonio; egli riusciva ora a sopravvivere solo grazie all’amicizia di Humboldt e dello stesso Faraday. Un anno dopo, 1854, moriva di colera.

        Melloni può essere considerato il fondatore della fisica della radiazione infrarossa. Egli sostenne e difese, con magistrali esperienze, la concezione secondo la quale la luce, la radiazione chimica (cioè: l’ultravioletta) e la radiazione oscura (cioè: l’infrarosso) non sono altro che manifestazioni diverse di uno stesso fenomeno; nel far questo aderì alla teoria ondulatoria della luce (la differenza fra i vari tipi di radiazione sta proprio nella lunghezza d’onda). Per portare a termine le esperienze a sostegno della sua teoria si servì del “termomoltiplicatore” (o pila termoelettrica) che egli stesso realizzò. Questo strumento, collegato ad un apparato di misura di piccolissime correnti (il galvanometro di Nobili) è in realtà un termometro sensibilissimo. Esso è realizzato a partire dall’effetto Seebeck con modifiche sostanziali (aumento del numero di saldature, riduzione della sezione dei metalli saldati, scelta della coppia di metalli più opportuna — antimonio-bismuto —, indipendenza dalle variazioni di temperatura dell’ambiente circostante; che resero questo termometro così sensibile da rilevare il calore del corpo umano a circa 200 metri di distanza.

        Con il termomoltiplicaiore Melloni riuscì a studiare svariati fenomeni ed in particolare a trovare:

– la diffusione dei «raggi calorifici» e la sua legge di variazione, per uno stesso corpo e per diverse sorgenti di calore;

– che l’irraggiamento notturno delle sostanze che hanno il massimo potere emissivo abbassa di appena 2 gradi la loro temperatura rispetto all’ambiente (fino ad allora, con i lavori di Wells, si credeva che questo abbassamento potesse arrivare ai 12 gradi);

– che un tale abbassamento da cui si origina la rugiada, è prodotto dall’irraggiamento e dalla continua reazione che l’aria raffreddata e quasi immobile esercita sulla temperatura propria dell’erba;

– che l’azione riscaldante di un centro d’irraggiamento decresce in ragione del quadrato della distanza;

– l’assorbimento termico dei gas;

– che i raggi calorifici seguono un cammino rettilineo, «istantaneo» ed indipendente dalle fluttuazioni dell’aria;

– che i raggi calorifici, come la luce, riescono ad attraversare svariate sostanze;

– che la luce diretta delle fiamme e dei corpi roventi è sempre accompagnata ad una certa quantità di radiazione oscura;

– che questa radiazione oscura ha uno spettro analogo a quello dei colori della luce;

– che il calore è soggetto a riflessione e rifrazione;

– che la radiazione calorifica può essere polarizzata come la luce;

– che non vi è luce senza calore («la luce fredda rimane esclusa dalla scienza»);

– che i raggi della Luna sono «caldi» ;

– l’applicabilità della teoria ondulatoria alla luce ed al calore;

– la necessità di ammettere nei corpi, oltre alla colorazione dovuta alla luce ed al calore, una colorazione dovuta alla costituzione chimica;

– che la retina non è bianca ma gialla (essa diventa bianca quando invecchia).

        Infine realizzò l’analisi calorifica dello spettro solare sia nel visibile che nell’infrarosso, inventò il magnetoscopio ed un elettroscopio di elevatissima sensibilità migliorò la sensibilità del galvanometro con svariati accorgimenti, studiò il magnetismo delle lave e delle rocce.

        Melloni rielaborò i suoi studi principali negli anni Napoletani e pubblicandoli nel 1850 (in francese). Il titolo di questa fondamentale opera, rimasta però incompiuta, è: “La Thermochróse (ou la coloration calorifique)”, essa è stata ristampata dall’editore Zanichelli nel 1954, in occasione del centenario della morte di Melloni.

OTTAVIANO FABRIZIO MOSSOTTI

        Ottaviano Fabrizio Mossotti nacque a Novara nel 1791 e si laureò in fisica e matematica presso l’Università di Pavia nel 1811. Iniziò a lavorare su questioni di fluidodinamica quando era ancora professore di liceo all’Istituto Lombardo. Riuscì a passare all’Osservatorio di Brera (Milano) nel 1813 e qui iniziò una brillante carriera di astronomo.

