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Storia breve di Fidel Castro

di Gordiano Lupi. L’anno della conversione di Fidel al comunismo è il 1961, ma come abbiamo detto non si trattò di una folgorazione improvvisa sulla via di Damasco. Fidel è sempre stato una persona pragmatica dotata di grande opportunismo e di notevole abilità politica. Per tutto il 1961 dette segnali evidenti di apertura al comunismo e 16 aprile proclamò la natura socialista della rivoluzione. In quel momento storico la democrazia liberale rappresentava un lusso per Cuba, per questo Fidel si lasciò tentare dalla soluzione autoritaria, la sua personalità si prestava a quel tipo di scelta e poi comprese che avrebbe potuto fare una rivoluzione radicale solo con un governo forte e centralizzato. Fidel non poteva indire libere elezioni interrompendo il processo rivoluzionario, un parlamento libero e partiti politici concorrenti sarebbero stati un intralcio, per non parlare della libertà di stampa. I partiti politici e i giornali sarebbero potuti finire nelle mani della borghesia e dei grandi proprietari, oppure ricevere finanziamenti dagli Stati Uniti. Il governo di Fidel era ancora debole, la libertà di stampa poteva minarlo dalle fondamenta, ma anche tutte le altre libertà civili (parola, riunione, sindacali, proprietà…) presentavano gli stessi rischi. Fidel non aveva scelta se voleva portare a compimento la sua rivoluzione: aveva contro la borghesia, i proprietari spogliati dalle loro ricchezze e gli Stati Uniti. Non erano avversari di poco conto. La democrazia lo avrebbe distrutto. La soluzione più ovvia fu quella di abbracciare il marxismo – leninismo come idea base per la rivoluzione, che sarebbe servito da supporto ideologico e da sostegno economico.

Fidel Castro fece ancora di più. Mise in atto una campagna propagandistica per far credere di essere sempre stato marxista – leninista. “Pure da giovane ero marxista senza saperlo. Ero solo un marxista – leninista in embrione”, affermò. E lo disse in così tante occasioni che finì per convincere tutti, soprattutto chi voleva un simbolo comunista alla guida di un paese occidentale. In realtà la rivoluzione fu cubana, antiyankee, anti batistiana,  nazionalista e radicale. Una volta al potere è diventata socialista, liberandosi delle forze borghesi e delle classi medie che contribuirono al suo trionfo.

“Sono sempre stato un marxista utopico. Ero figlio di un possidente terriero, educato dai gesuiti. Ho letto Marx e Lenin all’università, ma non mi sono mai iscritto al Partito Comunista. Ai tempi dell’assalto alla Caserma Moncada ero un rivoluzionario puro, non un marxista, resta il fatto che ero un marxista utopico. Soltanto dopo avrei capito che il marxismo era la soluzione alle mie istanze ideologiche”, disse.

Fidel cercò di convincere il mondo di essere approdato su posizioni marxiste in modo graduale, ma non è riuscito a ingannare gli storici più attenti, i veri conoscitori della sua personalità e della rivoluzione.

Fidel diceva di sé: “Non potrei mai essere un capitalista, un democratico, un liberale. Ho sempre avuto nel sangue l’istinto di un estremista”. Certo, molto è puro melodramma alla Fidel, perché il suo marxismo – leninismo resta fidelismo, il capo carismatico della rivoluzione cubana ha sempre creduto soltanto a se stesso.

