Su Hillary e Trump, candidati poco amati dai rispettivi partiti
di Michele Marsonet. A parte i soliti saccenti che sanno sempre tutto, è ormai chiaro che analisti politici ed esperti di sondaggi avevano azzeccato ben poco di quanto sarebbe successo nelle primarie Usa ancora in corso. Solo i più ostinati simpatizzanti osavano sparare che Donald Trump sarebbe arrivato sino in fondo. E, sull’altro fronte, nessuno pensava che Bernie Sanders ottenesse risultati così brillanti.
Il fatto è che il panorama politico americano – al pari di quello europeo – è diventato nell’ultimo decennio sempre più volatile e imprevedibile. Sull’altra sponda dell’Atlantico non si usa il termine “casta”, ma è ovvio che anche là il concetto ha preso piede in maniera incredibilmente rapida portando sconquassi sulla cui portata finora nessuno aveva riflettuto a fondo.
Siamo dunque in presenza di due candidati che, a meno di scandali irrimediabili (e sempre possibili), si contenderanno tra pochi mesi la leadership della maggiore potenza mondiale. Eppure è un dato di fondo che nessuno dei due è amato dal partito che rappresenterà nelle elezioni vere di novembre, anche se per motivi piuttosto diversi.
Cominciamo dal caso più facile, quello di Trump. Essendosi presentato sin dall’inizio “contro” l’establishment repubblicano, era lecito attendersi che quest’ultimo non gli avrebbe perdonato lo sgarbo. E così è stato, anche se poi condanna e ostilità da parte di tanti maggiorenti del Grand Old Party non ha causato le conseguenze drammatiche che gli analisti tradizionali si attendevano. Un segno, questo, di grande debolezza del summenzionato establishment.
Per esempio il clan Bush, dopo aver subito la sconfitta dell’ultimo candidato di famiglia, non è riuscito a trasmettere alla maggioranza del partito la propria irriducibile ostilità nei confronti del tycoon. Sono ormai tanti i convertiti saltati sul carro del probabile vincitore, inclusi personaggi di peso che si erano candidati alle primarie.
Nel frattempo Trump continua per la sua strada come un carro armato, incurante degli appelli alle buone maniere che gli arrivano addirittura dai familiari. Reagisce colpo su colpo alle accuse e, quando si tratta di scandali sessuali (veri o presunti), dimostra di essere a proprio agio. Continua inoltre le sue uscite erratiche e fantasiose in materia di politica estera. Da un lato sta modificando la posizione sull’Ucraina cercando di attenuare la sua nota simpatia per Vladimir Putin. Dall’altro ha addirittura ipotizzato d’incontrare Kim Jong-un (e chissà se al leader nordcoreano farebbe piacere vederlo di persona). Il tutto all’insegna di un dilettantismo che i democratici puntualmente sottolineano.
Nonostante le apparenze, tuttavia, Hillary Clinton non sta molto meglio. Ormai ha i delegati per ottenere la nomination, ma pure nel suo caso è chiaro che una gran parte del partito per cui corre non la sopporta. L’ha capito benissimo Bernie Sanders, sulle cui qualità politiche tanti manifestavano dubbi. In realtà il senatore del Vermont, che ha accentuato sempre più le caratteristiche “socialiste” del suo programma, ha mollato solo all’ultimo, forse sperando che uno dei tanti scheletri nell’armadio della ex First Lady uscisse all’improvviso facendola cadere.
Inoltre tanti concordano sul fatto che la Clinton abbia commesso un errore promettendo al marito un dicastero economico importante qualora fosse eletta. Bill Clinton è stato in fondo un buon Presidente, pur avendo alle spalle scandali e fallimenti. La mossa della ex Segretario di Stato, tuttavia, rinfocola i sospetti di tanti circa l’eccessiva influenza del marito sulla candidata democratica. Ed è divertente osservare che, in passato, si faceva il ragionamento inverso: si sospettava l’eccessiva influenza della moglie sul marito Presidente. Inoltre i legami familiari – come dimostra il caso dei Bush – sono ormai più un peso che un vantaggio, negli Usa come altrove.
Alla fine resta l’impressione di due candidati deboli, anche se per motivi diversi, ed entrambi poco amati dai partiti che dovrebbero sostenerli a spada tratta. Agli stranieri interessa per ovvi motivi la politica estera che verrebbe adottata da Clinton o Trump. E questo è forse il vantaggio maggiore di cui gode la ex Segretario di Stato. Si condivida o no quanto ha fatto Obama nei suoi due mandati, con l’elezione di Hillary Clinton avremmo una sostanziale continuità e, forse, un maggiore interventismo militare da affidare a Nato e alleati. Un’eventuale elezione di Trump, che ora sembra persino in vantaggio nei sondaggi nazionali, condurrebbe non si sa bene dove. Il magnate dimostra spesso una certa ingenuità, e non si sa quanto sia reale o “costruita” a fini d’immagine. In ogni caso gli analisti (anche quelli americani) dovranno attrezzarsi per capire meglio un Paese che è profondamente cambiato.
…e non sbandiera velleità di rottamazione…anzi! più si è vecchi e navigati e meglio è. Trump e Hilary ne sono la prova. Comunque io tifo per Hilary prima President…a?essa? Sono convinta che il vecchio Bernie si giocherà le sue carte e poi, è vero ci sarà una continuità con Obama che mi mancherà. saluti da una qualunque che ci capisce poco di politica.