Il “New York Times” si ritira da Hong Kong
di Michele Marsonet.
Si fa sempre più difficile, a Hong Kong, la situazione della stampa internazionale. Giunge ora notizia che il più prestigioso quotidiano Usa, il “New York Times”, sposterà gran parte della locale redazione a Seul, capitale della Corea del Sud.
Del resto la Repubblica Popolare aveva già provveduto a espellere dal proprio territorio i corrispondenti dello stesso “New York Times”, del “Washington Post” e del “Wall Street Journal”, con una mossa che ha indignato il mondo giornalistico non solo americano.
Occorre rammentare, a questo proposito, che anche dopo il suo ritorno alla Cina nel 1997 nell’ex colonia britannica la libertà di stampa era consolidata. Il “South China Morning Post”, basato proprio nella città-isola, era rimasto relativamente immune dalla censura di Pechino, fornendo così notizie preziose, e di prima mano, sulla Cina continentale.
La nuova legge sulla sicurezza nazionale voluta da Xi Jinping e dal suo gruppo dirigente ha modificato tragicamente la situazione. Non è consentita la benché minima critica all’operato delle autorità cinesi che, ormai, a Hong Kong si sentono padrone assolute.
Una cappa di piombo sta quindi calando sulla città che, secondo l’accordo firmato da Pechino e Londra, avrebbe dovuto mantenere la propria autonomia fino al 2047 sotto l’egida del principio “un Paese, due sistemi”, elaborato ai tempi di Deng Xiaoping.
E’ chiaro infatti che il principio adesso in vigore è piuttosto “un Paese, un sistema”, con l’ex colonia britannica del tutto controllata dal Partito Comunista Cinese.
Il silenzio coinvolge anche i social network. In precedenza i cittadini cinesi più abili dal punto di vista informatico riuscivano a collegarsi ai network occidentali, proibiti in Cina, passando attraverso Facebook Hong Kong.
Ora pure questa possibilità è svanita, e gli americani stanno facendo ritorsioni scoraggiando, per esempio, l’uso del network cinese “Tik Tok”. I cittadini della Repubblica Popolare apprendono ormai solo le notizie che il governo di Pechino approva, con grave danno alla libertà personale.
Purtroppo non si vedono segnali di tregua. Pechino sta promuovendo una politica aggressiva che preoccupa parecchio tutti i Paesi confinanti, inclusi quelli – come il Vietnam – che in teoria alla Cina sono affini dal punto di vista ideologico e con essa intrattenevano rapporti di amicizia.
La nuova legge sulla sicurezza nazionale rappresenta per Hong Kong un pericolo mortale, giacché il suo scopo è eliminare qualsiasi differenza rispetto alle altre città cinesi.
Consente inoltre a Pechino di intervenire molto più direttamente nella città-isola, prefigurando anche iniziative di tipo militare qualora il Partito comunista le ritenesse utili ai propri fini.
Un’atmosfera, pertanto, più che plumbea, e destinata ad aggravarsi nel prossimo futuro. D’altro canto la reazione occidentale è stata molto timida, con l’eccezione dell’amministrazione Trump. E questo ha fatto capire alla leadership cinese di avere sostanzialmente le mani libere.