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La Storia in Kant e Herder

di Michele Marsonet.

Parlando di illuminismo, abbiamo accentuato la lezione dei francesi, dove andrebbero inclusi doverosamente anche taluni autori tedeschi. Tale prospettiva va quindi integrata con la mentalità soprattutto di Kant e di Lessing. Quest’ultimo critica la ragione astratta dei “philosophes”, e parla di una ragione umana intrinseca al movimento storico del genere umano il quale va educandosi progressivamente e dialetticamente, grazie all’attestato storico della Rivelazione.
Nella famosa opera del 1780, “L’educazione del genere umano”, si legge: “La Rivelazione non dà nulla al genere umano cui non possa arrivare anche da sola l’umana ragione; ma essa offre all’umanità i più importanti dei suoi beni prima della stessa ragione”, ossia la potenzialità pedagogica di educare progressivamente la coscienza del genere umano. Siamo dunque in una prospettiva di Rivelazione storica e progressiva. Dio adatta le verità eterne al modo graduale di essere comprese dall’uomo, lungo il decorso dei secoli; e così si spiega il linguaggio immaginoso dell’Antico Testamento rispetto a quello più raffinato del Nuovo.
Sfruttando lo schema di Gioacchino da Fiore risalente al XII secolo, Lessing asserisce che la Rivelazione si snoda nella storia in tre grandi epoche: Antico Testamento, in cui prevale la figura del Dio Padre e la religione del timore; Nuovo Testamento, incentrato sulla figura di Gesù Cristo, maestro di vita interiore ed assertore della religione dell’amore; età dell’Evangelo eterno, o epoca dello Spirito, in cui l’uomo “farà il bene perché è bene”, al di là delle pragmatiche ricompense promesse nella vita ultraterrena.
Questa prospettiva lessinghiana è importante per la dimensione della coscienza storica che sottende: nessuna epoca può ritenersi depositaria di verità assoluta e definitiva, ma ognuna di esse è necessaria per la realizzazione del processo storico totale. Pur avendo posto a fuoco il nesso tra verità e storia, il messaggio lessinghiano trova il suo limite nell’asserzione che la Rivelazione anticipa qualcosa di essenzialmente vero che la ragione, con più tempo e maggior fatica, avrebbe potuto raggiungere da sé.
Dal canto suo, Kant si è occupato a più riprese, ma soprattutto negli anni maturi, del problema filosofico della storia. Nel saggio “Sulle diverse razze degli uomini” prende partito per la tesi di Buffon e convalida l’idea biblica del monogenismo. Lo scritto dell’anno seguente “Determinazione del concetto di una razza umana” (1785) si propone di dedurre l’unità del genere umano dalle caratteristiche strutturali e climatologiche degli uomini nei vari continenti. In un altro scritto del 1784, “Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico”, si accentua la divergenza di opinione tra Kant e Herder per il fatto che quest’ultimo non sappia rassegnarsi all’idea di riporre il progresso del genere umano nella specie e non nell’individuo, e inoltre che l’uomo necessiti di un “padrone” per vivere disciplinatamente in società.
Oltre che in questo scritto, Kant ribadirà le sue convinzioni anche nella critica severa cui sottoporrà l’opera di Herder, “Idee sulla filosofia della storia dell’umanità”. Al di là della polemica anti-herderiana, lo scritto merita attenzione per alcuni suggerimenti metodologici in alternativa al provvidenzialismo di Sant’Agostino, Bossuet, Vico, e al meccanicismo illuministico. Il mondo della storia viene a coincidere con la “cultura” che dà vita al regno dei fini. In esso l’uomo vive contemperando la cupidigia individualistica e l’esigenza di socialità. Il futuro storico che voglia scoprire il filo conduttore della storia dovrà tenere conto di queste due spinte antagonistiche che orientano l’uomo nel suo agire, pervenendo a scoprire un disegno teleologico nella Natura. La storia non è campo del giudizio determinante, ma di quello riflettente. Questo principio metodologico avrà importanti sviluppi nella distinzione dello storicista Dilthey tra lo “spiegare” delle scienze naturali e il “comprendere” delle scienze morali o spirituali. Seguono nove tesi fondamentali:
1) tutte le disposizioni naturali dell’uomo un giorno avranno il loro completo sviluppo conforme al loro scopo; 2) le naturali disposizioni, finalizzate all’uso della ragione umana, trovano completo svolgimento solo nella specie, non nell’individuo; 3) l’uomo deve trarre dal proprio intimo tutto ciò che trascende il mero esercizio dell’esistenza animale e attingere con la ragione la meta della felicità; 4) il mezzo di cui la natura si serve per attuare lo sviluppo delle perfezioni umane è il loro antagonismo nella società. L’uomo è un essere “dall’insocievole socievolezza”; 5) nella società la legge deve essere fatta valere per costrizione finché l’uomo non si abitui a rispettarla liberamente; 6) l’uomo è come un “legno storto”; dal momento che vive con altri esseri della sua specie ha bisogno di un padrone. La settima e l’ottava tesi trattano del passaggio dal fanatismo nazionale al patriottismo e al cosmopolitismo di stampo illuministico; 9) l’ultima tesi insiste sul motivo criteriologico di rinvenire un filo conduttore per “rappresentarci come un sistema quello che altrimenti ci apparirebbe come un informe aggregato di azioni umane”.

