La visione storicista della Storia

di Michele Marsonet.
In Germania l’approfondimento del kantismo portò gradualmente alla storicizzazione delle categorie logiche, passando quindi dalla gnoseologia (teoria della conoscenza) pura all’esperienza del sapere storico. Gli inizi di questo approfondimento sono da ricercare nell’indirizzo neo-criticistico di Heidelberg, i cui maggiori rappresentanti sono W. Windelband e H. Rickert.
In una famosa prolusione accademica del 1894 Windelband, parlando di storia e scienze naturali, sostenne l’irriducibilità dei metodi utilizzati da queste due branche del sapere: la scienza è conoscenza universale, mentre la storia si occupa di fatti particolari. Le scienze della natura sono “nomotetiche”, formulano cioè leggi che hanno valore di classificazione, mentre le scienze dello spirito, tra cui la storia, sono “idiografiche”, nel senso che considerano i singoli fatti nel loro concretizzarsi specifico. E di questi fatti va rilevato soprattutto il valore in forma intuitiva. Su questa scia si pose anche Rickert, elaborando minuziose sotto-distinzioni tra scienze naturali e scienze morali. Lo sforzo di questi pensatori si arrestò al compito di fornirci le forme della conoscenza umana, soprattutto quelle inerenti alla generalizzazione dei fenomeni e alla loro valorizzazione.
Gli ulteriori approfondimenti, in senso più propriamente storicistico, si ebbero con W. Dilthey e G. Simmel. Il primo si propose di realizzare una “critica della ragione storica” per stabilire le condizioni a priori della conoscenza storica, in analogia a quanto aveva fatto Kant con la “Critica della ragion pura” in merito alla conoscenza dei fenomeni della natura. A differenza della conoscenza offertaci dalle scienze naturali che si basano sull’intuizione sensibile dei fenomeni, quella storica muove da contenuti vitali che prendono rilievo sempre più accentuato dentro di noi come esperienze vissute (Erlebnisse). Noi entriamo in contatto col passato in forma simpatetica, rivivendo psicologicamente, e ridicendo in una sorta di comunicazione estetica, le esperienze vitali di un popolo o di un’età. La compenetrazione psicologica degli eventi del passato è solo una condizione dell’esperienza storica; ad essa vanno aggiunte la “interpretazione” e la “comprensione”, intese come rivestimenti logici o categoriali del pensiero storico.
Dilthey ci ha lasciato anche dei saggi esemplificativi dell’attività storiografica, protesa a far emergere le caratteristiche di un’epoca in senso sincronico e diacronico, fornendoci i tratti di personalità eccezionali e di eventi inquadrati in un ampio orizzonte di nessi temporali, spaziali e causali. Ciò che manca in Dilthey è la visione metafisica o religiosa della storia, ragion per cui egli non può fornire giudizi definitivi e “totali” o onnicomprensivi sullo sviluppo storico e deve rassegnarsi, relativisticamente, ad esprimere giudizi che trovano la loro giustificazione in rapporto ai personaggi o alle età che si vanno considerando. Il suo merito principale sta nell’averci abituati alla distinzione tra lo “spiegare”, che è proprio delle scienze naturali, e il “comprendere£, che è specifico delle scienze dello spirito.
Nella varietà di indagini che Dilthey ha avviato e proseguito nel corso della propria carriera di filosofo e di storico, si può agevolmente riscontrare il delinearsi di un programma al quale egli è rimasto sempre fedele. Questo programma è costituito proprio dal proposito di pervenire all’elaborazione dei principi fondamentali di una “critica della ragione storica”, presentata da un lato come ampliamento, e dall’altro come correzione dei presupposti della critica kantiana. L’esigenza di “comprendere l’uomo come un essere essenzialmente storico”, la cui esistenza si realizza soltanto nella comunità, ha trovato fin dall’inizio la propria realizzazione nello sforzo di indagine critica sull’edificio delle scienze dello spirito, a cui si è accompagnato il tentativo di interpretare la connessione di tali discipline con la fondamentale storicità dell’esistenza umana. In tale maniera la critica della ragione storica si è configurata come l’obiettivo di estendere l’analisi kantiana ad un complesso di discipline che erano rimaste al di fuori del quadro della “Critica della ragion pura”.
