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 L’India sull’orlo della guerra religiosa

di Michele Marsonet.

Si svolgeranno a breve, nella Federazione Indiana, delle elezioni locali che potrebbero grandemente influenzare lo scenario nazionale. Sono coinvolti tra gli altri, il Punjab e l’Uttar Pradesh. Quest’ultimo conta oltre 240 milioni di abitanti ed è, pertanto, lo Stato indiano più popoloso. Rappresenta inoltre un grande serbatoio di voti per il “Bharatiya Janata Party” (BJP), il partito dell’attuale premier ultranazionalista Narendra Modi.
Il problema è che le suddette elezioni si terranno in un momento che vede una crescita esponenziale della tensione tra la maggioranza indù, alla quale appartiene lo stesso Modi, e le minoranze religiose che si sentono discriminate dagli indù. In primo luogo i musulmani e poi anche i cristiani, tanto cattolici quanto protestanti.
Per capire quanto sia seria la situazione, basti dire che il partito al potere può contare su una forte organizzazione paramilitare, la “Rashtriya Swayamsevak Sangh” (RSS), che si occupa di provocare scontri con i musulmani. Ai suoi militanti è assegnato il compito di organizzare gli indù, rafforzando la loro comunità e la loro religione.
Per esempio, quando dalle moschee di diffonde il canto dei muezzin, i membri dello “RSS” devono recitare con gli altoparlanti i versi dei testi sacri induisti. Ovvio che la situazione, già tesa di per sé, rischia costantemente di degenerare poiché, com’è noto, anche i fedeli dell’islam non scherzano quanto a radicalismo.
Il fatto è che queste politiche aggressive hanno il supporto diretto del governo di New Delhi, e non risulta che Modi abbia espresso parole di condanna o abbia preso le distanze.

Al contrario, il suo partito e le organizzazioni paramilitari ad esso collegate hanno candidato come premier dell’Uttar Pradesh Yogi Adityamath, un membro del clero induista di tendenze assai radicali, secondo il quale non bisogna permettere agli islamici di vivere nell’Hindustan. Anche lui può contare su una milizia paramilitare che obbedisce ai suoi ordini.
I suoi militanti s’impegnano nella difesa della vacca, animale sacro nella religione indù, danno la caccia ai musulmani che trasportano bovini e hanno imposto la chiusura di tutti i mattatoi presenti nello Stato. Si schierano inoltre a difesa del tradizionale sistema delle caste e intendono impedire la presunta tendenza dei giovani musulmani a sedurre le ragazze indù per convertirle all’islam.
Poiché si parla in ogni caso di formazioni paramilitari armate (incluse quelle create dai musulmani), è ovvio che in occasione delle elezioni imminenti il rischio di scontri sanguinosi sta aumentando a dismisura. Anche se gli esponenti moderati di tutte le comunità non si stancano di rammentare al grande pubblico gli immani massacri – un vero e proprio bagno di sangue – che si ebbero all’epoca dell’indipendenza e del distacco tra India e Pakistan.
I sondaggi dicono che, nell’Uttar Pradesh, il partito di Modi vincerà di nuovo. Il vecchio partito laico del Congresso – quello di Gandhi e Nehru – è ormai l’ombra di se stesso e nessuno sembra avere la forza di contrastare gli estremisti. Destino triste per una nazione che ama definirsi “la più grande democrazia del mondo”.