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La concezione illuministica della Storia

di Michele Marsonet.

E’ necessario prendere in considerazione la svolta decisiva che avviene nella concezione storica verso la fine del Seicento e che diverrà emblematica del secolo dei Lumi: la sostituzione dell’idea teologica di Provvidenza con categorie laiche di progresso e felicità. E ciò avviene perché non si considera più la storia della salvezza, ma si incentra l’attenzione sulla storia civile, basata sui valori della nazione, dello Stato, della socialità e della democrazia.
Le radici della nuova mentalità risalgono al razionalismo cartesiano e all’empirismo inglese. Allorché essa esplode in tutta la sua “vis” polemica, assume il motto kantiano del “sàpere aude” e capovolge il teocentrismo in umanismo, con Voltaire: “non è Dio che ha creato l’uomo, ma è l’uomo che ha inventato gli dei”. L’illuminismo studia il passato e il futuro in prospettiva progressista. Nel passato crede di riscontrare una forma di progresso da spinte irrazionali e superstizione verso assetti sociali razionali; nel futuro addita la meta ultima delle conquiste dello spirito umano. Montesquieu e Gibbon si sentono attratti dal fascino dell’Impero romano.
Condorcet guarda oltre la Rivoluzione francese. Prima di passare ai dettagli, enunciamo subito taluni acquisti positivi della storiografia illuministica: maggior rigore di indagine rispetto alle ingenuità e alla mania barocca di inventare storie a scopo di diletto, proposta di maggiore tolleranza e comprensione tra religioni e mentalità diverse, rivendicazione dei diritti dei sudditi contro i soprusi dei sovrani, storia comparata della cultura. Ci sarebbero, ovviamente, da avanzare parecchie riserve sulle incoerenze che caratterizzano questi propositi. Per ora è sufficiente averli enunciati. E passiamo all’analisi di alcuni pensatori francesi.
La riflessione sulla storia in Etienne Bonnot de Condillac si deduce dalla considerazione del linguaggio (si veda la II parte del “Saggio sull’origine delle conoscenze umane”, dove si parla del genio dei popoli e del passaggio dal linguaggio immaginativo degli orientali a quello dell’azione e dell’analisi dei popoli occidentali e moderni). In questo passaggio c’è l’attestato di un progresso sociale e civile.
Più incisiva e articolata l’elaborazione di Montesquieu. Egli possiede una certa misura astratta di perfezione umana e sociale che gli permette di criticare il presente (“Lettere persiane”, 1721) e il passato (“Idee sulle cause della grandezza e della decadenza dei romani”, 1734). Quest’ultima opera è esemplificativa del rinvenimento di leggi che presiedono allo sviluppo di ogni popolo, e quindi della storia in quanto tale. Roma si impose come potenza bellicosa, capeggiata da re. Quando questi risultarono elementi di ostacolo al suo sviluppo, il popolo li cacciò confidando sui princìpi popolari del buon senso.
L’eccessiva espansione dell’Impero ne provocò la caduta, giacché i militari furono costretti a vivere lontano dalla capitale e ad estraniarsi tra loro. Il dispotismo che ne seguì non resse all’urto delle invasioni barbariche. Sotto l’influsso di Polibio, Montesquieu sancisce il seguente sviluppo di assetti politici: monarchia, aristocrazia, democrazia e dispotismo. La politica evolve attraverso le istituzioni statali e la psicologia collettiva. Tutto sta a saper mantenere un forte equilibrio tra questi due elementi. A tale scopo egli propone dei mezzi idonei a prevenire le crisi nella famosa opera “Lo spirito delle leggi” (1748).
Il termine “leggi” ha qui un senso molto ampio e designa l’ambito delle forme istituzionali politiche, sociali e culturali. Esse devono essere espressione della natura razionale dell’uomo che si attesta in valori giuridici, etici, estetici e religiosi. Tutte le leggi sono condizionate dallo spirito generale, ossia dalla sintesi di tre fattori: clima, ambiente e psicologia dei vari popoli. Cause fisiche e cause morali determinano lo sviluppo della civiltà, purché si faccia opera di opportuna educazione della gente, deducendo gradualmente la forma di governo dal carattere predominante di ciascun popolo. Fermo restando che la tripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), già teorizzata da Locke, è il miglior presidio della libertà dei popoli contro la tentazione dell’assolutismo.
Altro pensatore degno di interesse per la riflessione sulla società è ovviamente Rousseau. Quattordici anni dopo “Lo spirito delle leggi”, veniva pubblicato il suo “Contratto sociale”, che esercitò un notevole influsso teorico sugli storici, grazie all’ampia diffusione che ricevette. Questo scritto farà testo sino alla comparsa del “Capitale” di Marx, un secolo più tardi. Vi si teorizza l’origine della società mediante la contrapposizione di Natura e Storia. L’uomo primitivo, naturalmente buono, un giorno avverte l’impulso ad abbandonare il suo stato di innocenza e ad unirsi ad altri uomini, grazie a un tacito contratto che crea la società.