Per un altro verso, però, la critica della ragione storica si è configurata, già negli scritti giovanili di Dilthey, come un tipo di indagine critica differente da quella kantiana, e fondato sulla coscienza della storicità dell’uomo nel suo stesso processo conoscitivo. Il soggetto della conoscenza, su cui Kant ha portato la propria attenzione, è un soggetto universale al quale la dimensione storica è estranea. La critica della ragione storica deve invece tenere conto di questa dimensione, riportando l’opera delle scienze dello spirito alla fondamentale storicità dell’esistenza umana, in cui esse hanno la propria radice. Dalla connessione di queste due direttrici deriva l’impostazione della critica della ragione storica – che costituirà sempre il centro di riferimento delle più diverse indagini diltheyane. Dilthey muove da un riconoscimento, anzi dalla constatazione, dell’esistenza di un complesso di discipline rivolte allo studio del mondo umano come mondo storico-sociale; e di queste discipline egli si propone di determinare le condizioni di validità. La critica kantiana, alla quale egli si rifà nell’ambito del movimento di “ritorno a Kant”, gli offre appunto gli strumenti per condurre una duplice, ma complementare, polemica: da un lato la polemica contro l’atteggiamento metafisico, che pretende di subordinare l’opera delle scienze dello spirito a principi universali, inquadrandola entro un sistema.
Dall’altro la polemica contro l’atteggiamento naturalistico del positivismo, che pretende di riportare le scienze dello spirito all’impianto metodologico delle scienze della natura. L’uno e l’altro rappresentano la base di una negazione dell’autonomia delle scienze dello spirito, che egli intende invece garantire nel corso della propria analisi critica. In vista di questo scopo, se da un lato afferma il carattere positivo della ricerca svolta dalle scienze dello spirito, proponendosi di contribuire all’eliminazione di concetti di origine metafisica che ancora siano presenti all’interno di essa, dall’altro Dilthey si trova di fronte all’esigenza di giustificare la distinzione tra scienze dello spirito e scienze della natura – cioè tra un complesso di discipline rivolte allo studio del mondo umano come mondo storico-sociale, e un altro complesso di discipline rivolte allo studio della natura “esterna” all’uomo.
Questa distinzione si configura in primo luogo come distinzione a base oggettiva, fondata cioè sulla diversità dell’oggetto a cui i due gruppi di discipline si riferiscono. Tuttavia implica anche una distinzione metodologica e gnoseologica, in quanto diversa è la forma di esperienza che entra in gioco nei due casi, poiché il mondo umano viene appreso mediante l’esperienza interna, nella stessa autocoscienza dell’uomo, e il mondo naturale viene appreso invece mediante l’esperienza esterna.
La distinzione tra scienze dello spirito e scienze della natura non si limita però a una distinzione di oggetto o di forma di esperienza, e va quindi oltre un piano meramente oggettivo e oltre un piano meramente metodologico e gnoseologico, rinviando a una fondamentale diversità di atteggiamento, e quindi a una diversità del rapporto che l’uomo come soggetto di ricerca ha con il mondo umano e con il mondo naturale. La natura è una realtà esterna all’uomo, una realtà che gli esseri umani possono cogliere e conoscere mediante l’osservazione sensibile, mentre il mondo storico-sociale è il mondo di cui fa parte l’uomo stesso che vuole conoscerlo, e può quindi venir penetrato dall’interno.
Il rapporto dell’uomo con il suo oggetto, nelle scienze dello spirito, è perciò un rapporto “immediato”, poiché tale oggetto è colto mediante l’esperienza interna nella vita interiore dell’individuo: le scienze dello spirito hanno quindi a proprio fondamento l’Erlebnis (“esperienza vissuta”), qualificata dalla sua immediatezza pre-concettuale, la coscienza che l’uomo ha del suo vivere nel tempo in una sostanziale identità di soggetto e oggetto.