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Nuovi guai per Putin in Kirghizistan

di Michele Marsonet.

Non c’è pace per le tante repubbliche ex sovietiche che Vladimir Putin cerca di tenere agganciate in qualche modo al carro della Federazione Russa. In Europa, dopo il conflitto permanente in Ucraina, abbiamo il caso della Bielorussia dove si sono recentemente svolte le elezioni presidenziali.
Com’è noto ha vinto Alexandr Lukashenko, l’ex deputato del Soviet bielorusso che è al potere dal 1994, con una percentuale “bulgara”. Gran parte dei cittadini non ha però accettato l’esito del voto, contestando apertamente colui che è stato definito “l’ultimo dittatore comunista europeo”.
Proseguono le manifestazioni di piazza a Minsk e in altre città, e Mosca sembra disposta a un intervento militare pur di non perdere un Paese da sempre considerato una sorta di “cortile di casa”.
Nel Caucaso si stanno combattendo aspramente altre due repubbliche ex sovietiche, l’Armenia cristiana e l’Azerbaijan musulmano, per il controllo del Nagorno-Karabakh, enclave armena in territorio azero. Qui Mosca, che teme il caos nelle aree vicine, deve pure affrontare la Turchia di Erdogan che appoggia apertamente i confratelli azeri.
Ora è il turno del Kirghizistan, che faceva anch’esso parte della defunta Unione Sovietica, territorio strategico e senza sbocchi sul mare, che confina tra l’altro con Kazakistan e Repubblica Popolare Cinese. La capitale Bishkek è sconvolta dalle manifestazioni dopo che, nelle elezioni presidenziali, ha vinto il candidato filo-russo Sooronbay Jeebenkov.
La folla ha dato alle fiamme il Parlamento, ha assunto il controllo della Televisione di Stato e ha liberato dal carcere l’ex presidente Almazbek Atambayev che non è gradito a Mosca. Da quanto si sa, ci sono pure stati morti e feriti.

Nonostante il massiccio intervento della polizia, i cittadini – proprio come in Bielorussia – chiedono elezioni nuove e libere da qualsiasi ipoteca straniera. Si noti tra l’altro che in Kirghizistan non c’è un forte sentimento anti-russo come accade, per esempio, in Ucraina. Né è radicato il fondamentalismo islamico, pur essendo gli abitanti quasi interamente musulmani sunniti.
La rivolta è piuttosto contro la élite filo-russa che governa da sempre il Paese ed è accusata di corruzione endemica. Il premier Boronov si è dimesso e il governo è stato affidato ad interim all’ex deputato dell’opposizione Sadyr Japarov, pure lui liberato dal carcere a furor di popolo.
Putin si è già appellato alle parti in conflitto invitandole a trovare un accordo, al fine di evitare guai peggiori. Ma appare assai difficile che l’appello venga accolto visto che la folla ha letteralmente preso il potere sfidando le forze armate fedeli al presidente deposto.
Fallisce così il grande disegno putiniano di creare una catena di nazioni-satellite attorno alla Federazione Russa, per contrastare i tentativi di espansione occidentali basati soprattutto sull’ingresso della Nato in molti territori che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica.
E’ chiaro che, a questo punto, il leader russo dovrà ripensare la propria strategia, anche per evitare che i disordini esterni finiscano per influenzare pure la situazione interna della Federazione, che è notoriamente meno tranquilla di quanto appare.