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Il triste destino delle statue di Gandhi

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di Michele Marsonet.

Mentre si espande la follia iconoclasta che sta divampando in molti Paesi, fa molta impressione la richiesta di rimuovere la statua di Gandhi nella città inglese di Leicester. Anche perché i monumenti dedicati al Mahatma nel Regno Unito sono parecchi, e c’è il timore che richieste simili vengano avanzate anche a Londra e in altri centri.
Questo avviene mentre in India, dopo le vittorie elettorali del partito nazionalista indù di Narendra Modi, la figura di Gandhi ha subito una sorta di declino. I seguaci di Modi lo accusano, in sostanza, di essere stato troppo conciliante con i musulmani e di non aver impedito la formazione dello Stato islamico del Pakistan.
Si è giunti al punto che il suo assassino Nathuram Godse, l’estremista induista che lo uccise il 30 gennaio 1948, viene da molti esaltato come un eroe nazionale poiché avrebbe con il suo gesto difeso l’identità indù da una cultura – come quella musulmana – giudicata estranea alla nazione.
Per quali motivi, dunque, nel Regno Unito si fanno petizioni per abbattere le statue del padre dell’indipendenza indiana, divenuto col tempo il simbolo della non violenza e della fratellanza universale?
I motivi risalgono al periodo (1893-1915) che il futuro Mahatma trascorse in Sudafrica che era allora – come l’India – un Dominion inglese. Erano i suoi anni giovanili, che Gandhi, da avvocato, trascorse a difendere i diritti della numerosa comunità indiana che viveva in quel Paese.
Alcuni storici hanno ritrovato nei suoi scritti del tempo – e giova ripetere che si tratta di scritti giovanili – espressioni razziste riferite alla maggioranza nera del Sudafrica. In realtà gli interessava per l’appunto promuovere i diritti dei suoi connazionali più che svilire quelli degli abitanti autoctoni.
Tuttavia, in un periodo caotico come quello che stiamo vivendo, bastano poche frasi per condannare anche figure storiche che hanno avuto un ruolo di rilievo nella storia contemporanea. Ovviamente non c’è traccia di razzismo nella successiva azione gandhiana, ma bastano alcune frasi estrapolate dal contesto per equipararlo in toto agli schiavisti.
Sarà invece impossibile equipararlo agli esponenti del colonialismo, giacché alla fine di quest’ultimo proprio Gandhi diede un contributo cruciale. La vicenda rischia, tra l’altro, di creare un nuovo fronte di scontro nel Regno Unito. La numerosa comunità indiana che vive a Leicester si è infatti mobilitata in difesa della statua, e non è difficile prevedere che ciò accadrà anche a Londra e in altre città inglesi.
E’ arduo capire come una figura, universalmente identificata con la pace e la non violenza, possa essere diventata un obiettivo degli scalmanati che in giro per il mondo vanno imbrattando e distruggendo statue e monumenti in nome della riscrittura totale della storia.
Si tratta, probabilmente, di una delle tante conseguenze del “politically correct” che, dopo essersi imposto negli atenei, sta tracimando nella società comportandosi con una furia distruggitrice degna di miglior causa. Ed è pure difficile prevedere se, e quando, questa ondata di follia avrà termine. Per ora ci limitiamo ad osservare con tristezza che neppure una figura di altissimo livello come Gandhi viene risparmiata.