        Elaborò un nuovo metodo atto a determinare l’orbita delle comete; studiò la rotazione del Sole e la posizione dei pianeti rispetto all’eclittica insieme ad altre importanti questioni. Nel 1823 gli austriaci lo allontanarono da suo posto a causa delle sue idee liberali costringendolo ad emigrare. Cominciò così un pellegrinaggio (prima Genova, poi Ginevra) che lo portò a Londra (1825). Qui strinse amicizia con il celebre Young e riuscì ad ottenere un lavoro presso l’Ammiragliato e la fama dei suoi lavori gli fece ottenere l’iscrizione alla Società Astronomica di Londra. Tuttavia la precarietà della situazione lo spinse di nuovo ad emigrare (1827), questa volta in Argentina dove, per l’interessamento di alcuni amici, fu assunto come ingegnere, astronomo ed assessore dell’Ufficio Topografico di Buenos Aires.

        Ben presto passò ad insegnare fisica e calcolo differenziale presso l’università. Ebbe qui occasione di studiare l’eclisse solare del 1833 ed il passaggio della cometa di Enke (su questi argomenti inviò due memorie agli Atti della Società Astronomica di Londra). Nel 1834 gli arrivò la nomina a direttore dell’Osservatorio di Bologna. Lasciato i! posto a Buenos Aires, tornò in Italia (1835). Lo Stato Pontificio, però gli revocò la nomina, sembra a seguito dì pressioni austriache e Mossotti fu indennizzato con 2500 scudi che gli permisero di vivere per un poco di tempo a Torino. In questa città videro la luce due sue importantissime memorie, tra cui la famosa “Sur les forces qui régissent la constitution intérieure des corps”, dell’agosto 1836. Si avanza l’ipotesi che la materia sia costituita da uno svariato numero di molecole immerse in un etere indefinito; tra le molecole e gli atomi di etere agiscono tre tipi di forze (due attrattive ed una repulsiva come suggerito dalle teorie di Franklin e soprattutto di Epino); supponendo poi che l’etere sia continuo egli trova che le condizioni di equilibrio dell’ etere e delle molecole isolate devono prevedere che le molecole si circondano di una atmosfera di etere la cui densità decresce in funzione esponenziale della distanza. È interessante notare che Faraday rimase profondamente colpito dalla parte della memoria «raccontata»; ma poiché essa era piena di calcoli complicati non riusciva a rendersi conto se la matematica seguiva la parte descrittiva. Nel dicembre 1836 Faraday scrisse al suo amico matematico Whewell per chiedere la sua opinione sui ragionamenti matematici che nella memoria erano portati avanti (4). Accertata la correttezza della parte matematica, Faraday prese spunto da questa memoria per elaborare la XI serie delle sue “Ricerche Sperimentali sull’Elettricità” (novembre 1837).

        La seconda memoria riguardava la tensione del vapore acqueo.

        A seguito di un concorso, Mossotti riuscì ad essere nominato professore di matematiche superiori presso l’Università Jonia di Corfù. Ma finalmente, nel 1840, il Granduca di Toscana, lo chiamò alla cattedra di fisica matematica, meccanica celeste e geodesia all’Università di Pisa, cattedra che egli occupò solo nel 1843. Tra il 1843 ed il 1848, con una lunga serie di lavori continuò l’elaborazione della sua teoria molecolare fornendo una spiegazione della capillarità, della coesione dei liquidi, della polarità delle molecole, del loro potere isolante, del potere dielettrico di alcune sostanze (argomento sul quale tornerà con maggiori dettagli nel 1850).

        A proposito dei dielettrici, Mossotti anticipò in qualche modo la fondamentale scoperta di Maxwell della corrente di spostamento. Secondo Mossotti, infatti, quando la molecola di una sostanza dielettrica è sottoposta ad un campo elettrico subisce una modificazione in quell’etere che la circonda: esso si condensa da una parte della molecola stessa mentre si rarefà dalla parte opposta e ciò comporta la polarizzazione della molecola e quindi del dielettrico il quale acquista una «forza>> positiva da una parte ed una «forza» negativa dall’altra.

        Nel 1848 Mossotti (aveva quasi 60 anni!) con il grado di Maggiore, fu uno dei comandanti nella battaglie di Curtatone e Montanara (era alla testa dei battaglione degli universitari di Pisa).