In ogni caso il primo dicembre 1961 disse: “Sono marxista – leninista e lo sarò fino all’ultimo giorno della mia vita!”. Era ciò che in quel momento storico voleva far credere agli altri ed era sua intenzione creare il mito di un Fidel Castro da sempre comunista. Il suo comunismo è sempre stato qualcosa di diverso dal comunismo cinese e sovietico, non si è mai lasciato irreggimentare e non ha mai accettato ordini da nessuno. Il suo regime poteva essere comunistico ma non comunista nel senso effettivo del termine, perché Fidel ha solo sentito l’esigenza di dare una cornice ideologica alla rivoluzione per fornirle uno strumento di sviluppo e di sopravvivenza. La scelta comunista ha sconvolto gli Stati Uniti che da sempre vedono il comunismo come il diavolo e il nemico da battere. Per Fidel era una cosa naturale aderire al blocco sovietico e accettare l’aiuto comunista per andare avanti, visto che i nordamericani tentavano di distruggere la rivoluzione. Forse se gli Stati Uniti avessero assunto un atteggiamento meno drastico nei confronti dei ribelli le cose sarebbero andate diversamente. Al tempo stesso, se Fidel non avesse optato per il marxismo – leninismo, forse la reazione nordamericana sarebbe stata più blanda. Il mondo era diviso in due blocchi e – vista la situazione – Fidel non aveva scelta. Va ribadito, però, che il Comandante non è mai stato un ostaggio dei russi, né tanto meno una pedina nelle mani dei comunisti cubani. 

LA BAIA DEI PORCI

L’invasione della Baia dei Porci del 1961 fu più importante della Crisi dei Missili del 1962, perché influenzò la rivoluzione cubana e consolidò il potere di Fidel Castro, spingendolo a proclamare la linea marxista – leninista. In questa grave situazione, Fidel mostrò le sue qualità di dirigente in tempo di crisi, capace di affrontare il pericolo, unire la popolazione in un comune afflato nazionalistico e respingere il nemico.

Fidel aveva cominciato ad acquistare armi dai russi e stava organizzando il suo esercito che in un primo tempo avrebbe voluto formare di soli professionisti, ma poi si rese conto che non era possibile realizzare l’utopia proclamata sulla Sierra. A quel tempo aveva detto che era contrario alla leva obbligatoria perché nessun uomo può essere costretto a impugnare un fucile e a marciare, ma era ancora un marxista utopico, per usare le sue stesse parole. Adesso che si trattava di fare sul serio servivano tutti i fucili possibili e ogni uomo valido era importante per difendere la patria. Fidel sostituì esercito e polizia batistiana con l’esercito ribelle incrementato da soldati di leva, dette in mano a rivoluzionari fidati sia la marina che l’aviazione, creò una milizia civile di operai, contadini e studenti, come organizzazione paramilitare, che nel 1960 trasformò in corpo militare. Nel 1961 istituì il Ministero dell’Interno per mantenere l’ordine pubblico e mise a capo della polizia Ramíro Valdés, addestrato da consiglieri sovietici. Il Ministero diresse anche i CDR (Comitati di Difesa della Rivoluzione) che avevano lo scopo di informare le autorità sulle attività controrivoluzionarie e di controllare gli abitanti del quartiere dove vivevano, compito che svolgono ancora oggi. I CDR furono molto utili a Fidel nel periodo dell’invasione alla Baia dei Porci, perché grazie a loro vennero arrestati centinaia di sospetti e di possibili fiancheggiatori. Sono sempre stati utili per scoprire potenziali controrivoluzionari, attentatori, complotti contro il regime e contro lo stesso Fidel.