Se si prendono in esame altri scritti di analoghi argomenti, e segnatamente: Sopra il detto comune: “questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica” (1793), “Per la pace perpetua. Progetto filosofico” (1795), “Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio” (1798), si riscontra l’interesse kantiano a teorizzare per la società civile la costituzione politica che gli sembra migliore, e che è quella repubblicana. Solo una tale costituzione all’interno di una federazione di liberi Stati può incentivare il diritto cosmopolitico e garantire una pace stabile e perpetua, eliminando le principali ragioni di guerra tra gli Stati.
Quanto, poi, a sapere se il genere umano avanzi verso il peggio, verso il meglio (ipotesi dell’eudemonismo), o se si mantenga nel grado attuale del suo valore morale, Kant manifesta le sue perplessità su ciascuna di queste prospettive e ribadisce la difficoltà oggettiva di una risposta soddisfacente, essendo in gioco la libertà dell’uomo. Suggerisce di individuare un qualche segno storico che consenta una risposta. Individua tale segno storico nella Rivoluzione francese, aspirazione dei popoli a darsi una costituzione civile e ad eliminare le guerre offensive, quale tendenza del genere umano a progredire verso il meglio. Ma non si illude. Chiama in causa l’opera della Provvidenza quale incentivo del progresso civile e morale, giacché tale progresso procede “non dal corso delle cose dal basso all’alto, ma dall’alto al basso”.
Pensatore esuberante e scrittore prolifico, Johann Gottfried von Herder non ha il rigore logico di Kant e disdegna la riflessione astrattamente formalizzata. Ama, invece, l’osservazione diretta della Natura che spesso trasfigura con esaltazione lirica. L’influsso della fantasia è esuberante in lui a tal punto che Kant, non senza una punta di ironia, diceva di non essere in grado di capirne i voli avventurosi. La riflessione herderiana sulla storia risente dei suoi interessi per lo studio del linguaggio, della Bibbia, delle varie civiltà e delle scoperte dei naturalisti.
Nel sintetico opuscolo del 1773, “Ancora una filosofia della storia dell’umanità sulla civiltà del genere umano”, Herder prende partito contro i deisti e gli illuministi, esprimendo ammirazione per Shakespeare. L’uomo, soggetto della storia, si connota soprattutto per il linguaggio, le cui quattro leggi fondamentali suonano in questi termini: 1) mediante la lingua l’uomo si attesta come essere pensante e in via di progresso; 2) l’uomo è elemento naturale della società: elaborare una lingua è sua esigenza naturale, essenziale e necessaria; 3) a lungo andare il genere umano si differenzia in varie razze e lingue; 4) le varie civiltà fanno parte di un’unica catena del progresso del genere umano.
L’uomo è il fiore più bello della natura, situato al livello più alto della vita organica e aperto agli orizzonti della vita spirituale. Egli deve comprendersi “sotto i raggi dell’alba”, nutrendo venerazione per la natura ricca di luce e di fascino. Su questo panorama estatico egli fa cadere la illuminazione della Bibbia per rendere conto del dramma della caduta dei progenitori. In questo egli crede molto di più alla Sacra Scrittura che a Rousseau e agli illuministi francesi, anche perché condanna lo spirito “fiscale” e naturalistico dell’illuminismo per preferirgli una visione organica cosmico-antropologica.
Sul rapporto uomo-natura e uomo-storia domina la realtà di Dio pedagogo dell’umanità. Il Creatore non livella gli uomini, ma li fa prosperare in una varietà ammirevole di sensibilità e costumi vari. E’ pur vero che talune civiltà possono essere interpretate come l’infanzia dell’umanità (epoca dei patriarchi), altre come la giovinezza (Fenici e Greci), ed altre ancora come la maturità (Romani), ma non bisogna dimenticare che ogni civiltà esprime un valore a sé stante, è come un albero che cresce, dà i suoi frutti e muore. Non bisogna interpretare le varie civiltà con un unico parametro razionalistico, come fanno Hume, Voltaire, etc. Ogni uomo deve essere contento di appartenere alla propria civiltà, come espressione di una tipica teologia federativa, giacché Dio assegna a ogni popolo una missione insostituibile. Sicché: “Il tedesco non dovrebbe aspirare al cedro del Libano, alla vite della Grecia, all’alloro della Grecia, ma godere delle mele selvatiche delle sue sacre foreste”.