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27 gennaio 2021: digressioni brevi sull’importanza della Memoria

Screenshot tratto da https://iremember.yadvashem.org

di Rina Brundu.

Diciamocelo chiaramente perché l’onestà intellettuale è sempre la miglior politica: questi sono tempi molto difficili per tutti. Viviamo hard times dickensiani a cui – noi generazioni nate dopo la Seconda Guerra mondiale – non siamo mai stati abituati. Noi moderni occidentali non abbiamo neppure mai saputo cosa voglia dire il vivere costretti. La costrizione, la mancanza di libertà, anche quando quella si risolve solo nell’impossibilità di fare una passeggiata dietro casa, non è mai un’opzione gradita allo spirito, non importa quanto etiche siano le ragioni che giustificano l’utilizzo del dato mezzo di coercizione, in questo caso un lockdown che agisce su scala internazionale a protezione della nostra salute.

L’onestà intellettuale mi spinge anche a scrivere che per milioni di individui lo status-quo non si “risolve” nel mero fastidio procurato dall’incarceramento più o meno volontario tra le pareti di casa, ma diventa tangibile problema familiare, economico, finanche serissimo problema fisico o mentale. Con lo scorrere dei mesi ci siamo scordati di tutto, di tutto ciò che ci faceva vivere come singoli e come comunità: ci siamo scordati le feste familiari, i raduni con gli amici, le sagre collettive; ci siamo dimenticati tratti importantissimi e funzionali al nostro essere “umani”.

In questi contesti diventa facile, facilissimo, dimenticare anche la “Memoria”. Si tratta di una eventualità ossimorica, certamente, ma non per questo meno possibile. La memoria è tuttavia fondamentale, qualsiasi sia il contesto di riferimento, qualsiasi sia l’argomento che dovrebbe “ricordare”. Per quanto mi riguarda onestà intellettuale e valore della memoria vanno di pari passo, sono i due cardini fondamentali su cui poggia la mia essenza di persona, di scrittore, di spirito che ha costruito una vita intorno a dati motivi etici e deontologici.

Domani è il Giorno della Memoria, la giornata dedicata alle vittime dell’Olocausto: quanti di noi, presi dai problemi del difficile quotidiano descritto fin qui, dimenticheranno questa ricorrenza? Tantissimi, ritengo.

A mio avviso, quei “tantissimi” non dovrebbero essere comunque giudicati: il “ricordare” non dovrebbe essere infatti un obbligo, quanto piuttosto un’opportunità. Si dovrebbe trattare cioè di un’altra “opportunità” per misurare la nostra vera forza nei momenti più difficili, per testare la nostra ritrovata capacità di lottare contro ogni ostacolo che si para davanti, finanche contro il “potere” fine a se stesso, il quale, in ogni epoca, in ogni tempo, in ogni forma, impiegherà ogni mezzo a sua disposizione per avere la meglio.

Di fatto, ricordando tutti coloro che sono periti a causa delle nefandezze commesse durante uno dei periodi più drammatici della nostra Storia collettiva, noi non staremmo celebrando un momento triste della Storia di un singolo popolo, o ricordando una ricorrenza fattasi nel tempo politically-correct, ma staremmo prendendo il tempo per ricordare cosa siamo, cosa vorremmo essere, cosa dobbiamo essere. Staremmo prendendo il tempo per capire veramente cosa sia il dono della libertà, il dono della determinazione, il dono del saper fare denuncia in tempi digitali che più il tempo passa più avvertiamo capaci di sminuire tali doni come nient’altro prima. Staremmo facendo spazio per “onorare” gli ultimi, i lottatori, coloro che sono morti in silenzio ma non si sono arresi mai. Diversamente da certi giornaloni italiani che in queste stesse ore hanno dato della “giusta” alla “donna più potente del mondo”, celebrando il “Giorno della Memoria” noi celebriamo i veri “giusti”, ovvero coloro che hanno pagato con la vita l’anelito dello spirito verso una sua libera affermazione, coloro che hanno sfidato l’aguzzino di turno, che sono morti per sua mano, e le cui anime immortali, splendenti, sanno farsi in automatico ideale orizzonte privato verso cui tendere.