Lo sbarco alla Baia dei Porci venne organizzato dalla CIA, ma fu una cosa talmente maldestra da far ridere il mondo, memorabile esempio di un disastro annunciato e di un fallimento completo, dettato da pressapochismo e faciloneria. Fidel aveva sentore che ci sarebbe stata un’aggressione dall’esterno, non sapeva ancora quando né dove, ma i servizi segreti avevano preavvisato il pericolo. Il Ministro degli Esteri, Raúl Roa, si recò all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per protestare contro l’aggressione statunitense. L’invasione di Cuba alla Baia dei Porci venne denominata “Operazione Plutone” e fu un errore madornale, forse il più grande commesso dai nordamericani nei confronti di Cuba. La spedizione contro Fidel e la sua rivoluzione venne organizzata, armata e addestrata dagli Stati Uniti in territorio nicaraguense ed era composta per lo più da ex batistiani. In un primo momento erano gli unici esuli disponibili, poi arrivarono anche borghesi e moderati, ma tutta gente vecchia, che voleva far tornare Cuba alla situazione precedente al 1959. E a Cuba nessuno – nemmeno i più acerrimi nemici di Fidel Castro – lo voleva, nonostante gli errori della rivoluzione e la stretta totalitaria. Gli Stati Uniti avevano come unico scopo l’eliminazione di Fidel perché lo ritenevano un fantoccio nelle mani dei comunisti cubani e della Russia. Non era vero, si trattava di un tremendo errore politico, ma per i nordamericani è sempre stato difficile accettare un modo di governare diverso dalla democrazia occidentale senza associarlo al termine comunista. Lo sbarco delle truppe mercenarie ebbe luogo il 17 aprile 1961 nella Baia de los Cochinos, per questo è storicamente noto come invasione della Baia dei Porci, mentre i cubani ricordano l’evento come l’attacco di Playa Girón, dal nome della spiaggia. Il luogo dell’invasione fu la penisola di Zapata, vicino a Escambray, un posto impervio, circondato da una palude che rendeva l’accesso via terra molto difficoltoso, una vera e propria “testa di ponte” dalla quale dare il via all’invasione. L’idea della CIA e dei rivoltosi cubani era quella di stabilire sulla spiaggia un punto armato facilmente difendibile perché affacciato su due strade perpendicolari e circondato da una grande palude. Gli invasori approdarono alle due del mattino, il primo uomo rana che sbarcò era statunitense, anche se Kennedy aveva vietato ai suoi concittadini di prendere parte all’operazione. Vennero paracadutati nelle zone interne dell’isola centosettantacinque soldati che avevano il compito di bloccare le vie di accesso, ma non finirono abbastanza lontano dalla spiaggia per riuscire a tagliare le comunicazioni. L’esercito invasore avanzò di poche miglia all’interno ma le truppe di Fidel lo accerchiarono subito. Furono arrestati circa duecentomila sospetti, grazie alle delazioni dei CDR che bloccarono sul nascere ogni possibile collaborazione con gli invasori. Playa Girón cadde in meno di settantadue ore, alle cinque e mezzo del 19 aprile 1961. “Gli invasori sono stati annientati. La rivoluzione è uscita vittoriosa dalla prova. Ha distrutto un esercito organizzato dal governo imperialista statunitense”, proclamò alla radio un Fidel euforico.  Kennedy giustificò così la sconfitta: “È stata una prova per vedere se il popolo cubano si sarebbe ribellato a Castro”.

Di fatto gli Stati Uniti sottovalutarono Fidel e la grande presa che aveva sulla sua gente. Nessun cubano avrebbe scelto di stare dalla parte di millequattrocento invasori addestrati ed equipaggiati dagli Stati Uniti, in gran parte batistiani. Inoltre era impossibile pensare che pochi uomini sarebbero stati in grado di sconfiggere un esercito forte e preparato come quello di Fidel. L’invasione fu un atto scellerato e insulso, senza la minima probabilità di successo. Fidel individuò subito il luogo dello sbarco, non si fece prendere dal panico e accerchiò quello che fin da subito definì come “un esercito di mercenari”. Gli invasori non potevano fare accoliti a Cuba anche perché erano sotto il comando del Frente Revolucionario Democrático, composto da conservatori batistiani. Al comando c’era Manuel Artime, un giovane inesperto e impopolare che con la sua presenza contribuì a fare dell’invasione un fallimento. I cubani si schierarono tutti con Fidel, che non era un marxista – leninista, ma un coraggioso leader popolare che difendeva la sua terra. Gli invasori erano cubani, ma finanziati da una nazione straniera, soprattutto erano borghesi che volevano un ritorno alla situazione politico – economica precedente al 1959. A Cuba neppure chi non condivideva le posizioni di Fidel avrebbe accettato il patetico Consiglio Rivoluzionario Cubano, formato da Washington. Il solo pericolo per Fidel fu che Kennedy inviasse a dar man forte aerei, navi e marines statunitensi, ma non lo fece per non violare i trattati internazionali. Fu la sconfitta annunciata. Fidel potè vantare una grande vittoria contro il colosso del nord, perché l’invasione era stata  pianificata e armata dagli Stati Uniti.