        I generali Bichierai ed Angioletti raccontarono, quali testimoni, che mentre gli austriaci sparavano, Mossotti se ne stava in piedi a disegnare figure geometriche in terra servendosi della punta della spada. Tornato a Pisa, riprese i suoi Studi che condusse fino alla morte che avvenne a Pisa nel 1863.

        Sui lavori di Mossotti, c’è poi da ricordare il grosso contributo teorico dato alla costruzione di lenti, contributo che fu utilizzato da G. B. Amici per la costruzione di grandi obiettivi privi di aberrazioni di ogni tipo.

SILVESTRO GHERARDI

        Silvestro Gherardi, fisico e storico della scienza, nacque a Lugo di Romagna nel 1802. Studiò all’Università di Bologna laureandosi nel 1822 (matematica e scienze naturali). Fu subito assunto come assistente di fisica. Nel 1829 passò ad insegnare fisica generale, meccanica ed idraulica, ottica ed astronomia. Sul finire dello stesso anno divenne titolare di idraulica. Nei moti del 1831 comandò, con il grado di colonnello, il battaglione degli universitari. Nel 1832 passò alla cattedra di fisica generale. Nel 1848 fu di nuovo in prima fila: fu nominato Maggiore della Guardia Civica e, di nuovo, comandante del battaglione degli studenti. Fece poi parte del Comitato di Salute Pubblica che nell’agosto di quell’anno sconfisse gli austriaci. Nel 1849 fu chiamato, come deputato, alla Camera della Repubblica Romana; fu quindi membro della Costituente e segretario del ministero della Pubblica Istruzione del Governo della stessa Repubblica Romana. Partecipò alla difesa di Roma e, alla sua caduta (3 luglio), passò, insieme ad altri, alla difesa di Venezia (5). Alla caduta di quest’ultima (24 agosto), destituito dall’insegnamento, dovette fuggire rifugiandosi a Genova, dove insegnò fisica prima nelle scuole civiche e quindi nella Regia Scuola di Marina. Nel 1857 fu chiamato alla cattedra di fisica presso l’Università di Torino. In questa città, insieme a Carlo Farini, collaborò alla preparazione della Seconda Guerra d’indipendenza. Dal 1861 ebbe vari incarichi in giro per l’Italia (ormai unita), ricevette varie onorificenze dall’Istituto delle Scienze di Francia, fu per 5 volte presidente dell’Accademia delle Scienze di Bologna, fu membro dell’Accademia dei Lincei. Si spense a Firenze nel 1879.

        Gherardi scrisse molte cose ed a lui, intanto, va ascritto il merito di essere stato tra i primi divulgatori delle esperienze di Faraday sulle correnti indotte. Quindi scrisse di matematica (convergenza di serie), di termo-elettrologia, delle proprietà magnetiche di vari minerali. Ma i suoi lavori più importanti furono di carattere storico: scoprì vari documenti relativi al processo a Galileo (e di Galileo si occupò diffusamente in vari lavori); studiò a fondo i lavori di Galvani; fu uno dei commissari incaricati di riordinare e di studiare gli archivi ed il laboratorio di Volta; scrisse una storia dell’antica facoltà matematica di Bologna (che ebbe risonanza e fu anche tradotta in tedesco); raccolse e ristampò l’opera di Morgagni.

