Gli Stati autoritari usano la pandemia per fare propaganda all’estero
di Michele Marsonet.
Come è stato giustamente notato su molti organi d’informazione, la Cina cerca in ogni modo di scoraggiare la diffusione degli studi concernenti l’origine del “coronavirus”, inclusi quelli redatti dai suoi stessi ricercatori. Non è chiaro perché ciò accada, oppure lo è sin troppo.
La Repubblica Popolare sta disperatamente tentando di non perdere l’influenza globale che aveva faticosamente conquistato, imponendo una narrazione volta a negare di essere alle origini del virus. Proprio per questo si propone quale fonte primaria di aiuti sanitari ad altri Paesi.
Nel frattempo, però, si sa che altri focolai sono scoppiati nel suo territorio, per esempio in una zona al confine con la Federazione Russa e dunque lontanissima da Wuhan e dall’Hubei.
E nessuno, ormai, crede più alle statistiche circa contagi e decessi fornite da Pechino. Tali numeri sono tanto edulcorati quanto fasulli, e servono solo a far credere all’opinione pubblica internazionale che la Cina, in questa terribile classifica di morte, stia meglio di molti altri Paesi (Italia inclusa).
Chi scrive non è un seguace dei vari complottismi oggi di moda. Eppure parecchie indicazioni lasciano capire che la storia dell’infezione partita da un “wet market” di Wuhan è, anch’essa, assai dubbia. Nessuno può escludere, a questo punto, che si sia invece trattato di un incidente accaduto in qualche laboratorio, probabilmente militare.
Eppure i cinesi fanno di tutto per convincere il mondo di aver risolto il problema in casa, il che non è vero, e inviano a piene mani aiuti e team medici all’estero (ultimo caso è la Polonia).
Si tratta chiaramente di un’operazione propagandistica promossa dallo stesso governo di Pechino. A tutti fanno piacere gli aiuti, ma vien fatto di chiedersi se i cinesi non farebbero meglio a concentrarsi sui problemi che hanno in casa.
Discorso parzialmente analogo vale per la Russia. Abbiamo guardato con piacere i team medici militari russi accorrere nelle provincie lombarde più colpite, con le loro insegne nazionali che sventolano sui camion che li trasporta.
Il fatto è che, dopo una grave sottovalutazione del problema, anche da parte del presidente Putin, ora la Russia è colpita in modo assai pesante. Il sindaco di Mosca, Sergei Sobyanin, ha invocato misure di restrizione molto più dure di quelle in vigore, e lo stesso Putin ha affermato che “qui va sempre peggio”.
E’ dunque lecito chiedersi se siamo soltanto di fronte a casi di solidarietà internazionale disinteressata, oppure a operazioni propagandistiche volte a rafforzare l’immagine internazionale di questi Paesi.
Allo stato dei fatti, la seconda opzione sembra molto più plausibile. L’Italia non ha nascosto niente, neppure le colonne di camion militari che partivano da Bergamo per condurre le bare con le salme delle vittime in altre regioni.
Così facendo è diventata terreno ideale per le spedizioni propagandistiche altrui. Ovvio che la riconoscenza per gli aiuti è doverosa, ma senza scordare che, propaganda a parte, gli Stati autoritari dovrebbero prestare maggiore attenzione ai drammi che hanno in casa invece di sventolare la bandiera all’estero.