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Filosofia dell’anima – Di spiritualità. Di fantasmaticità?

happy-new-year-2017-wishes-animated-e-card-gif-image-1Spoiler Alert – Ti ricordo che se sei uno spirito molto religioso e/o coltiva una religiosità tradizionale, il contenuto del post che segue potrebbe offendere la tua sensibilità. Per questi motivi ti invito a non procedere nella lettura e ti invito anche a non frequentare Rosebud: ci sono tantissimi altri siti molto più adatti. Di fatto ti invito a rispettare la mia casa dell’anima proprio come vorresti essere rispsettato tu in casa tua. Grazie.

Spesso, specie quando scrivo post di critica alle religioni umane, mi capita di ribadire come il mio spirito sia tutto fuorché uno spirito-ateo che, peraltro, è un costrutto evidentemente ossimorico. Naturalmente, con questo intendo dire che non perché rifugga la superstizione, o mi rifiuti categoricamente di considerare alcune delle nostre tradizioni popolari come il verbo di un implausibile Creatore, io pensi che la realtà materiale che abbiamo davanti agli occhi sia il finito-che-esiste. Non mi ritengo spirito molto elevato, ma fino a concepire simili visioni minime ci arrivo anche io e senza dimenticare che l’esistenza di un mondo invisibile ai nostri sensi è ben testimoniata in ogni momento della nostra realtà quotidiana (pensiamo, per esempio, agli ultrasuoni percepiti dagli animali ma non dagli umani, ai colori invisibili al nostro occhio, etc, etc), così come dalla scienza main-stream e da qualsiasi cogitazione o esperienza minimamente sensata che noi riusciamo a vivere e a comprendere pienamente.

Dulcis in fundo, voglio aggiungere che l’esistenza di questo mondo-altro, universo-altro, universi-altri, per quanto mi riguarda è testimoniata soprattutto da un personale fermo “credo” nell’esistenza di dinamiche esistenziali ben più pregnanti senza le quali quelle terrene e quotidiane non avrebbero gran ragione d’essere. Detto altrimenti io penso che la vita umana così come la intendiamo non avrebbe alcun senso, da nessun punto di vista, se fosse esperienza destinata a chiudersi dopo la morte del corpo. È una opzione, questa, talmente idiota che, autococoncedendomi qualche capacità cogitativa, non voglio considerare neppure per un momento, mentre l’unica cosa che mi verrebbe da fare davanti ad una simile possibilità sarebbe di sputare contro quel disgraziatissimo attimo che ha dato allo spermatozoo che ero io, lo sprint vincente per farsi persona.

Detto questo, mi preme precisare (ed è in fondo proprio per questo che oggi ho voluto scrivere questo post), che quando io parlo di vita oltre la morte, di esistenza di mondi-altri rispetto a quelli contingenti e, soprattutto, quando parlo di spiritualità, io non sto avvallando nessuna dottrina spirituale o religiosamente spirituale tradizionale. In altre parole il mio concetto di “spiritualità” è molto diverso da quello di un teologo, di un uomo o donna di Chiesa a qualsiasi titolo, o anche del “fedele” forse non troppo praticante ma abituato da queste cattive pratiche educative ad immaginarsi un di-quà molto pratico e matter-of-fact e un “aldilà” aleatorio, vittima delle sue dinamiche immateriali, evanescenti, spirituali nel senso tradizionale.

In realtà se dovessi definire il mio concetto di “spiritualità”, lo definirei come un mero nuovo stato dell’Essere che è consequentia-rerum; che è conseguenza delle cose, ma meglio ancora che è conseguenza dei “fatti”. E quali sarebbero i fatti? Nello specifico, molto semplicemente il “fatto” è la stessa morte dell’individuo, vale a dire il fenomeno fisico che porta alla separazione del corpo dall’energia vitale che lo fa vivere. La mia nuova condizione spirituale è dunque diretta estrinsecazione del mio esistere senza il mio corpo, con tutto ciò che ne può derivare; con tutto ciò che può capitare a qualsiasi “essenza” che prima DEVE vivere secondo le regole del mondo fisico e dopo può vivere secondo le regole di altri stati energetici, ovvero di regole che in alcuni casi siamo ben lontani dal conoscere e in altri casi cominciamo solamente adesso a comprendere. Per fare un esempio molto pratico, basti dire che se questa “energia” disincarnata avesse tara le sue proprietà quelle del fotone, noi si sarebbe finalmente in grado di viaggiare alla velocità della luce anche senza usare immaginifici motori di generazione-warp-drive, and so on and so forth.

Confidando nel fatto che tu navigatore-incauto, che sei arrivato su Rosebud per premio o nefasto destino, abbia seguito le indicazioni di lettura che fanno da incipit a questo mio post (lo spoiler alert sui-generis, insomma), e che tu sia dunque persona capace di seguire senza scandalizzarti codesti cogitamenti appena abbozzati, e magari anche di svilupparli in maniera logica, voglio quindi ribadire che a questo stato diverso e disincarnato dell’Essere io non attribuisco connotazioni mirabolanti quanto piuttosto solo le proprietà “fisiche e metafisiche” che gli appartengono. Il next-step di questo scaltro ragionamento (scaltro almeno per chi non è abituato a pensare) è che, a mio avviso, quando quel fatale processo di separazione si manifesterà, se da un lato il nostro corpo andrà a sfaldarsi e a scomporsi in atomi destinati a costruire altre cose o il corpo di individui futuri, la nostra Essenza energetica (spirituale?) continuerà ad essere noi, cioè gli stessi individui che eravamo quando eravamo in “vita”, dunque con tutti i nostri molti vizi e le poche virtù.

Certo, magari ci scopriremo pure improvvisamente caricati delle importanti esperienze fatte durante molte altre vite precedenti, ma vero è che noi resteremo sempre il nostro più autentico self, per molti versi aumentato all’ennesima potenza. Come a dire che l’avvenuta morte non opererà nessun miracolo, non ci porterà a diventare entità angeliche capaci o anime brillanti se non lo eravamo già prima. Di fatto la morte sarà solo l’occasione per preparare un altro pezzo di strada da farsi, magari in circostanze diversissime da quelle attuali, allo scopo di crescere ancora, maturare, persino migliorare se lo vogliamo davvero. Naturalmente non mi sfugge che il matematico universo che viviamo, anche in fase di disincarnazione conserverebbe la sua natura logica e pragmatica fino alla fine, e dunque questa sorta di finale moraleggiante e retorico che sto applicando al mio discorso non avrebbe ragione di essere, proprio come non hanno regione di essere le morali di tipo religioso.

Ne deriva che le conseguenze del nostro “passaggio” ad altro stato esistenziale potrebbero essere, come dire?, anche molto deleterie. E quali potrebbero essere queste conseguenze? Per esempio, non è azzardato speculare che apprestandoci poi a reincarnarci, ma non avendo imparato alcuna pregnante lezione nella vita precedente, ci si ritroverà a fare le stesse cazzate nella vita successiva e ad infinitum. Di nuovo? Diranno spaventatissimi i miei quaranta lettori che in virtù di uno stomaco notevole sono riusciti a leggere fin qui. Anche in un’altra vita potremmo essere costretti a leggere questi post senza capo ne coda? Proprio così, lo confermo. E senza dimenticare che se così sarà vorrà dire che il peccato più grande lo avete comunque fatto voi leggendo non io scrivendo. Più che di “spiritualità” di “fantasmaticità”, appunto!

Rina Brundu