In Cina Xi Jinping presidente a vita

di Michele Marsonet.
Dovrebbe svolgersi senza sorprese il sesto Plenum del Partito comunista cinese, che si è aperto ieri all’hotel Jingxi di Pechino. Definito spesso “conclave rosso”, il Plenum ratificherà senza problemi l’assoluto predominio di Xi Jinping nel partito (e quindi anche nel governo), consegnando l’attuale leader alla storia del Partito e della Repubblica Popolare.
Xi è riuscito a raggiungere l’obiettivo grazie alle sue indubbie capacità di manovra e dopo aver eliminato in maniera sistematica tutti gli avversari interni. Il suo scopo è essere proclamato “erede” di Mao Zedong e – in misura minore – di Deng Xiaoping. Per ora è pienamente riuscito nell’intento.
Ha fatto inserire il suo “pensiero” nella Costituzione cinese imponendolo pure come materia obbligatoria nelle scuole, onori finora riservati al solo Mao. Con la differenza, tuttavia, che Mao scrisse molte opere teoriche riconosciute anche all’estero, mentre di Xi si conoscono solo interventi e discorsi ufficiali, non dotati di particolare originalità.
Occorre inoltre notare che il Plenum prelude all’evento più importante, vale a dire il ventesimo Congresso del Partito comunista che verrà celebrato nell’autunno dell’anno prossimo. A tale congresso Xi si presenterà come “Nuovo Timoniere” erede, per l’appunto, del “Grande Timoniere” Mao Zedong.
Ma non è tutto. Il Congresso dovrebbe pure eleggere Xi “Presidente a vita” pur senza dirlo ufficialmente. Verrà infatti abolito il vincolo dei due mandati, consentendo pertanto al 68enne leader di ottenere il terzo senza problemi. A facilitare il delicato passaggio è l’assenza di rivali in grado di contendergli la leadership. Quelli che c’erano, come si diceva poc’anzi, sono stati eliminati e dimenticati.
Pronto è anche lo slogan che accompagnerà il trionfo: “Mao ha risollevato il popolo, Deng lo ha arricchito, Xi lo ha reso forte”. Con questo il presidente intende collocarsi su una linea di continuità con le due maggior figure della storia del Partito, rendendo chiaro a tutti che la sua statura di leader è equivalente a quella dei suoi due principali predecessori. La Cina torna insomma al culto della personalità, che la dirigenza del Partito aveva abolito dopo la morte di Mao.
Da parecchio tempo Xi sta praticando una politica a forte impronta nazionalista. Al pari dello stesso Mao Zedong, si presenta come il vendicatore dei tanti torti subiti dalla Cina ad opera dell’Occidente (e della Russia). Si pensi alle “guerre dell’oppio” scatenate soprattutto dalla Gran Bretagna in epoca coloniale, e alla conquista russa di una parte consistente dell’estremo oriente asiatico nell’era zarista.
Xi ha promesso che la Cina non sarà mai più divisa o preda di potenze straniere. Di qui l’enfasi sull’annessione di Taiwan (che gli abitanti dell’isola non vogliono affatto), e sulla costruzione di forze armate potenti e in grado di competere con quelle americane. La politica estera di Xi Jinping è quindi diventata sempre più assertiva e aggressiva, tanto da spaventare in pratica tutte le nazioni che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale, oppure che, come l’India, hanno un lungo confine con la Repubblica Popolare nella regione himalayana.
Eppure anche la Cina ha in questo momento seri problemi. La pandemia di Covid 19 scoppiata a Wuhan non è affatto stata sconfitta come pretendono gli organi ufficiali. Al contrario, ha provocato un rallentamento del Pil dopo molti anni di crescita continua. Il Paese sta inoltre fronteggiando una notevole crisi energetica, mentre non si sa ancora se il governo è riuscito a disinnescare la bolla immobiliare dovuta allo scandalo del colosso edilizio “Evergrande”.
Il timore è che la Repubblica Popolare, dopo aver “domato” la rivolta di Hong Kong, stia ora usando la questione di Taiwan come pretesto per incanalare verso l’esterno il malcontento popolare dovuto alla crisi economica.
In questo senso hanno destato preoccupazione le immagini, catturate da satelliti Usa nel deserto dello Xinjiang, che mostrano esercitazioni delle forze armate di Pechino su modelli a scala naturale di navi da guerra americane della Settima Flotta Usa nel Pacifico. Tali immagini ricordano sinistramente analoghe esercitazioni della marina imperiale di Tokyo prima dell’attacco a Pearl Harbor del 1941. Con la fondamentale differenza che, ai giorni nostri, un attacco cinese scatenerebbe un conflitto nucleare.
Si tratta ora di capire se Xi, definito da tutti come uomo prudente, sia davvero disposto a correre un simile rischio per dare sostanza allo slogan “Una sola Cina”. Il buonsenso induce a ritenere di no. Tuttavia, la mancanza di qualsiasi opposizione nel Partito dà adito a molti dubbi.
