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I SARDI TIRRENI DOMINATORI DEL MEDITERRANEO. La Sardegna terra di risorse minerarie….

Di certo la Sardegna diventò molto per tempo una terra di conquista o almeno di larga frequentazione per i suoi numerosi e ricchi giacimenti di minerali: ossidiana, argento, piombo, rame, zinco e ferro. Che l’Isola fosse in antichità conosciuta, appetita e frequentata anche per le sue ricchezze minerarie è dimostrato pure dal nome di Argyróphleps, cioè di «Vena d’Argento», che essa – come abbiamo già visto – aveva, prima che mutasse il suo nome in quello di Sardó/Sardinia. E lo stesso si dica della antica denominazione di Molibódēs nẽsos = Plumbaria insula dato all’isola di Sant’Antioco, evidentemente per i suoi giacimenti di piombo (Tolomeo, III 3,8).

Senonché, degli antichi giacimenti di minerali della Sardegna attualmente resta molto poco, come conseguenza del loro lunghissimo sfruttamento, il quale è iniziato in epoca molto antica ed è durato, secolo per secolo, per circa 5 millenni, fino al presente, e il loro ricordo spesso è indiziato solamente da odierni toponimi: L’Argentiera, Porto Ferro (due), Capo Ferro, Capo Ferrato, Monte Ferru, Montiverru, Funtana Raminosa, Genna de Arrámini (= «Valico del Rame»), ecc.

C’è inoltre precisare che anche l’attività mineraria, mandata avanti in Sardegna per un così alto numero di secoli, ha avuto una sua parte notevole nell’opera di distruzione dei boschi, dato che nell’attività mineraria, fino a poco tempo fa, si è sempre fatto larghissimo uso di grandi quantità di legna, sia da bruciare per la fusione dei metalli, sia per costruire le impalcature di sostegno delle gallerie delle miniere. Tanto è vero che l’Iglesiente e il Gerrei, che sono le zone della Sardegna dove nel passato c’era grande abbondanza di minerali, mentre adesso ne resta solamente qualche traccia, sono le subregioni della Sardegna che mostrano di aver subìto le più grandi distruzioni del loro manto boschivo.

D’altronde i danni più notevoli in questo settore certamente la Sardegna li ha subìti da parte dello stato italiano post-risorgimentale, in vista e in conseguenza della sua politica di sviluppo delle comunicazioni ferroviarie: negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del Novecento l’Isola ha subìto un disboscamento generale e sistematico per la fornitura di milioni e milioni di traversine di leccio o di quercia necessarie per posarvi le migliaia di chilometri di rotaie ferroviarie in tutta la penisola italiana.

Ovviamente il taglio sistematico e indiscriminato delle foreste dell’Isola si è trascinato dietro gli altri effetti negativi che tutti conosciamo: la corsa rovinosa delle acque piovane dai rilievi montani e collinari verso il mare, il conseguente dilavamento dei terreni fino ad essere ridotti alla semplice superficie rocciosa, l’impoverimento generale delle sorgenti.

Oltre a tutto ciò è evidente che lo sfruttamento agricolo delle zone piane della Sardegna – i Campidani, la Nurra, l’Anglona e il Logudoro – che è stato anch’esso mandato avanti per millenni, ha determinato un notevole impoverimento mineralogico dei terreni, mentre si intravede facilmente che nel passato questi erano assai più fertili e produttivi che non nel presente.

Tutto questo ho voluto premettere con un preciso intento preliminare e pregiudiziale: quello di affermare e di sottolineare che all’epoca della più antica e più grande civiltà che il popolo sardo abbia mai prodotto, la «civiltà sardo-nuragica», di sicuro la Sardegna offriva agli uomini condizioni geo-ambientali enormemente migliori di quelle attuali. La stessa ricchezza e magnificenza di quella civiltà riuscirebbe in massima parte inspiegabile per chi avesse in mente soltanto le precarie condizioni geo-ambientali della Sardegna dei tempi odierni.

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