Fidel è sempre stato un uomo violento, indisciplinato, temerario, duro, uno spagnolo puro, vendicativo, intelligente, sincero, patriottico, testardo e cocciuto, ma ha sempre cercato di fare quello che (secondo lui) era il bene di Cuba. Fidel vedeva come un ostacolo all’interesse della sua terra – che faceva coincidere con la sua rivoluzione – anche il parlamento, la libertà di stampa e persino una magistratura libera. Per un democratico sono discorsi molto opinabili, ma il caudillismo latinoamericano ha sempre prodotto certi atteggiamenti. Fidel per il suo popolo rappresentava il futuro, mentre gli invasori erano il passato e la restaurazione borghese. La vittoria di Playa Girón rafforzò il potere di Fidel, la sua reputazione e la sua rivoluzione, oltre tutto aveva in pugno un certo numero di prigionieri e poteva trattarne il rilascio. Fidel chiese cinquecento trattori pesanti, ma gli Stati Uniti non accettarono perché non potevano soddisfare la richiesta come governo e nessun privato poteva permettersi di sostenere un costo esorbitante. Alla fine Fidel accettò cinquantatrè milioni di dollari in derrate alimentari e medicinali, rilasciando i prigionieri prima di aver riscosso il prezzo, in modo che potessero riabbracciare i loro cari in occasione del Natale 1962.

Il fiasco di Playa Girón assicurò la sopravvivenza del regime castrista, dimostrò la capacità di Fidel come capo carismatico, la forza militare e di polizia del suo governo che godeva di un grande seguito popolare.

In questo periodo le forniture sovietiche permisero di procedere alla costruzione di molti ospedali e policlinici, ma vennero reclutati pure diecimila docenti volontari disposti a lavorare per metà del salario al fine di sconfiggere l’analfabetismo. Molti giovani del contingente dei maestri volontari, vestiti verde oliva con la fascia color lampone sulle maniche delle camicie grigie, si recarono entusiasti in treno nelle zone più impervie dell’Est e sui monti più elevati. Alfabetizzarono e fecero propaganda a contatto con il popolo, cantando il loro inno: “Portiamo con le lettere la luce della verità: matita, sillabario, quaderno,/ ad alfabetizzare, ad alfabetizzare./Vinceremo!”. La vicenda è ben rappresentata nel film cubano El brigadista e molti giovani furono coinvolti (secondo lo slogan per l’alfabetizzazione di Mariana Grajales: e tu impegnati, alfabetizza!). Ne derivòla Brigata dei maestri d’avanguardia Frank País che alfabetizzò i monti orientali, il centro di Cuba ela Sierra de los Organos (Pinar del Rio). Uno dei primi alfabetizzatori fu Corrado Benitez, ucciso sui monti della Sierra insieme al contadino che stava istruendo, da parte di alcuni controrivoluzionari. I due vennero trovati impiccati a un albero con le mani legate dietro le spalle. Da quel momento la brigata di alfabetizzazione prese il nome del coraggioso martire. La canzone della brigata fu così modificata: “Siamo la brigata Corrado Benitez,/ siamo l’avanguardia della Rivoluzione/ con il libro in alto arriviamo alla meta,/ portare a tutta Cuba l’alfabetizzazione./ Per prati e per montagne il brigatista va/ servendo la patria e servendo la pace./ Cuba…Cuba…/ Studio! Lavoro! Fucile!/ Matita! Sillabario! quaderno!/ Alfabetizzare! Alfabetizzare!/ Vinceremo!”. Il risultato finale fu che a Cuba quasi tutti impararono a leggere e a scrivere, mentre prima il quaranta per cento della popolazione era analfabeta.

