Ma il cielo sopra la Cina esiste ancora? E perché il partito cinese continua a dirsi comunista?
di Michele Marsonet. La notizia che Pechino è avvolta da una cappa di smog così fitta da impedire per giorni interi la vista del cielo e del sole che sorge e tramonta non desta più molta impressione. Il fenomeno coinvolge anche altre megalopoli del grande Paese asiatico, e gli stranieri che vi si recano in visita per qualsiasi motivo tornano spesso a casa con l’immagine di un’enorme nube nera che avvolge tutto, nascondendo edifici e passanti (tranne quelli che si trovano a pochissimi metri di distanza).
Non che l’inquinamento da noi sia sconosciuto, però in Cina raggiunge livelli impensabili. In questi giorni risulta 26 volte superiore al limite fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Non bastano più le mascherine indossate dalla maggior parte degli abitanti, tanto che le autorità consigliano di non uscire di casa (invito rivolto soprattutto a bambini e anziani). E’ noto, inoltre, che i casi di tumore ai polmoni hanno raggiunto cifre record.
Questa volta, tuttavia, i dirigenti della Repubblica popolare hanno avuto uno scatto di fantasia che mi pare notevole. Sole e cielo spariscono per giorni? Niente paura. In piazza Tienanmen è stato installato uno schermo gigante che proietta l’immagine di una magnifica alba, con il sole che sorge in mezzo a una massa di nuvole rossastre.
L’immagine è bella ma, purtroppo, pare che pure quella sia una finzione. Si tratterebbe in realtà di un tramonto ripreso in un’altra area neanche molto vicina alla capitale, la regione dello Shandong. Tutto finto, insomma. Non si sa se è un’alba o un tramonto, né è certo il luogo in cui la foto è stata scattata. L’unico dato vero è lo smog grigio-nero che rende tenebroso l’ambiente e impedisce di respirare normalmente.
A questo punto penso sia interessante citare un episodio che mi ha coinvolto in prima persona. Un docente dell’Università di Lingue Straniere di Pechino, in visita presso il mio ateneo, si lamentava in continuazione dei perenni ritardi delle nostre ferrovie facendomi notare – ed è vero – che i treni cinesi sono invece puntuali. Gli ho risposto che, nel corso del mio ultimo viaggio a Pechino, mi ero imbattuto in una situazione simile all’attuale. Una densa cappa nera avvolgeva case e passanti dotati di mascherina; per fortuna l’albergo era vicinissimo alla sede del convegno internazionale cui partecipavo, e per tre giorni non ho potuto far altro che andare dall’albergo al convegno e viceversa (300 metri circa).
Ne ho concluso che, tutto sommato, preferisco subire i ritardi dei treni piuttosto di un inquinamento così mostruoso. Altrettanto interessante la replica del collega cinese. Questa – mi ha risposto – è la politica del partito. Mentre noi europei (e immagino anche i nordamericani) viviamo in Paesi sviluppati, loro (cinesi, indiani e altri) vivono in nazioni in via di sviluppo. Non possono quindi permettersi di badare troppo ai fattori ambientali poiché la priorità assoluta spetta alla crescita dell’economia, e in particolare dell’industria pesante.
Penso si tratti di un episodio che testimonia come il partito riesca, nonostante tutto, a garantirsi un certo livello di consenso sociale. Non a caso la Cina ha appena superato gli USA nella classifica mondiale per quanto riguarda il volume degli scambi commerciali. Da parte mia continuo a preferire i treni in ritardo. E ripeto una domanda che ho già posto in altre occasioni: perché il partito cinese continua ad autodefinirsi “comunista”?
Featured image, la Cina dal satellite.