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La sfida che attende Joe Biden e Kamala Harris

di Michele Marsonet.

Molte “teste pensanti” del Partito democratico Usa stanno cercando di evitare l’errore che causò la sconfitta nelle ultime elezioni presidenziali. Come tutti ricordano, nel 2016 Hillary Clinton – sostenuta nella sua opinione dai vertici del partito – era sicura di vincere. Parecchi i punti di vantaggio che i sondaggi le attribuivano, e notevole l’appoggio dei media e dei giornali, con “New York Times” e “Washington Post” in testa.
Nessuno dei principali analisti prendeva sul serio la candidatura di Donald Trump, e il “tycoon” newyorkese aveva tanti avversari importanti anche tra gli esponenti di punta dell’establishment repubblicano. Tuttavia, alla fine, fu proprio Trump a vincere, lasciando sgomenti gli analisti di cui sopra, che consideravano impossibile un simile risultato.
Joe Biden è indubbiamente un politico molto accorto e di grande esperienza, e le sue azioni più recenti indicano che è consapevole dei pericoli che corre. Anche a lui i sondaggi danno – come già alla Clinton – molti punti di vantaggio, ma Biden rifiuta di considerare “certa” la sua vittoria e si è dedicato alla ricucitura di un partito, quello democratico, che è in realtà più diviso di quanto sembra.
L’ex vice di Barack Obama ha dovuto superare l’ostilità, non sempre espressa a chiare lettere, dalla sinistra del partito. Ma forse sarebbe più opportuno usare il plurale dicendo “sinistre”. Biden, essendo notoriamente un moderato, in pratica le aveva – e forse le ha ancora – tutte contro.
Bernie Sanders, leader della sinistra “socialista” tradizionale, gli ha ceduto le armi solo alla fine di una lunghissima contesa e, probabilmente, soltanto per il timore che la continuazione della lotta avrebbe finito per favorire Trump. I giovani sostenitori di Sanders, tuttavia, sono tutt’altro che convinti della bontà della candidatura Biden.
Avrebbero preferito combattere sino alla fine adottando una logica non politica del tipo “muoia Sansone con tutti i Filistei”, pensando che un secondo mandato di Trump avrebbe finalmente favorito le condizioni per realizzare la rivoluzione socialista che hanno in mente.

Vi sono poi esponenti democratici di tendenze radicali come Elizabeth Warren e Alexandria Ocasio-Cortez che cercano di cavalcare i fenomeni del “politically correct” e della “cancel culture”. Anche da costoro Biden viene considerato troppo moderato e tradizionalista.
Dal loro punto di vista la scelta di Kamala Harris come vice non è stata affatto azzeccata. Viene infatti giudicata troppo dura con le minoranze razziali, opinione basata sul suo precedente incarico di Procuratore Generale della California. Inoltre la Harris non ha mai dimostrato simpatia per la sinistra radicale del partito, caratteristica che la rende, da un lato, affine a Biden e, dall’altro, estranea alle componenti di sinistra.
Detto questo, è ovvio che Biden, se vincesse, dovrebbe creare una squadra di governo che tenesse conto di tutte le anime del partito. Già si parla, infatti, di importanti dicasteri per Warren e Ocasio-Cortez, ma sorgono a questo punto dubbi sulla compattezza di una simile amministrazione. Non solo. Il candidato democratico deve anche cercare di smussare gli angoli più aspri del “politically correct” e della “cancel culture” per evitare che gli elettori democratici moderati si facciano attrarre dagli slogan “law and order” dell’attuale presidente.
Compito assai difficile, senza alcun dubbio. Molto dipenderà anche dagli sviluppi della pandemia e dalle prospettive economiche che, al momento, non sono brillanti. Tuttavia l’errore principale da non fare è considerare Donald Trump battuto in partenza, rammentando cosa accadde quattro anni orsono.