        Ho cercato di fornire un panorama certamente incompleto, di come l’attività politica si intrecciasse continuamente alla vita scientifica di vari ed importanti fisici italiani del secolo scorso. Altri scienziati ebbero analoghe esperienze (ad esempio il matematico Enrico Betti combatté a Curtatone e Montanara agli ordini di Mossotti; ma si potrebbero fare numerosi altri esempi). Il fatto che mi pare emerga è che, nonostante l’enorme difficoltà di comunicazione, che comportava uno spreco di tempo nel ripetere cose già fatte da altri, magari in una università vicina, la fisica italiana era al passo con le più avanzate ricerche che si facevano nel resto d’Europa. Si lavorava, negli stessi tempi, agli stessi problemi. Alcune volte vi furono importanti contributi dei nostri studiosi; altre volte, proprio per la mancanza di comunicazione, vi furono delle cose che avrebbero potuto avere esiti di gran lunga diversi da quelli che poi hanno avuto. Sta di fatto che paragonare le possenti scuole britannica, francese e tedesca, sostenute da ben altri apparati di ricerca, da ben altri finanziamenti e (almeno nel caso francese e tedesco) da une ben differente struttura scolastica di base, paragonare, dicevo, tutto ciò con la diaspora italiana è veramente fuor di luogo. Eppure quei fisici, che lavoravano in così gravi difficoltà, da una parte erano gli eredi della grande scuola scientifica che faceva capo a Galileo e dall’altra (e questo, per ciò che riguarda noi oggi. è l’aspetto più importante) hanno mantenuta viva una scuola di fisica in un periodo in cui sarebbe stato facile perderla per sempre. L’esempio dello Stato Pontificio è ancora, illuminante. Intanto osserviamo che fisici romani non ne abbiamo incontrati: l’oppressione da quelle parti funzionava meglio che altrove; mentre si svolgevano i fatti di cui abbiamo detto a Roma, veniva istituita, dopo duecento anni, una cattedra di fisica presso l’Università romana de La Sapienza. Questa non era una cattedra di fisica come le altre ma di Fisica Sacra (sulle vicende di questa Cattedra si può vedere l’articolo su questa rivista dal titolo ” Enrico Fermi e la Scuola di Roma: la rinascita della Fisica in Italia”).

        Questo era il clima che si respirava a Roma appena 130 anni fa ed a nulla valgono tutti quei tentativi di rivalutazione di questa iniziativa che, secondo alcuni, andava comunque nel senso di riportare la fisica all’interno di istituzioni educative: rimane il fatto che lo Stato Pontificio era una delle entità contro cui i fisici di cui ci siamo occupati si battevano (6). Una battaglia che, al di là dell’affermazione dell’Unità d’Italia, era volta soprattutto contro l’oscurantismo per l’affermazione del libero pensiero.

        Prima di terminare questo lavoro vorrei fornire alcune scarne biografie di altri scienziati che hanno avuto un ruolo attivo nel nostro Risorgimento.

AMBROGIO FUSINIERI

        Ambrogio Fusinieri (1775-1852) nacque a Vicenza e si laureò a Padova (in legge) nel 1794. Alla caduta della Repubblica di Venezia, con il Trattato di Campoformio, si recò a Milano dove rimase molto poco poiché, dopo la vittoria di Napoleone a Marengo fu abolita la cattedra di diritto civile e costituzionale che lui occupava a Brera (Milano). Riparò allora a Vicenza (sul finire dell’anno 1800), città nella quale rimase fino al 1848, anno in cui gli austriaci devastarono la sua casa ed il suo laboratorio. Fusinieri è ricordato come il fondatore della meccanica molecolare, argomento a cui dedicò svariati studi raccolti da lui stesso in tre volumi.

CARLO MATTEUCCI

        Carlo Matteucci (1811-1868) nacque a Forlì e studiò fisica e matematica presso l’Università di Bologna laureandosi in matematica nel 1828. Andò a perfezionarsi in Francia dove divenne amico di Arago. Nel 1831 tornò a Forlì, proprio all’epoca dei moti; profondamente liberale, fu perseguitato dal governo dello Stato Pontificio tanto che nel 1834 dovette abbandonare la sua città per rifugiarsi a Firenze. Per vivere gli fu offerto un posto di farmacista ma egli preferì partire per Parigi dove, dopo aver presentato alcune Memorie all’Accademia delle Scienze, acquistò una notevole fama che gli permise, tramite l’aiuto di Humboldt, di ottenere la cattedra di fisica sperimentale a Pisa (1840). Nel 1841 ricevette dall’Accademia delle Scienze di Parigi il premio bandito per la fisiologia sperimentale, e nel 1848 la Medaglia Copley a Londra. Nel 1848 e nel 1849 fece grande attività politica. Dopo l’unità (1862) fu nominato ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia (tra l’altro, a lui si devi l’unificazione dei programmi d’esame nelle varie università italiane).

