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Donne, diritti e potere: il caso delle cinque conduttrici della rete “New York 1”

di Rina Brundu.

Tra le poche notizie che si fanno leggere in questo secondo giorno del 2021, oltre i soliti bollettini preoccupanti relativi alla pandemia in corso, mi ha colpito un occhiello del Corriere.it (vedi nell’immagine), il quale racconta di cinque donne, giornaliste conduttrici della rete “New York 1” che avrebbero fatto fortza-paris allo scopo di denunciare tale televisione con l’accusa di “discriminazione sessuale e age shaming”, ovvero per essere state trattate come “merce scaduta”. Dopo il malfatto, il traguardante governatore Andrew Cuomo, avrebbe commentato “Una perdita per la città”, e ancora non si è capito se così dicendo egli abbia dato per scontato il licenziamento, o se con quelle parole stesse stigmatizzando l’ennesimo episodio di prevaricazione maschilista ai danni delle donne.

Premesso ciò, e premesso che tutti noi condanniamo, sempre, tali atteggiamenti (io, per esempio, il mobbing l’ho subito sulla pelle e, così come avviene per tutto ciò che mi accade, un giorno ne scriverò molto dettagliatamente), se dovessi raccontare, in tutta onestà, cosa mi ha davvero colpita in tale notizia è il fatto che cinque (dico, ben cinque!) donne abbiano trovato la forza di unirsi per portare avanti questa giustissima battaglia. Di norma ciò non accade e non accade soprattutto nelle aziende trendy, traguardanti, nonché quando ci sono in ballo posizioni di potere, laddove uomini e donne non attendono altro che la caduta in disgrazia del collega per prenderne il posto qualora quel “posto” abbia un qualche valore utilitaristico. Questa è la verità e chi la pensa diversamente non ha mai lavorato in contesti corporativi di primo piano. Punto.

Da quanto appena scritto si evince insomma che io, benché auguri tutto il meglio a queste giornaliste, affinché vincano la loro causa e mandino un altro segnale importante alla comunità tutta, non ho alcuna naturale simpatia per la loro mission. Non ce l’ho perché non ho mai amato le donne che vivono e diventano qualcuno all’ombra del potere maschile. Questo, purtroppo, accade quasi dovunque, con l’Italia che domina la scena in maniera assoluta da questo punto di vista. Dalla Nilde Iotti in su e in giù, non si può citare una sola donna dell’Italia moderna che ce l’abbia fatta da sola. Quando scrivo “che ce l’abbia fatta” intendo però in contesti trendy molto ricercati dalle figurette che abitano l’attuale età sciocca e cialtrona. Paradossalmente, questo non è vero quando si guarda alla piccola e media industria, all’ambiente familiare, laddove sono in genere le donne a creare e a portare avanti la baracca.

Di fatto, il punto di rottura avviene solo quando una donna minaccia di voler fare da sé, e tenta di affermare la sua essenza, la validità e libertà della stessa, comunque.

Nella mia lunga storia io ne ho incontrati tanti e tante. In più di una occasione Tizio e Caia mi hanno invitato a seguire determinati schemi perché così facendo ne avrei guadagnato in “visibilità”, dicevano. Alla maniera del grande Diogene, seppure indegnamente, li ho sempre mandati a quel paese e non me ne sono mai pentita: mai! Anzi! Fermo restando che così occorrerebbe procedere sempre nella vita, sia che si sia uomini o che si sia donne, perché la libertà di fare e di pensare è un bene troppo prezioso; e fermo restando che la corsa è sempre con noi stessi non con gli altri, perché in gioco c’è la capacità del nostro spirito di brillare come potrebbe e come dovrebbe, le conseguenze pratiche di un simile comportamento sono che si fatica di più, certamente, ma d’altro canto non c’é mai il pericolo di diventare “merce scaduta”, piuttosto è il contrario, mentre la forza anche “contrattuale” che si guadagna nel tempo si accresce.

Detto altrimenti, io non credo che l’azienda contro cui queste cinque signore si stanno scagliando, abbia modificato le sue pratiche deontologiche nel recente passato. Nel caso in cui tali pratiche moralmente censurabili fossero effettivamente in essere – e questo va dimostrato – lo sono state probabilmente da sempre. Il che potrebbe significare pure che per un certo periodo – magari fino a che sono state carine e giovani, solo per citare alcuni dei tipici parametri meschini considerati importanti dalla società mediaticamente sciocca che abbiamo creato – queste signore potrebbero avere utilizzato tale infernale formula proprio per fare carriera, magari alle spalle di qualcun altro, del resto che ne sappiamo noi?

Fortunatamente, c’è una legge di azione e reazione dell’universo; una legge che tutto vede e provvede e tutto ciò che diamo ci viene restituito, sia cosa buona o cattiva. Non ho dubbi che così accadrà anche adesso. Nel frattempo se la “giustizia” umana desse pure una mano non sarebbe male. Avviene, infatti, specialmente quando camminiamo tra le contrade terrestri, incarnati in figure dominanti che portano i gioielli di famiglia tra le gambe, che spesso e volentieri ci si dimentichi cosa sia il senso della misura e dunque bene, benissimo, se qualcuno, preferibilmente in toga e parrucca, abbia la forza di ricordarcelo!