Quest’ultima, a differenza della Natura che si dimostra statica, è dinamica e poggia su tre pilastri: Stato, diritto e proprietà. Entrando in società, l’uomo sperimenta un’incresciosa situazione conflittuale determinata appunto dalla proprietà privata, che mette l’uomo contro l’uomo, lo costringe al lavoro diviso e lo rende unità frazionata, bisognosa di un padrone. Nasce da questa situazione poco allettante la nostalgia di un ritorno a una diversa situazione di vita, e l’utopia rousseauiana di teorizzare un mondo sentimentalmente riportato ai princìpi naturali della libertà e dell’uguaglianza sociale.
Figura eminente della riflessione sulla storia, in senso illuministico e polemico, è Voltaire. Con lui entra ufficialmente in circolazione l’espressione tecnica: “filosofia della storia”. Nel 1740 Voltaire aveva scritto per la marchesa di Chàtelet il “Saggio sui costumi e lo spirito dei popoli” e lo “Schizzo della storia dello spirito umano da Carlo Magno ai nostri giorni”. La riedizione di questi due scritti, fusi insieme, avvenne nel 1756, e nell’introduzione si parla esplicitamente di “filosofia della storia”. Nel celebre esordio si svela l’intenzione illuministica di una storia letta unitariamente e con fede progressista nelle “magnifiche sorti” dell’umanità.
Alla destinataria l’autore confida: “voi vorreste che dei filosofi avessero scritto la storia antica poiché volete leggerla con gli occhi del filosofo. Voi non cercate che delle verità utili e non avete trovato, dite, che degli inutili errori. Sforziamoci di istruirci insieme; cerchiamo di portare alla luce qualche momento prezioso sotto le rovine dei secoli”. Opera polemica nei confronti del “Discorso sulla storia universale” di Bossuet, il “Saggio” di Voltaire rappresenta anche la laicizzazione della “Teodicea” di Leibniz, stemperandola in progetto sociale e politico.
Vengono passate in rassegna le grandi culture della Cina, della Persia, dell’Islam, di Roma e del cristianesimo. Il cristianesimo, diretta filiazione della religione ebraica, si è imposto in Occidente, secondo Voltaire, grazie alla filantropia di Gesù e alla forza ideologica di San Paolo, appoggiato dai misteri ellenici e dalla filosofia neoplatonica. Malgrado gli ostacoli della religione e delle guerre, l’umanità progredisce con notevoli sforzi conquistando sempre nuovi e più alti traguardi di felicità e di pace, segnata soprattutto da quattro fulgide civiltà: quella greca (età di Pericle), quella romana (età di Augusto), quella rinascimentale (età di Leone X) e quella francese (secolo di Luigi XIV). L’attenzione di Voltaire non è rivolta al futuro, ma piuttosto al presente. Il passato ha ragion d’essere in vista del nostro presente e con la certezza che le nuove generazioni conosceranno ulteriori progressi.
Sebbene nella redazione della voce “Storia” del “Dizionario filosofico” l’autore prospetti le ragioni dell’utilità della storia: 1) evitare le risse sorte dalle gestioni politiche, e 2) dire ai sovrani che ogni potere trova opposizione, alla resa dei conti la sua riflessione globale sulla storia, destituita di senso provvidenziale, cade in balia di scetticismo ironico e di amara rassegnazione, come si può verificare in due racconti: “Micromegas”, in cui un extraterrestre irride all’immortalità dell’anima, e “Candido”, che schernisce la filosofia ottimistica di Leibniz.
Meno polemiche e fantasiose appaiono le considerazioni di Turgot e di Condorcet. Insieme a Saint-Simon essi sottolinearono il ruolo che svolgono le passioni nel dinamismo storico, e soprattutto l’importanza del linguaggio e la sconfitta dell’analfabetismo in funzione delle conquiste civili. Di Turgot sono da ricordare i due discorsi scritti in età giovanile: “Sui vantaggi che lo stabilirsi del cristianesimo ha procurato al genere umano” e “Dei progressi successivi dello spirito umano”. Influenzato da Bossuet, l’autore riconosce con ragioni storiche la validità del cristianesimo accanto alla migliore filantropia dei filosofi. Esso è un valido incentivo al progresso umano e sociale giacché promuove la fraternità universale e stimola a combattere i vizi della natura umana. Senza rompere con il passato e senza tacciare il Medioevo “tout court” di superstizione, Turgot si sforza di interpretare il passaggio dei secoli in maniera progressiva, tenendo conto che la Provvidenza divina (idea comune a Vico e analoga in Hegel) volge al bene del genere umano anche le passioni e i vizi degli uomini.
Di Condorcet ci resta l’opera che scrisse in carcere mentre attendeva di essere ghigliottinato dal Terrore, “Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano”, testamento emblematico dell’illuminismo francese che influenzerà Comte circa la fede progressista nel sapere e nella scienza. In quest’opera viene prospettato il cammino della civiltà quale si è realizzato fino alla Rivoluzione francese, e come si auspica che sarà dopo di essa.
I secoli passati hanno marciato più in fretta man mano che si approssimavano all’evento messianico della Rivoluzione francese, mentre l’avvenire conoscerà un altro assetto sociale dal momento che spariranno le differenze di cultura, di prestigio e di ricchezza tra i vari ceti. Gli uomini vivranno in libere comunità nazionali, senza tiranni né sacerdoti, ma sottomessi al lume della ragione. Proprio tale lume consentirà di combattere il fanatismo religioso che divide gli esseri umani, e li orienterà laicamente a mettere al mondo tanti figli quanti ne può sopportare la ricchezza della terra. La tendenza deterministica, meccanicistica e ingenuamente progressista degli illuministi francesi sarà in parte corretta da Kant, Lessing e Herder, mentre verrà decisamente sconfessata da Bossuet, da Vico e dal romanticismo.