        L’opera di Matteucci è cosi vasta che è praticamente impossibile riassumerla con una qualche completezza. I suoi lavori spaziarono dalla chimica, alla fisiologia, alla fisica. Indipendentemente dai lavori di Faraday, riuscì a stabilire le leggi dell’elettrolisi (1835); realizzò svariate esperienze, con conduttori lunghi diversi chilometri, per verificare se la terra poteva essere utilizzata come conduttore di corrente (1844); studiò la polarizzazione dei dielettrici (1847); studiò la propagazione dell’elettricità in corpi isolanti solidi, liquidi e gassosi, i fenomeni magnetici e diamagnetici (1853-1854), gli effetti delle aurore boreali sui fili telegrafici (1859). Ma i lavori per i quali Matteucci è più conosciuto sono quelli di carattere elettrofisiologico: studiando la corrente delle torpedini mostrò che la sua origine è in una zona dell’encefalo; scoprì le correnti di demarcazione e d’azione nei muscoli striati della rana; realizzò il primo modello fisico di un nervo; aprì la strada ai lavori di Du Boys-Reymond e di Hermann.

RICCARDO FELICI

        Riccardo Felici (1819-1902) nacque e studiò a Parma. Alcune lezioni di Mossotti e Matteucci, che gli capitò di seguire, lo spinsero verso la ricerca. Nel 1846 divenne assistente di Matteucci a Pisa e quindi professore aggregato. Nel 1848, col grado di tenente, combatté nel battaglione universitario, comandato da Mossotti, a Curtatone. Tornò quindi a lavorare a Pisa con Matteucci finché non lo sostituì nella cattedra (1853). Gli ultimi anni della sua vita li dedicò alla direzione de “Il Nuovo Cimento“.

        Felici fu un grande fisico, un eccellente sperimentatore, e un ottimo insegnante di fisica.

        Realizzava per gli studenti esperienze di gran valore didattico e poi ne discuteva a fondo.

        Era suo costume soffermarsi a discutere soprattutto le esperienze «non riuscite», fatto altamente educativo. Tra il 1851 ed il 1859 portò a termine il suo fondamentale lavoro sulla “Teoria dell’Induzione” nel quale egli fornì una formulazione matematica della legge di Faraday (l’altra formulazione matematica è dovuta a Neumann). Realizzò poi molte esperienze sui fenomeni induttivi, esperienze che aiutarono successivamente Helmholtz a scrivere, nel modo più generale, l’espressione del potenziale di un elemento di corrente agente su di un altro.

LEOPOLDO NOBILI

        Leopoldo Nobili (1784-1835) studiò a Modena nella Scuola Militare del Genio. Dopo aver partecipato alla campagna di Russia, fu nominato direttore della fabbrica d’armi a Brescia. Tornato a Modena, nel 1831 dovette fuggire a seguito del fallimento dei moti liberali in quella città. Fu esule a Parigi insieme a Melloni, con il quale pubblicò alcuni lavori. Ben presto però, a seguito della fama acquisita, fu chiamato a Firenze ad insegnare al Museo (dove lavorava Antinori) e qui rimase fino alla sua prematura scomparsa.

        A lui si deve la realizzazione di strumenti di misura di elevatissima precisione (galvanometro astatico e galvanometro comparabile; realizzazione insieme a Melloni della pila termoelettrica). Compì importanti studi sulla polarizzazione dell’elettricità che lo portarono a scoprire strani effetti che poi discusse presso l’Istituto di Francia (si trattava di nuovi fenomeni prodotti dalla pila voltaica che aprirono la strada ad un nuovo campo della fisica, la metallocromia). In seguito ad un indiretto suggerimento di Faraday, le sue ricerche lo portarono a trovare i1 fenomeno dell’induzione elettrodinamica prima che fossero noti i lavori di Faraday in proposito (tra l’altro il lavoro di Nobili risultava di una validità più generale di quello inizialmente presentato da Faraday). Studiò a fondo i fenomeni magnetici, portando importanti contributi al fenomeno del magnetismo di rotazione scoperto da Arago.

GIOVANNI BATTISTA AMICI

        Giovanni Battista Amici (1786 – 1863) nacque a Modena dove studiò filosofia e matematica (suo professore fu Ruffini). Si laureò a Bologna in Architettura ed Ingegneria (1807). Insegnò matematica nel liceo di Modena, e quando nel Ducato fu riaperta l’Università, passò ad insegnarvi matematica. Nel 1831 fu, per breve tempo, ministro della Pubblica Istruzione del Governo Provvisorio costituitosi dopo i moti di quell’anno. La restaurazione del Governo Ducale lo vide esule a Firenze dove era stato chiamato quale astronomo presso il Museo di Fisica e Storia Naturale. Nel 1848 fu senatore del Governo costituzionale Toscano. Nel 1859 lasciò il suo posto al Museo per passare a dirigere la sezione delle osservazioni microscopiche. Fu tra i più attivi preparatori dei Congressi degli scienziati italiani.