Per quel che riguardava il lato economico, Che Guevara dubitava molto del modello sovietico asservito a una prospettiva mercantile e burocratica, ma era soprattutto il determinismo tecnologico a non piacere. Secondo Che Guevara la rivoluzione cubana doveva sperimentare un proprio modello di pianificazione economica basato sul maggior rendimento e su un drastico abbattimento dei costi di produzione. Era l’idea dell’uomo nuovo, un individuo perfetto, dotato di coscienza collettiva, che doveva lavorare per molti incentivi morali e poche soddisfazioni materiali. Si trattava di una stupenda e irrealizzabile utopia, ma il Che era un uomo che viveva di idee assolute. Fidel rifuggiva dalla teoria economico – politica, lui era un uomo pratico e il suo scopo era soltanto quello di risolvere la carenza di beni e servizi. Non arrivavano mai merci a sufficienza nei punti vendita e il problema ancora oggi non può dirsi risolto, perché i generi alimentari scarseggiano e le possibilità economiche sono ridotte. Fidel diceva che il socialismo non era stato concepito per la carestia, creò una catena di negozi del popolo amministrati dallo Stato e impose delle modalità di razionamento perché i beni di prima necessità toccassero a tutti. “Non importa che per qualche mese ci sia meno carne a disposizione se intanto il pano per l’allevamento del pollame procede a gonfie vele… metteremo un gerente in ogni mattatoio per difendere le vacche, in modo che vengano macellate soltanto quelle che si sono dimostrate incapaci di procreare…”, diceva Fidel. Il suo atteggiamento era ottimistico, sembrava un amministratore di fazenda come suo padre, spingeva la gente alla raccolta volontaria di canna da zucchero, promuoveva il lavoro volontario in cambio di incentivi morali ed economici per i più produttivi. Doveva fare i conti con la mentalità cubana che rifiutava lo sforzo fisico e morale, ma pensava di superare ogni problema soltanto con la sua presenza. Non fu così semplice. Il problema economico resta ancora insoluto ed è tra le cose più gravi di una rivoluzione cubana che ha fallito molti dei suoi obiettivi.

In politica estera puntava alla creazione di molti focolai di rivolta sparsi per il mondo, soprattutto America del Sud, Africa e Asia. Era un’idea di Che Guevara, guerrigliero indomito, ma Fidel appoggiava questa vocazione terzomondista e spingeva la sua attenzione fino all’Algeria di Ahmed Ben Bella, passando per Congo, Bolivia, Perù, Argentina e Vietnam. I problemi interni non mancavano, ma il più  grave di tutti erano gli attentati a Fidel, perché la rivoluzione non sarebbe sopravvissuta senza il suo leader. Si susseguirono operazioni targate CIA che presero i nomi più strani: Patty, Peter Pan, Liborio…ma l’obiettivo era sempre quello di far fuori Fidel e il fratello Raúl, che fosse durante un’invasione o addirittura in piazza a colpi di bazooka. Un maldestro tentativo di avvelenare Fidel al bar dell’Hotel Habana Libre andò male perché le pastiglie di veleno conservate in frigorifero aderirono al ghiaccio e si ruppero.

Problemi interni con gli intellettuali ci sono sempre stati. Nel 1961 venne chiuso il Lunes de Revolución, diretto da Carlos Franqui, definito un esercizio di dilettantismo piccolo borghese. Fidel pronunciò il famoso discorso: “All’interno della rivoluzione tutto è possibile, fuori di essa niente!”. L’artista rivoluzionario doveva essere disposto a sacrificare le sue idee in nome della rivoluzione. Nel solito periodo Cuba vene espulsa dall’OEA (Organizzazione degli Stati Americani) e gli Stati Uniti emanarono l’embargo economico totale. Si preparavano tempi duri per la rivoluzione cubana, ma Fidel non cedeva.

Tratto da FIDEL CASTRO – BIOGRAFIA NON AUTORIZZATA di Gordiano Lupi. Per gentile concessione dell’autore.

Autore: Gordiano Lupi
Titolo: Fidel Castro. Biografia non autorizzata
Editore: A.Car.
Anno di pubblicazione: 2011
Pagine: 208
Prezzo: 15 euro

Cortesia Gordiano Lupi. Ed un omaggio dato che Sabato 17 dicembre, alle ore 11.30, presso la Sala del Gonfalone, l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale della Toscana, gli verrà assegnato il Premio SCRITTORE TOSCANO DELL’ANNO 2011, organizzato dall’Associazione Fiera Libro Toscano. In bocca al lupo!