Filosofia dell’anima – I vendicatori dell’Olocausto. Sei milioni di tedeschi per sei milioni di ebrei. E una poesia di Abba Kovner (1918-1987) “Una parola viva”

Abba Kovner
Nel 1985 in una fattoria israeliana ci fu una particolare rimpatriata tra amici. A volerla fu il poeta Abba Kovner in quel periodo malato terminale di cancro e a cui rimanevano solo altri due anni da vivere. Kovner era determinato a registrare la sua e le testimonianze dei compagni sopravvissuti che, come lui, decadi prima avevano formato il gruppo dei cosiddetti “vendicatori dell’Olocausto”. Quelle registrazioni furono poi messe al sicuro e solo adesso, più di 30 anni dopo, tali testimonianze di prima mano sono state ascoltate da orecchie terze.
La storia dei “vendicatori dell’Olocausto” inizia nel 1941 nel ghetto ebraico di Vilnius in Lituania. Là vivevano circa 8000 persone che non si facevano alcuna illusione sul loro futuro. “Gli ebrei di Vilnius non dovrebbero morire come agnelli al macello, ma dovrebbero combattere” pensava invece il giovane poeta Kovner che, nel 1943, quando il ghetto fu smantellato, riuscì, insieme ad un gruppo di amici, a fuggire il rastrellamento tedesco e la conseguente deportazione.
L’organizzazione carbonara l’aveva pure già fondata, si chiamava Nakam (vendetta) e nel 1945 aveva pronto anche un piano criminale che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto rendere giustizia ai sei milioni di ebrei assassinati in Germania. Le vite di sei milioni di tedeschi, soldati, civili, uomini, donne, bambini sarebbero state sacrificate per vendicare l’Olocausto. Come? In una maniera molto semplice: avvelenando gli acquedotti di sei diverse città tedesche, tra cui Monaco, Amburgo, Norimberga, con un potentissimo veleno inodore e insapore.
Per assicurarsi il successo del progetto Kovner e i suoi, una cinquantina nel periodo di massima partecipazione, viaggiarono tra la Romania, l’Italia, la Francia, ma fu solo in Israele che riuscirono a trovare il veleno desiderato, a confezionarlo e a riportarlo in Europa. Della cosa se ne occupò Kovner direttamente, ma nonostante questo il progetto fallì, qualcuno li tradì e il veleno finì buttato in un fiume prima che lo stesso Kovner venisse arrestato. Il piano B, l’avvelenamento del pane destinato alle truppe tedesche prigioniere nel campo alleato di Norimberga, fu invece un parziale successo. Fonti ufficiali del tempo parlarono di 2000 avvelenati e di nessun morto, ma secondo alcuni storici israeliani quella seconda disdicevole avventura procurò almeno cento vittime.
Nei loro racconti a-posteriori, i “vendicatori” esprimono sentimenti diversi rispetto a quel loro folle progetto. Alcuni se ne vergognano apertamente, altri si autodefiniscono pazzi, altri ancora lamentano il piano… che non aveva funzionato.
Sì, fortunatamente quel piano criminale non funzionò: se la tragica esperienza umana di quegli uomini e di quelle donne era già stata in sé un “carico pesante” da portare sull’anima, due carichi pesanti non avrebbero aiutato a migliorare la situazione.
Rina Brundu
One Living Word by Abba Kovner
No more willful silences.
No more verbal contact,
he who loved to listen to so many
will never again hear his own voice among them.
He will sit with his friends over talk
from now on under constraint.
The talk. The thoughts. The friends.
And as he listens through
the secret door
he will turn his inner ear
to the dark mumur: Son of man,
all this
and all this
never was
and never will be
as good as
one living word.
Una parola viva
Non più volenterosi silenzi.
Non più contatto verbale,
colui che amava ascoltare i tanti
non sentirà mai più la sua voce in mezzo a loro.
Si siederà con i suoi amici per parlare
d’ora in poi sotto costrizione.
Il discorso. I pensieri. Gli amici
E mentre ascolta attraverso
la porta segreta
porgerà l’orecchio interiore
al segreto sussurro: figlio dell’uomo,
tutto questo
e tutto questo
non è mai stato
e mai sarà
buono come
una parola viva.
Traduzione Rina Brundu, 7 febbraio 2018