Erdogan cancella Ataturk
di Michele Marsonet.
E’ davvero finita la Turchia laica voluta dal “Padre dei turchi”, Mustafa Kemal detto Ataturk? Guardando gli ultimi avvenimenti parrebbe proprio di sì. Il nuovo “Sultano”, Recep Tayyip Erdogan, ha infatti mantenuto fede alla promessa di riconvertire in moschea l’antica basilica di Santa Sofia, fatta costruire da Giustiniano nel 537, e presto diventata per secoli il simbolo stesso dell’Impero Bizantino.
Quando i Turchi conquistarono Bisanzio (poi ribattezzata Istanbul) nel 1453, per la verità senza molta opposizione da parte del mondo cristiano, il Sultano Mehmet II la trasformò in moschea, attento però a non devastare l’enorme patrimonio artistico contenuto nella basilica.
Il terzo – per ora – capitolo della storia risale al 1934, anno in cui Ataturk decise di farne un museo interculturale fruibile da musulmani e cristiani senza distinzione alcuna. Con tale atto altamente simbolico il “Padre dei turchi” intese ribadire l’appartenenza della Turchia all’Occidente, allontanandola al contempo dal mondo islamico.
Garanti della laicità dello Stato divennero le forze armate, che hanno svolto questo compito fino a tempi recenti. Il fallito golpe del 2016 contro Erdogan ha in seguito fatto precipitare la situazione, con la decapitazione dei vertici militari e la conquista di un potere quasi assoluto da parte dello stesso Erdogan e del suo partito AKP (“Giustizia e Sviluppo”).
Il leader turco ha “inaugurato” la moschea davanti a una folla straripante, leggendo “sure” del Corano mentre molti fedeli gridavano il tradizionale “Allah u akbar” (Dio è grande). Gli antichi mosaici cristiani sono stati ricoperti da veli per impedirne la vista ai fedeli, e Santa Sofia è ridiventata a tutti gli effetti un luogo di culto islamico.
Sembrerebbe un trionfo del nuovo “Sultano”, dopo i recenti successi conseguiti dal suo esercito in Siria e in Libia, e mentre la flotta turca assume nell’Egeo un atteggiamento sempre più minaccioso verso la Grecia. Si noti, tra l’altro, che Turchia e Grecia sono tuttora membri effettivi della Nato.
Insomma il sogno di ridar vita al vecchio Impero Ottomano, che Erdogan ormai non nasconde più, sembra non trovare ostacoli. Il leader pare disposto a battersi anche con russi ed egiziani per ottenere il controllo della Libia, e mantiene rapporti tesi con gli americani pur vantando buone relazioni personali con Donald Trump.
Tuttavia, non è tutto oro quel che luccica. Nelle ultime elezioni il partito di Erdogan ha ottenuto una vittoria molto risicata. I partiti laici che si rifanno all’eredità di Atarurk e quello curdo hanno conquistato molte città importanti, tra cui Izmir (l’antica Smirne), la capitale Ankara e la stessa Istanbul, il cui sindaco repubblicano non è stato infatti invitato all’inaugurazione di Santa Sofia riconvertita in moschea.
Erdogan e i suoi controllano le campagne e la Turchia profonda (l’Anatolia), mentre le grandi città vanno ai suoi oppositori. Ciò è indice di una spaccatura profonda del Paese, una buona parte del quale rifiuta l’identificazione tra nazione e islam.
Interessanti a tale proposito le parole del grande scrittore Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura nel 2006, secondo il quale la trasformazione del museo di Santa Sofia in moschea è un grave errore, una mossa populista che costerà cara all’intera Turchia.
Il trionfo di Erdogan, insomma, potrebbe essere solo apparente. Le limitazioni alla libertà di parola e di stampa non gli hanno concesso una vittoria netta alle elezioni, e l’opposizione laica è intenzionata, nonostante tutto, a dare battaglia.