        In ottica egli realizzò importanti lavori: nei dispositivi (prisma a tetto, prisma a fischio, prisma a visione diretta che ancora oggi sono utilizzati e che portano il suo nome; negli strumenti astronomici (costruì un obiettivo a due lenti di 280 mm di diametro che, all’epoca, rappresentò un’ autentica meraviglia: il secondo al mondo per dimensioni); nella costruzione di microscopi catottrici e ad elementi acromatici (inventò un sistema per eliminare dal microscopio le aberrazioni cromatiche: la lente emisferica frontale che permise al microscopio di raggiungere la sua massima potenza; rese le visioni molto più chiare riuscendo ad allargare al massimo l’apertura dell’obiettivo mediante l’invenzione degli obiettivi ad immersione). La fama degli strumenti dell’Amici si sparse letteralmente in tutto il mondo e da tutte le parti arrivavano ordinazioni.

        Per quel che riguarda la biologia fece delle osservazioni botaniche, studiando, scoprendo e descrivendo ; fece poi delle osservazioni di patologia vegetale e di biologia animale (scoprì il processo di fecondazione delle angiosperme ad opera del budello pollinico e per più di 30 anni lui, da biologo dilettante, dovette difendere le sue vedute contro biologi di fama internazionale.

GIOVANNI CODAZZA

        Giovanni Codazza (1816 – 1877) nacque a Milano e si laureò in matematica a Pavia nel 1837. Dopo aver insegnato presso il liceo di Como, nel 1842 fu nominato professore di geometria descrittiva presso l’università ticinese. Nel 1848 si impegnò attivamente col Governo Provvisorio, tanto che, al ritorno degli austriaci, dovette andare esule. Dopo svariate vicende ritornò a Pavia dove, nel 1856 – 1857, insegnò scienza delle macchine. Dopo l’Unità passò ad insegnare fisica tecnica prima a Milano (1863) e quindi (1868) a Torino.

        Egli aderì subito alla teoria ondulatoria e studiò: la propagazione della luce in mezzi omogenei; i problemi dei rapporti tra etere e materia; la teoria del calore nell’ipotesi ondulatoria; la polarizzazione della luce sotto l’azione di magneti; il funzionamento delle macchine a vapore in relazione alla teoria meccanica del calore; il principio di conservazione della forza; alcuni aspetti costruttivi dei generatori di vapore e svariate altre cose.

GIOVANNI CANTONI

        Giovanni Cantoni (1818-1897) nacque a Milano e frequentò l’Università di Pavia dove si laureò nel 1840 in ingegneria ed architettura. Si occupò assiduamente dei rapporti tra fisica e filosofia. Lavorò a Milano e, nel 1848, fu uno dei preparatori delle 5 giornate, insieme a Correnti, Cattaneo ed altri: il suo ideale era repubblicano. Quando gli austriaci ripresero in mano la situazione fu esiliato a Lugano e nel liceo di quella città insegnò insieme a Cattaneo e a Vannucci. Fu un laico «mangiapreti»: “Badate, o Signori — disse — i nemici della scienza, sotto veste di campioni di fede, sono vigili sempre ed astuti oltre modo. Talché io vi raccomanderò di tenere bene aperti gli occhi e pronte sempre le armi della ragione e della civiltà“. Dopo l’Unità fu eletto deputato al Parlamento (1869) e nel 1870 fu nominato segretario generale della Pubblica Istruzione.

        Oltre agli importanti lavori sui rapporti tra filosofia e fisica e tra scienza e religione, si occupò di fisica molecolare; elasticità; osmosi; diffusione dei liquidi; teoria dinamica del calore; esperimenti sull’ evaporazione e diffusione dei liquidi; relazione esistente tra le calorie richieste a compiere alcune trasformazioni nei corpi e le loro proprietà elastiche; polarizzazione dei dielettrici; esperienze di elettrologia; esperienze di meteorologia.

