LA BARBA DI DIOGENE, Dublin (EIRE) – 21 Years Online. Leggi l'ultimo pezzo pubblicato...

Iliesi. Un’analisi di circa 250 toponimi. Premessa

Lo studio presentato in questo libro costituisce la terza e ultima parte di un più vasto lavoro dedicato ad alcune zone della Sardegna interna[1], quali l’ex Barbagia ogliastrina e la Barbagia di Ollolai, completato e pubblicato nel 2020. Così come è accaduto con le prime due parti del progetto, anche questo segmento non ha mancato di sorprendere e di insegnare. Quando si nasce alle pendici del Gennargentu ci si abitua fin da subito a sentire molte storie, tutte esistenti sul sottile filo rosso che separa la realtà dal mito, il fatto effettivamente occorso dalla leggenda. Nel tempo alcune di quelle narrazioni le dimentichiamo, altre si ripresentano davanti a noi a intervalli regolari, a loro modo determinate a non andare via, forse ansiose di affermare il senso del loro continuare ad esistere malgrado il tempo trascorso, malgrado l’indifferenza nostra e dell’epoca mutata. Forse ci sentiamo di ignorarle perché il nostro istinto le avverte in guisa di resoconti costruiti su fondamenta fragili quali sempre sono le memorie umane fallaci. Lo studio contenuto in questo saggio, proprio come i due lavori precedenti, vorrebbe essere di altra natura, e vorrebbe offrire un’immagine dell’Ogliastra, sub-regione della Sardegna centro-orientale, mai mostrata prima. Si tenterà cioè di tirare delle conclusioni nuove, nonché di proporre un moderno ritratto dei luoghi il quale si presenterà connotato da tre caratteristiche principali, da tre particolarità dominanti. Peraltro, tali tratti, affondando la loro ragion d’essere in una storia millenaria, nella toponomastica del territorio, benché rivisitati da una prospettiva tecnica di studio, sono comunque stati tra i fattori che hanno contribuito, da sempre, a provvedere questa bellissima zona della Sardegna di un background culturale ricco, variegato, unico.

I tre elementi primari in questione sono:

  1. L’uniformità
  2. La conservatività
  3. La matrice etnica iliese[2]

Col senno di poi, mi sono ritrovata a pensare anche alle ragioni mi hanno permesso di portare avanti questo lavoro e scrivere questo saggio. Tra i motivi individuati vi sono senz’altro: 1) l’essere nata nei luoghi oggetto del mio studio; 2) l’avere avuto la fortuna di crescere in un contesto familiare e culturale che perpetuava la tradizione del racconto orale; 3) l’avere intrapreso queste ricerche sul territorio da tre decadi; 4) la solida base tecnica fornitami dall’interesse che nel periodo universitario sempre suscitava in me la filologia.

Il debito con Massimo Pittau

Chi vorrà leggere questo lavoro non tarderà a realizzare un altro suo tratto distintivo molto importante: malgrado le mie ricerche siano partite dagli studi di Massimo Pittau, le conclusioni raggiunte, soprattutto per quanto riguarda la significazione dei 22 principali toponimi ogliastrini analizzati (Tortolì, Tertenia, Triei, Ertili, Jerzu, Girasole, Ardali, Urzulei, Loceri, Lotzorai, Lanusei, Bari Sardo, Baunei, Ilbono, Talana, Arzana, Osini, Elini, Manurri, Gairo, Ulassai, Strisaili), e di circa altri 230 toponimi secondari, tracciabili nelle pertinenze territoriali di quegli stessi villaggi e in altre zone dell’isola, sono molto diverse da quelle a cui è arrivato il professore nei suoi saggi dedicati ai toponimi della Sardegna. Nei tanti passaggi oggetto di conflitto con le tesi di Massimo Pittau, io ho stigmatizzato questa diversità in maniera molto netta, sottolineando con forza i punti in cui i risultati da me ottenuti non concordano con quelli di questo mio amatissimo maestro. In altre occasioni, ho quindi spiegato il perché, a mio giudizio, alcune sue conclusioni non sono condivisibili, soprattutto da una prospettiva tecnica e storico-culturale.

Conoscendo molto bene Massimo Pittau, le sue metodologie di studio, di analisi, di ricerca, avendo testimoniato direttamente le sue eccellenti qualità intellettuali, la sua vasta conoscenza di questi argomenti, io sono certissima che da una sua allieva, quale indegnamente sono, egli non si sarebbe aspettato nulla di meno. Così come sono certa che, nel suo ruolo di traguardante studente del linguista tedesco Max Leopold Wagner, lui non abbia esitato, quando è stato necessario, a porre in evidenza elementi oggetto di disaccordo, ovvero momenti cruciali nei quali le rispettive analisi non convergevano. Io credo, infatti, che non si possa pensare di fare seria ricerca se non si rispettano almeno due parametri fondamentali:

  1. Se non si ha la forza di dire qualcosa di nuovo
  2. Se non si ha il coraggio di confutare precedenti osservazioni e analisi, non importa la sacralità del pulpito da cui provengono.

Ciò premesso, oggi più di ieri, ci tengo ad affermare che il mio debito intellettuale, così come il mio affetto incondizionato verso Massimo Pittau, sono ricchezze pertinenti al mio spirito che non verranno meno mai. Negli anni della nostra lunga corrispondenza, era lui a parlarmi della mia eredità culturale, era lui a buttare perle qui e là, tutt’attorno a me, sperando che prima o poi mi decidessi a raccoglierle. Le ho raccolte in ritardo, verissimo, però mi preme che la sua anima sappia di come non siano andate perdute. Né dimenticate. Come tutte le cose che hanno un senso, dotate di un valore intrinseco, quali semi di uno splendido albero, tali “perle”, tali insegnamenti hanno messo radici, si vanno facendo pianta, quercia di Sardegna, che un giorno produrrà fiori e frutti. In realtà, il primo prezioso dono me lo hanno pure già fatto, proprio grazie a questo specifico studio, a questo viaggio di conoscenza. Tale regalo si è infatti concretizzato nell’acquisita coscienza della mia appartenenza a una matrice etnica che, lungi dall’essere mitica, ha un sostrato storico e culturale dimostrabile oltre ogni possibilità di dubbio, iscritto nella toponomastica dei luoghi, nell’antichissimo cuore roccioso isolano; e ancora, nell’acquisita coscienza della mia appartenenza a un ceppo etnico che, lungi dall’essere “barbaro”, come sovente lo si vuole per le regioni sarde appartenute ai territori dell’ex Barbaria romana, è in realtà una radice nobile come nessuna, considerata tale dagli uomini più colti dell’impero. Una eredità culturale splendida, dunque, legata a doppio spago alla grande storia del mondo, come è stata quella messa in moto nei luoghi della nostra casa-madre. Di fatto, più di tutto, in questo si è risolto l’intenso lavoro portato avanti nel mio anno iliese: in una sorta di incredibile viaggio alle origini di una spettacolare identità; in uno straordinario pellegrinaggio di ritorno verso il punto di partenza di ogni odissea che si rispetti, di ogni odissea che vuole essere davvero tale: Ilio.

Rina Brundu, 5 agosto 2020


[1] Prima parte:

BRUNDU-MANIAS, I monaci basiliani sul Gennargentu, Ipazia Books, 2020.

Seconda parte:

BRUNDU-FIGUS-MANIAS, Storia di Villanova Strisaili dalle origini ai nostri giorni, La guerra per Monte Nou, Volume 1, Ipazia Books, 2020.

[2] Cfr. 3.23

Scheda tecnica e altri dati

Gli ultimi studi storici