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Il Giappone e l’Indo-Pacifico

di Michele Marsonet.

L’avvento al potere del 65enne Fumio Kishida, e l’ennesimo successo del suo Partito Liberal-Democratico, non lasciano presagire cambiamenti di grande portata nel posizionamento nipponico sullo scacchiere internazionale. La stampa locale ha salutato con favore la premiership di Kishida, anche perché il suo predecessore Yoshihide Suga, premier per un periodo molto breve, si era più che altro segnalato per la sua mancanza d’iniziativa.
Kishida è un moderato e proviene da una dinastia politica di Hiroshima. In precedenza è stato Ministro degli Esteri in due dei governi presieduti da Shinzo Abe. Ciò significa che è stato scelto soprattutto per la sua riconosciuta competenza in fatto di politica estera, settore che per l’impero del Sol Levante sta diventando sempre più importante a causa delle forti tensioni che caratterizzano l’area dell’Indo-Pacifico.
Pur essendo considerato, come si diceva dianzi, un moderato all’interno dell’establishment liberal-democratico, Kishida ha sempre sostenuto una tesi cara a Shinzo Abe, vale a dire la necessità che il Giappone, terza economia del pianeta, recuperi il ruolo di grande potenza politica che aveva perduto dopo la disastrosa sconfitta nel secondo conflitto mondiale.
Già come Ministro degli Esteri si era recato più volte in visita nella Corea del Sud, a Taiwan e nei Paesi del Sud-Est asiatico. Non a caso proprio le nazioni che ai tempi dell’impero rampante erano tributarie del Giappone in modo diretto (in quanto colonie) o indiretto. In fondo i giapponesi non hanno mai davvero abbandonato il progetto della “Sfera di co-prosperità della grande Asia Orientale”.
Fu elaborato, tale progetto, dai grandi strateghi dell’imperialismo nipponico, con in testa il generale e Primo Ministro Hideki Tojo, capo del partito bellicista e poi giustiziato dagli alleati come criminale di guerra nel 1948.

Dal punto di vista giapponese le motivazioni sono ancora valide. Si tratta di legare a Tokyo nazioni più deboli ma ricche di materie prime, di cui notoriamente il Paese dei samurai scarseggia.
Kishida ha sempre insistito – al pari di Abe – sull’importanza dell’alleanza “Quad” che riunisce, in funzione anti-cinese, Stati Uniti, Australia, India e lo stesso Giappone. La politica estera aggressiva e la crescente potenza militare di Pechino preoccupano il nuovo Primo Ministro, al di là della contesa sulla sovranità del piccolo arcipelago delle Senkaku. Proseguirà quindi ad appoggiare nazioni come Vietnam e Filippine che hanno avuto scontri (anche armati) con la Repubblica Popolare.
Fatto ancora più importante, Kishida ha espresso preoccupazione per le mire cinesi su Taiwan, che Tokyo considera alleato prezioso e indispensabile. In questo senso il Giappone è totalmente d’accordo con l’intenzione di difendere ad ogni costo l’isola (che per decenni è stata colonia nipponica). Né si può sottovalutare l’allarme suscitato dai continui lanci di missili da parte della Corea del Nord, che spesso sorvolano proprio il territorio del Sol Levante.
E’ plausibile prevedere che Kishida si scontrerà con i pacifisti che in Giappone possiedono un’influenza notevole. Non tale, però, da bloccare la modifica della Costituzione pacifista scritta e imposta dal proconsole americano a Tokyo nell’immediato dopoguerra, il generale Douglas MacArthur. Si tratta solo di capire sino a che punto vorrà differenziarsi da Shinzo Abe.
E’ pure prevedibile che, seguendo il trend inaugurato dallo stesso Abe, verranno molto rinforzate le forze armate, già ora di dimensioni rispettabili e assai avanzate dal punto di vista tecnologico. Pechino avrà insomma a che fare con un avversario temibile, in aggiunta ai molti scesi in campo dopo l’avvento di Xi Jinping.