NOTE

(1) Altre ricostruzioni sono state tentate. In particolare: quella di G. Penso in “Scienziati italiani ed Unità d’Italia”, Storia dell’Accademia Nazionale dei XL, Roma 1978; quella di P. Redondi in Storia d’Italia, Annali, 3, Torino 1980.

(2) Questi congressi si susseguirono poi periodicamente fino al 1847; i moti del ’48 provocarono la sospensione di queste riunioni. Si noti che agli scienziati operanti nello Stato Pontificio fu impedita la partecipazione al Congresso di Pisa.

(3) I compatrioti cui si riferisce Melloni sono tutti esuli liberali e mazziniani tra cui i suoi amici Giuseppe Lamberti, Pasquale Berghini, Pietro Giannone, Camillo Ugoni.

(4) È noto che Faraday ‘non conosceva’ la matematica.

(5) Si osservi che, come delegato della Repubblica Romana, il Gherardi, insieme a G. Manzoni, riuscì ad entrare negli archivi vaticani alla ricerca dei documenti relativi a vari processi dell’Inquisizione, tra cui quelli contro Bruno e Galileo. Gherardi fu, appunto, il primo a pubblicare i documenti originali del processo a Galileo in un lavoro del 1870.

(6) Nel dire questo non dimentico certamente il contributo scientifico di Padre Angelo Secchi.

BIBLIOGRAFIA

– “Elogio storico di Macedonio Melloni”, di G. Codazza. Estratto dal ‘Rendiconto della Società Reale Borbonica dell’Accademia delle Scienze’, 1854.

– “Cenni storici per M. Melloni”, di J. Guareschi, ‘Rendiconti dell’Accademia delle Scienze di Torino’, 1908.

– “Commemorazione del Prof. O. F. Mossotti” di G. Codazza, ‘II Politecnico’, Vol. XVII,1863.

– “Commemorazione del M.E. Prof. Giovanni Codazza” di R. Ferrini, ‘Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Rendiconti’, Serie II, Vol. XL, Fasc. Xl e XII, 1878.

– “Biografia del Membro… dell’Istituto Veneto…Ambrogio Fusinieri” di E.G. Venanzio, ‘Atti dell’Istituto Veneto’, Tomo X, Serie III, 1864/65.

– “Cenni biografici di Silvestro Gherardi” di G. Basso, ‘Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino’, Vol. 15, 1871.

– “Notizie sulla vita e sugli scritti di Carlo Matteucci” di R. Felici, ‘Memorie della Società Italiana delle Scienze’, Serie III, Tomo II, 1869/76.

– “Commemorazione del socio Riccardo Felici” di A. Roiti, ‘Rendiconti della Regia Accademia dei Lincei’, 1893.

– “Elogio del prof. Gio. Battista Amici” di G.B. Donati, ‘Atti dei Georgofili’, Nuova serie, TomoXI, 1864.

– “Cenni storici sulla vita e sulle principali scoperte del cav. Leopoldo Nobili” di P. Eusebio Giorgi, ‘Memorie di Matematica e di Fisica della Società Italiana delle Scienze di Modena’, Tomo XXII, 1839.

– “Commemorazione del sen. prof. Giovanni Cantoni” di O. Murani, ‘Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere’, Serie II, Vol. XXXII, 1899.

– G. Pancaldi, “Cosmopolitismo e formazione della comunità scientifica Italiana (1828 – 1839)”, ‘Intersezioni’ (Il Mulino), Anno II, n. 2, 1982.

– V. Ronchi, “Giovan Battista Amici ottico”, ‘Giornale di Fisica’, Vol. VI, n. 1, 1965.

– G. Arrighi, “Macedonio Melloni nelle carte dell’ archivio di stato di Lucca”, ‘Physis’, Anno VI, Fasc. 2, 1964.

– G. Arrighi, “Nel centenario della morte di G. B. Amici….”, ‘Physis’, Anno V, Fasc. 2, 1963.

– C. Morais, “Su di un obbiettivo costruito dall’Amici secondo la teoria del Mossotti”, ‘Physis’, Anno VII, Fasc. 2, 1965.

– G Arrighi, “Lettere di G.B. Amici nelle Biblioteche di Forlì e di Lugo”, ‘Physis’, Anno VII, Fasc. 1, 1965.

– M. Melloni, “Opere”, Zanichelli, 1954.

– AA. VV., “Storia d’Italia. Scienza e Tecnica. Annali 3”, Einaudi 1980.