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Successo “bulgaro” per Lukashenko, ma i cittadini si ribellano

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di Michele Marsonet.

Si sono dunque svolte le elezioni presidenziali in Bielorussia, nazione spesso definita come “ultima dittatura comunista in Europa”. E tutto è andato come previsto. Alexandr Lukashenko, l’ex deputato del Soviet bielorusso che è al potere dal 1994, ha stravinto con una percentuale “bulgara”.
Pare abbia ottenuto, infatti, quasi l’80% dei voti. All’unica candidata in competizione, Svetlana Tikhanovskaja, un misero 6,8%, con un’affluenza al voto dell’80%.
Si tratta di un’insegnante d’inglese, moglie di un attivista e blogger, Sergei Tichanovsky che, dopo essersi candidato come presidente, è stato arrestato il 29 maggio e rinchiuso in prigione.
Svetlana Tikhanovskaja è riuscita a candidarsi, pur tra enormi difficoltà, e si è presentata alle urne conscia dell’inevitabile sconfitta. Per lei è già stato un enorme successo candidarsi e fornire agli elettori un’alternativa al dittatore, per quanto quasi virtuale.
Questa volta però una parte della popolazione non ha accettato di buon grado lo scontato risultato elettorale. La gente è scesa in piazza e ci sono stati scontri con la polizia del regime, che ha impiegato anche i carri armati.
Per ora si conta un morto travolto da un mezzo della polizia, e un centinaio di feriti tra manifestanti e agenti. Tuttavia i dimostranti appaiono intenzionati a non far passare sotto silenzio – come è accaduto in passato – una situazione tanto anomala.
Fonti dell’opposizione parlano di brogli documentati addirittura dalle telecamere, a riprova di quanto Lukashenko si senta sicuro del proprio potere. Non a caso si fa chiamare “Vozh” (leader supremo) e “Batka” (Piccolo padre) usando soprannomi dal chiaro sapore staliniano.
E, dell’epoca sovietica, il leader ha conservato molto manifestando in più occasioni nostalgia per la ex Urss. Il controllo del regime sui mezzi d’informazione è ferreo, e nessuna critica – soprattutto quelle personali al capo – è consentita.
Ora si tratta di vedere se le dimostrazioni continueranno per giorni con la stessa veemenza, così costringendo Lukashenko a una repressione che potrebbe essere sanguinosa, oppure se si arriverà a qualche accomodamento.
L’Unione Europea sta monitorando con attenzione gli sviluppi della situazione. E molto attenta è la confinante Polonia, il cui governo nazional-conservatore, pur mantenendo rapporti ufficiali cordiali, non gradisce come vicino un regime post-sovietico.
Ma il vero “convitato di pietra”, quasi inutile rammentarlo, è Vladimir Putin. Con lui Lukashenko ha un rapporto ambivalente. Basandosi anche sulla notevole affinità etnica e linguistica, a un certo punto pareva che la Bielorussia dovesse rientrare nell’orbita di Mosca.
In seguito, anche per le pressioni Usa e occidentali, il processo di avvicinamento è stato rallentato e Lukashenko si è accreditato come campione dell’indipendenza nazionale.
Il quadro è complicato. Da un lato l’Occidente non vuole che Putin si rafforzi, dall’altro il leader russo farà di tutto per impedire che in Bielorussia si verifichi di nuovo un “caso Ucraina”.
I prossimi giorni diranno se Lukashenko è in grado di controllare gli eventi, oppure se assisteremo a nuove tensioni nell’enorme spazio un tempo occupato dall’Unione Sovietica.