Non è insomma azzardato scriverlo: l’Olocausto non è finito nel 1945, continuerà sempre, giorno dopo giorno, contro gli ebrei e contro tutti noi, continuerà finché ci saranno spiriti vinti dalla paura di guardarsi dentro e dunque dispostissimi ad azionare ogni ignobile trama per evitare di farlo; ma “l’Olocausto” può finire pure hic et nunc, ogni giorno, ogni giorno in cui ci sarà qualcuno che avrà la forza per dire basta, che avrà la forza per non dimenticare, per avanzare spedito senza fermarsi mai. Senza fare mai un passo indietro!

Nota: non avendo il tempo per scrivere di più, pubblico qui di seguito, a titolo di omaggio alla Giornata della Memoria 2021, le considerazioni che feci in chiusura di “Sulla Natura del Male” (mancano solo le fotografie a cui fanno riferimento le note). Quel testo fu di fatto molto importante per me perché mi portò lungo numerosi sentieri di studio. Un giorno tornerà, con un secondo volume diverso, soprattutto molto più ricco; ricco di esperienza e di quella capacità di cogitazione che oggi considero il mio dono più grande.

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Il cimitero di guerra tedesco di Glencree, Irlanda

Il cimitero di guerra tedesco di Glencree[1], nella contea di Wicklow, è anche l’unico cimitero di guerra della Repubblica di Irlanda dove sono interrati dei militari del Terzo Reich. In tutto ci sono 134 tombe, 53 appartengono a piloti della Luftwaffe e a marinai della Kriegsmarine di cui si riuscì ad identificare i corpi, 28 sono di militi ignoti e le restanti di personale civile. Nella Repubblica di Irlanda, che rimase neutrale durante la Seconda Guerra Mondiale, la maggior parte delle vittime tedesche furono causate da incidenti aerei o navali nel Mar d’Irlanda e nell’Atlantico. Tra i tedeschi seppelliti a Glencree c’è anche Hermann Görtz, una spia tedesca che si paracadutò nell’isola nel 1940 nel contesto dell’Operazione Mainau, una operazione di spionaggio del Reich. Görtz aveva ricevuto l’ordine di contattare Seamus Jim O’Donovan, membro dell’IRA e agente segreto, nome in codice V-Held. Il contatto ebbe successo ma poi, dopo 18 mesi in cui i cospirazionisti riuscirono a sfuggire alle autorità, Görtz fu arrestato e insieme a lui gli altri simpatizzanti della causa nazionalsocialista tra le fila dell’esercito indipendentista irlandese.

Avevo già visitato questo cimitero di guerra[2] una decina di anni fa, ma ho potuto farlo nuovamente anche oggi, con un diverso spirito, lo confesso. Ho camminato tra le tombe a lungo, e fermandomi a leggere i nomi, le date, ho visto che si trattava per lo più di ragazzi tra i venti e i trenta anni, anche loro vittime del Male che occupò la Germania per buona parte della prima metà del secolo scorso. Mentre stavo lì, sebbene tutto in quell’angolo quieto di mondo parlasse di pace e non di guerra, o di azioni maligne, mi è tornato in mente Eichmann: ecco, se c’erano dei tedeschi che avrebbero potuto dirsi “non colpevoli” dei crimini del Terzo Reich, in virtù del loro avere obbedito alle leggi dello Stato, erano sicuramente quei ragazzi sepolti a Glencree[3], non certo i criminali come quello processato a Gerusalemme 60 anni fa. Il tempo, infatti, cura ogni ferita, e nel giusto momento ci permette persino di ritrovare un senso di pietà per tutte le vittime delle grandi tragedie umane, indipendentemente dalla “causa” per cui lottavano e in nome della quale hanno trovato la morte. L’importante, credo, è non perdere mai la memoria del passato, l’importante, come direbbe Primo Levi, è non dimenticare che “questo è stato”….

Rina Brundu, Dublino 7 maggio 2018

Tratto da:

Sulla natura del male. Una confutazione del saggio Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil di Hannah Arendt e altre considerazioni, Ipazia Books, Dublin, 2018.


[1] Figura 9. Entrata al cimitero di guerra tedesco di Glencree, Contea di Wicklow, EIRE (immagini ©Rina Brundu).

[2] Figura 10. Interno del cimitero di Glencree, sullo sfondo una Croce Celtica. In basso a sinistra Figura 11, tomba di milite ignoto.

[3] Figura 12. Cimitero di Glencree: Hall of Honour, all’interno vi è la “Pietà” disegnata dal pittore tedesco Berlz.