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Domos de Janas

di Massimo Pittau.

La tesi che sto sostenendo circa la celebrazione anche di riti funerari dentro o attorno al nuraghe-tempio, è confermata in maniera evidente da una circostanza incontrovertibile: attorno a moltissimi nuraghi si conservano ancora le tracce di altrettanti “cimiteri”. Gli esempi e le citazioni possono a questo proposito essere innumerevoli; comincio con una notazione di Alberto La Marmora: «Le vere tombe, su cui non abbiamo alcun dubbio, son quasi sempre sparse all’intorno a piccolissima distanza da questi monumenti; e sono ora le sepolture dei giganti, ora altre tombe di questo genere più ordinarie, ora stanze scavate sulla roccia stessa su cui riposa il nuraghe»(Viaggio in Sardegna»,vol. II cap. Tombe di giganti). E da parte sua l’archeologo Giovanni Pinza (Monumenti primitivi della Sardegna, Carlo Delfino editore, Sassari, 1980) ha scritto che i nuraghi «frequentemente sono associati a domos de janas od a tombe di gigante».- La vicinanza topografica e la conseguente connessione archeologica e culturale delle «tombe di gigante» o gigantinos coi nuraghi può essere dimostrata con numerosi esempi. Mi preme, però, mettere in risalto che anche numerose tombe scavate nella roccia, le domos de Janas,si trovano nelle immediate vicinanze di nuraghi. Cito in proposito le numerose domos de Janas del riu Molinu di Cossoine, che hanno quattro nuraghi vicini; quelle adiacenti ai nuraghi S’Ena di Onanì, Castru Longu di Gavoi, San Leonardo di Ittiri, Eremitu di Sassari, a un nuraghe di Sant’Antonio Ruinas; quelle scavate ai piedi dei nuraghi Sirilò di Orgosolo, di San Pietro di Sorres, Succoronis e Ruju di Macomer; San Salvatore e Monti de Terli di Tortolì, sa Fossada di Escalaplano; quelle indicate dall’ingegnere Emanuele Melis presso i nuraghi di Nostra Signora di Loreto, Tarasunele, Istèvene, Orgorù, Lidana, Marqasunele, Arrailo 1°, Arrailo 2°, Arrailo 3°; quelle scavate in un costone di roccia, che sovrasta una grande curva della strada Suni-Padria; quelle di Furreddu presso il nuraghe de Tanca Manna di Nùoro, ora purtroppo distrutte; un Furreddu de Giana esisteva ai piedi del Nuratze di Tonara, presso il quale qualche decennio or sono è stato trovato uno scheletro.- L’ingegnere Melis ha messo alquanto in dubbio la tesi, comunemente ripetuta dagli archeologi recenti, secondo cui fra le domos de Janas e i gigantinos si debba stabilire una forte differenza cronologica e culturale, in quanto le prime apparterrebbero all’età prenuragica, le seconde all’età sardo-nuragica. Io condivido i dubbi del Melis e dico che, pur accettando a grandi linee quella differenza fra le due epoche e le due culture, non si può stabilire alcun taglio di continuità culturale fra i due tipi di sepoltura. Costituiscono buona prova di ciò alcuni fatti caratterizzati da elevato valore dimostrativo: 1°) Ho detto poc’anzi che non solo i gigantinos,ma anche molte domos de Janas si trovano nelle immediate vicinanze di nuraghi, per cui non possono, in linea generale, non essere interpretate come contestuali e coeve ad essi. 2°) Nelle vicinanze di qualche nuraghe, ad es. quelli di San Nicola di Nulvi e di San Salvatore di Tortolì, si trovano non solamente i gigantinos,ma anche le domos de Janas. 3°) Si conoscono ormai numerosi esempi di tombe rupestri che mostrano la perfetta continuità di transizione e la stretta connessione culturale fra le domos ed i gigantinos; particolarmente significativa è la «porta dell’oltretomba», tipica dei gigantinos, che si trova scolpita tale e quale anche nel frontone di non poche domos de Janas del Sassarese.D’altronde si deve segnalare che, mentre gli archeologi recenti sono soliti accentuare parecchio la differenza cronologica e culturale fra le domos e i gigantinos,l’archeologo che li ha preceduti, Antonio Taramelli (Laerru. Esplorazione dei monumenti megalitici cit. pg. 123), si era espresso in questo differente modo: «Oltre ad aver rinvenuto gli anelli che uniscono le due forme di sepoltura megalitica ed ipogeica, fu anche accertata la persistenza delle domus de ianas, caratteristica dell’eneolitico sardo, come di altri orizzonti mediterranei, nella piena età dei nuraghi, vale a dire nell’età dei metalli, poiché è indispensabile lo strumento metallico per aver ragione del durissimo basalto in cui son scavate le domus di Chirighiddu, di Mura Iddari, di Fontana Orruos, come tante altre, aperte nelle rocce laviche recenti ed antiche; in modo che non solo per la presenza della suppellettile ceramica simile a quella data dai nuraghi, ma anche per la tecnica dell’escavazione esse appartengono al grande periodo nuragico». D’accordo col Taramelli è, del resto, un altro autorevole archeologo, Massimo Pallottino (La Sardegna Nuragica, Roma 1954, pg. 55): «Per tutto lo sviluppo della civiltà paleosarda perdurano parallelamente le due tradizioni dei sepolcri scavati artificialmente nella roccia e dei sepolcri costruiti».- Invece, per continuare a sostenere la ipotesi della totale differenza cronologica e culturale fra le domos de Janas prenuragiche e i gigantinos sardo-nuragici, archeologi recenti hanno escogitato l’ipotesi del “riuso delle domos da Janas da parte dei Sardi Nuragici”. Io respingo decisamente questa “trovata”, posto che il fortissimo tabù funerario che è esistito dappertutto e in tutti i tempi ha rifiutato in maniera assoluta che una tomba scavata e occupata da defunti precedenti, venisse in seguito adoperata come tomba di defunti seguenti; salva qualche rarissima eccezione.

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