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Un Giappone meno attento alla politica estera

di Michele Marsonet.

Le recenti elezioni politiche giapponesi (31 ottobre) hanno decretato, ancora una volta, il successo del Partito Liberal-Democratico, che dal dopoguerra ha quasi sempre governato il Paese (con interruzioni piuttosto sporadiche).
Dopo la breve parentesi di Yoshihide Suga, il nuovo premier è il 64enne Fumio Kishida che siede nella Camera dei rappresentanti dal 1993, e in precedenza è stato Ministro degli Esteri dal 2012 al 2017 in due dei governi presieduti dall’ex premier Shinzo Abe.
Si tratta quindi di una figura che ha una notevole esperienza governativa, certamente maggiore rispetto a quella del predecessore Suga. Per di più in un settore fondamentale per il Giappone come quello degli affari esteri.
Kishida ha vinto in settembre le primarie per la leadership dei liberal-democratici e, come sempre accade nel Paese del Sol Levante, tale vittoria è stata il trampolino di lancio per la conquista della posizione di primo ministro.
Nessun dubbio che le recenti elezioni siano state un successo per il partito di maggioranza relativa. Ha infatti ottenuto 261 seggi su 465, pur perdendone 23 rispetto alla precedente tornata elettorale. Sommati ai seggi del partito alleato “Komeito”, di ispirazione buddista, le elezioni hanno fornito al nuovo premier una solida maggioranza di ispirazione conservatrice.
Kishida dovrà ora rilanciare l’immagine internazionale del Giappone, un po’ offuscata dopo il ritiro dalla scena politica di Abe. Quest’ultimo aveva praticato una politica estera molto assertiva, promettendo di ricostruire la potenza bellica nazionale dopo che per decenni il tema era stato considerato tabù.

Dovrà anche confrontarsi con le pulsioni pacifiste di una parte consistente dell’opinione pubblica. Dotato di una Costituzione integralmente pacifista e imposta dagli Alleati vincitori, e in particolare dal proconsole Usa, il generale Douglas MacArthur, il Giappone sembrava destinato a perseguire soltanto obiettivi di tipo economico.
Il successo, com’è noto, è stato notevole, tanto da collocare il Paese al terzo posto nell’economia mondiale. Abe cercò con forza di rovesciare tale trend, procedendo a un rapido riarmo per rispondere alla minaccia – tanto militare quanto economica – posta dalla Repubblica Popolare Cinese.
Ed è, questo, il tema principale con cui il nuovo premier dovrà confrontarsi. Anche perché, insieme a Stati Uniti, Australia e India, fa parte della “Quad”, alleanza creata proprio in funzione anti-cinese. Per vari motivi, tuttavia, il Giappone sembra in questo periodo assai meno deciso ad affrontare sfide internazionali.
La natalità, proprio come accade nelle nazioni occidentali, è scesa ai minimi storici causando l’invecchiamento progressivo della popolazione. E pure l’interesse per la politica è diminuito. Contrariamente a quanto accadeva in precedenza, l’affluenza alle urne è stata del 55,9%, in forte calo rispetto alle elezioni precedenti.
Si tratta ora di capire se Kishida seguirà le orme di Abe cercando di proiettare il Giappone all’estero anche dal punto di vista militare (e sfidando i pacifisti che contestavano il suo predecessore nelle piazze), oppure se preferirà concentrarsi sui problemi interni.
Da notare che le delegazioni giapponesi al G20 di Roma e al COP26 di Glasgow erano di basso profilo. Tokyo di è giustificata con la scusa delle concomitanti elezioni politiche. Ma gli Stati Uniti temono invece che ciò significhi la fine dell’era Abe e un ripiegamento del Giappone su se stesso.