Molti parlano di guerra civile negli Usa

di Michele Marsonet.
Sono ancora nitide negli occhi di tutti le immagini dei soldati della Guardia Nazionale Usa accampati, armi ai piedi, sulle scalinate del Campidoglio di Washington. Era il 6 gennaio 2021 e la capitale americana, con l’intero District of Columbia, venne militarizzata in modo rigido. Si temevano, infatti, assalti armati in vista dell’insediamento del nuovo presidente, il democratico Joe Biden, che sarebbe avvenuto di lì a pochi giorni. Intendiamoci, la Guardia Nazionale, di cui ogni Stato dell’Unione è dotato, esiste proprio per prevenire, ed eventualmente reprimere, disordini che le polizie locali non sono in grado di gestire. L’abbiamo vista in passato impegnata a fronteggiare tumulti razziali che erano finiti fuori controllo, oppure le manifestazioni che si succedevano quotidianamente ai tempi della guerra del Vietnam. Eppure quello fu un caso diverso. L’intervento – secondo molti tardivo – seguì l’assalto subito da alcuni luoghi-simbolo della democrazia Usa da parte di bande di scalmanati, molti dei quali travestiti con costumi improbabili. Ci furono anche dei morti, incluso un poliziotto che tentava di difendere degli spazi che per gli americani sono sacri. E molti di costoro erano pure armati, giacché negli Stati Uniti le armi si vendono nei negozi con una certa facilità. Destò parecchia impressione il fatto che la Guardia Nazionale fosse stata chiamata per sgomberare gli aggressori non dall’allora presidente in carica Donald Trump, bensì dal vice-presidente Mike Pence che, in questo caso, scavalcò con una procedura inusuale il suo diretto superiore. Se questa tragedia si fosse verificata, diciamo, a Caracas, Santiago del Cile o in qualche altra capitale dell’America Latina avrebbe destato riprovazione ma non sconcerto, giacché in quei Paesi i “golpe” militari sono endemici (anche se, per fortuna, meno frequenti che in passato). Invece è accaduto nella capitale della nazione leader dell’Occidente liberaldemocratico, e questo fa pensare. Da parecchio tempo l’estrema polarizzazione dello scenario politico Usa induce a parlare della possibilità di una “guerra civile”, espressione che negli Stati Uniti non era stata più usata dai tempi lontani della Guerra di Secessione tra Nord e Sud. E non basta. Nel pieno di quegli avvenimenti, alcuni generali e ammiragli sentirono la necessità di emettere un comunicato per ribadire che le Forze Armate Usa non hanno il compito di interferire nella vita politica del Paese.
E qui si percepì una polemica strisciante con Donald Trump che, negli ultimi mesi del suo mandato, aveva talora invocato l’intervento dell’Esercito per reprimere disordini. Questa è storia, ma non si può dire che ora la situazione sia molto migliore. Siamo quindi in presenza di una situazione piuttosto anomala per gli Stati Uniti. Nel frattempo FBI e servizi segreti continuano a monitorare le attività dei numerosi gruppi estremisti assai attivi sia destra che a sinistra. Difficile che riescano a ripetere l’impresa a Washington, ma dopo la sentenza antiabortista della Corte Suprema hanno subito assalti alcuni Campidogli in vari Stati dell’Unione. Questo scenario ha purtroppo compromesso in larga misura il prestigio internazionale degli Usa, rendendo più difficile la loro difesa dei principi di democrazia e di libertà nel mondo. Per capirlo è sufficiente esaminare le reazioni ironiche delle potenze autoritarie e dittatoriali, con Repubblica Popolare Cinese e Federazione Russa in testa. Per questo un periodo molto difficile attende Joe Biden. Deve infatti cercare di ricucire, per quanto possibile, gli strappi interni, e di ricostruire l’immagine internazionale degli Usa parando i colpi dei regimi autoritari che confidano in un declino definitivo dell’Occidente. Si dà però il caso che stia per compiere, il prossimo novembre, 80 anni. Età non certo adatta a reggere il peso del governo della prima potenza mondiale.
