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Sulla responsabilità morale della stampa Dem nei fatti americani

di Rina Brundu.

Stasera abbiamo visto qualcosa di impressionante in America, qualcosa che non avremmo mai voluto vedere e che non avremmo mai pensato di poter vedere, ovvero un segno molto chiaro che la pax democratica ha fatto il suo tempo, nonché un segno molto preoccupante di ciò che potrebbe accadere in futuro. Non solo negli Stati Uniti. Parliamoci chiaro però: Trump ha sbagliato! Avrebbe dovuto concedere la vittoria e poi combattere la giustissima battaglia politica altrimenti, non aizzando i suoi alla violenza.

Dopo Trump, vi è solo un altro diretto responsabile dello status quo: la stampa dem americana! Diversamente da tanti italiani, ho la fortuna di poter seguire direttamente gli avvenimenti anche politici statunitensi, evitando la “mediazione” analogica dei giornaletti nostrani, prostrati intellettualmente e in qualche caso anche fisicamente davanti a qualsiasi sciocchezza venga riportata dai media d’oltreoceano. Avendo seguito, specie sulla CNN, tanti eventi che negli ultimi quattro anni hanno riguardato la Presidenza Donald Trump, in realtà io rimango basita solo da una cosa: come fanno gli americani, i quali si vantano di essere alfieri di libertà, a sopportare tanta immondizia mediatica? Tanta pr**tit***one intellettuale e mentale?

Ai miei tempi lo chiamavano “terrorismo mediatico” ed è forse la più grande degenerazione prodotta dal sistema democratico dopo la seconda guerra mondiale. Di che si tratta? Si tratta di quel connubio che si è andato lentamente creandosi tra dati mogul editoriali e il fronte politico democratico; nel tempo tale entente è mutata fino a diventare quello che è oggi: un potentissimo strumento di potere, implacabile contro chi resiste (si pensi agli infiniti tentativi della Pelosi di mettere sotto impeachment Trump, mentre si chiudevano occhi e qualsiasi altro orifizio davanti agli scandali dei Clinton), orwelliano nella sua essenza.

Il più grande peccato di Trump è stato infatti quello di opporsi a questi metodi e di averlo fatto senza troppa accortezza, mancando della furbizia che sarebbe necessario utilizzare in queste occasioni. Per tali peccati il Presidente (il quale non è neppure immune da tante altre colpe), l’ha pagata molto cara: di fatto, io ricordo trasmissioni CNN, come quella relativa ai risultati delle ultime elezioni, che mi hanno lasciata scioccata; non sarebbe esagerato dire che probabilmente l’utilizzo di un kalashnikov da parte di quei cronisti avrebbe fatto meno danno del fiume di parole gettate addosso all’avversario politico repubblicano alla stregua di un mare di lava immonda e incandescente!

C’è insomma una importante fetta dell’America moderna, forse quella più sostanziale, anche in termini numerici (io per esempio ritengo che Trump non abbia tutti i torti nel volerci vedere più chiaro su quanto è accaduto al tempo delle ultime votazioni), che non ha quella che potrei chiamare una rappresentanza mediatica; che si sente tradita dagli avvoltoi editoriali, “misrepresented”. Proprio di questo si sarebbero infatti lamentati tanti dei manifestanti e partecipanti ai deprecabili fatti di oggi in quel di Washington, mentre ancora una volta tali lamentele sembrerebbero essere passate inosservate; sono cadute nel vuoto senza che nessuno si sia preso la briga di intercettarle, finanche di comprenderle.

Bisognerebbe starci più attenti invece, molto più attenti. Lo scrivo per gli Stati Uniti e lo scrivo per l’Italia che vive in questo momento un altro grave periodo di emergenza democratica, rappresentata da un partitello allo sbando che non conta nulla nel paese reale e da un Premier senza partito, senza un supporto né popolare né politico. Ma, piaccia o non piaccia i tempi stanno cambiando, finanche da noi, mentre la “guerra dei venti anni” è fortunatamente molto lontana. Le persone, tutte le persone, si sono rotte le balle di quattro pennivendoli analogici assoldati da Tizio e da Caio per dirci cosa dobbiamo fare, come la dobbiamo pensare, come dobbiamo vivere. Bisognerebbe ascoltarle prima che sia troppo tardi, a Roma come a Washington, dovunque nel mondo!