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Filosofia dell’anima – La maschera Totò, Pasolini e la critica (specie quella anonima, che non si qualifica)

Totò_Miseria_e_nobiltà.pngIn questo venerdì più rilassato, che precede il cinquantesimo anniversario dalla scomparsa di Totò, voglio scrivere ancora di lui. Ieri mi è capitato di vedere un articolo su un giornale online il cui titolo mi informava di come, nonostante tutto, i critici non avessero ancora fatto pace con Totò, di come la sua arte non li avesse ancora “convinti”.

Sono passata oltre. Quando leggo queste puttanate mi chiedo sempre come mai codesti addetti ai lavori non abbiano mai un nome e un cognome preciso; come mai non si trovi un dettaglio dei loro “claim to glory”. Non per altro, almeno si saprebbe a chi indirizzare la risposta. L’immenso principe direbbe: chi è lei? Si qualifichi? Ma poi, dico io, conta davvero tenere in considerazione il parere di questi signori? Sarebbe un poco come dire che un “critico” non approva l’esplosione di una supernova perché la luce non dirama simmetrica, perché non si compone in un formato estetico riconosciuto valido dal gusto di un’epoca, meglio ancora dal gusto omologato (quale è il suo) di un’epoca. Puttanate, appunto! Puttanate che non sfiorano in nessun modo la brillantezza di quella esplosione, così come non toccano la straordinarietà nella vena artistica del Principe de Curtis.

In realtà capire il fenomeno Totò, capire la sua arte è discorso diverso finanche da una analisi estetica bigotta, step-by-step, di quelli che sono stati i suoi “capolavori”. La maschera Totò trascende tutto questo. Sono la prima a dire che lo spirito brillante di questo comico partenopeo non ha esercitato tutto il suo potenziale in un contesto artistico “elevato”. Detto terra-terra l’arte di Totò é arte sicuramente diversa da quella a cui può rimandare la raffinata impronta di un Mozart che scrive musica. Ma non è da meno. Non è da meno perché si occupa di eternare emozioni e sensazioni diverse. Solo il senso del comico elevato alla sua massima potenza, per esempio, può occuparsi di rappresentare al meglio la malinconia sublime. Lo sappiamo da Charlot, lo sappiamo dall’arte mimica, lo sappiamo da infiniti momenti che hanno caratterizzato la carriera artistica del principe De Curtis. Ne deriva che tra le maglie larghe di tanti canovacci tutt’altro che geniali, mercè la sua indubbia capacità e il suo indubbio talento si ritrovano momenti straordinari nascosti come diamanti preziosi conservati tra la carta sporca di quotidiani datati.

Quando parlo di malinconico sublime, parlo di una dimostrazione dell’anima che vive di una sua estrema libertà: di una libertà dell’Essere che non può essere addomesticata dalla formalità artistica per soddisfare il gusto di questo o quel critico (atteggiamento ridicolo in sé!). Questo discorso vale anche per ciò che si è tentato di fare nel film di Pasolini Uccellacci e uccellini (1966). Io trovo questo film un esperimento abberrante. Se potessi mi fionderei spiritualmente per salvare Totò da un simile supplizio, da una sofferenza della sua maschera “costretta” che deve essere stata importante: un poco come prostituirsi per mettere il pane sul desco. In quella produzione Totò ha dovuto prostituirsi, prostituire la sua arte, nella speranza di trovare accoglimento nell’empireo dipinto da un branco di intellettuali italiani rincoglioniti, dediti alla masturbazione mentale e a quella fisica, morti e sepolti alla nostra memoria dal momento stesso in cui sono spirati e di cui, al ciel piacendo, non ci ricorderemo più perché la nemesi artistica non perdona e se ne fotte del parere dei critici-impegnati de noartri (che sovente non hanno mai neppure aperto un manuale di semiotica o un testo di critica tout-court neppure a pagarli!).

Aggiungo anche che se è vero che molti film di Totò sono oggettivamente inguardabili (ricordo ancora con orrore un lavoro chiamato “Che fine ha fatto Totò Jane?”), lo stesso vale per i lavori di Pasolini. Diversamente da tanti utili-idioti che si mettono in bocca, sovente, la parola Pasolini, per fare cool, io ho visto tutta (ma proprio tutta) la sua filmografia e mi sono sorbita una per una tutte le sue produzioni. Dopo tale esperimento posso senz’altro dire che il miglior Pasolini lo troviamo di sicuro nelle sue inchieste, nei suoi documentari nell’Italia meridionale dell’epoca, ma la sua filmografia (lo dico da persona che ama il “personaggio” Pasolini, che dà sicuramente credito ad un suo onesto commitment intellettuale), si risolve tutta in una mera sega mentale anche malamente attualizzata su piano factual e che non ha nessun altro valore, se non infomativo. Chi la pensasse altrimenti è benvenuto a portarmi le sue ragioni e le sue analisi tecniche (della forma, del contenuto, della significazione retorica, della denotazione e connotazione ideale di quei lavori, etc), che mi riserverò di confutare.

In altre parole, esattamente così come per valutare la reale “sostanza” di uno scrittore non bisogna misurare l’altezza dei tomi pubblicati, per valutare la capacità di genio non servono infiniti momenti. La genialità di Einstein, per esempio, si è risolta in una mera formula E = mc2, mentre per il resto il vecchietto rincoglionito della relatività non ha compreso nulla di fisica quantistica e si è speso in una vita tutt’altro che didattica: dobbiamo considerarlo meno geniale per questo? Ne dubito. Senza dimenticare che a mio avviso esiste una distanza abissale tra la qualità estetica di film come Miseria e nobiltà (1954) e quella di Uccellacci e uccellini (vedi sotto). Nello specifico il primo dipinge in maniera mirabile l’estetica dell’ordinarietà nell’ordinarietà, il secondo tenta di creare un sovramondo aulico, sartrianamente committed, che purtroppo, ad attento guardare, davanti all’occhio “critico” che guarda, diventa tendone pesante che alla lunga annoia (arrivo a dire che è persino possibile toccare la “significazione posticcia” con mano: davvero opprimente tanto didascalismo di intenzioni!!).

Quanto appena scritto per ribadire ciò che scrissi in altra occasione: Totò è prima di tutto maschera dal tratto universale, proprio come Pinocchio e proprio come lui, e tutte le maschera davvero tali, nascono dal basso. Consequentia rerum resta dunque il fatto che quando si incontra un buon uomo come Pier Paolo Pasolini gli si stringe la mano, ma quando si ha la fortuna di incontrare sul nostro cammino uno spirito brillante come quello del Principe de Curtis ci si inchina: comportarsi altrimenti sarebbe come confessare un implicito anelare al paradiso animale.

Rina Brundu