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Il flop di Bloomberg nelle primarie Usa

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di Michele Marsonet.

Ha del clamoroso il flop del tycoon Michael Bloomberg nel Super Tuesday appena concluso. Il multimiliardario americano, che secondo le stime di Forbes è uno degli uomini più ricchi del mondo con un patrimonio stimato di oltre 52 miliardi di dollari, aveva evitato i primi caucus per dedicarsi, appunto, soltanto al Super Tuesday.
Il risultato è stato terribilmente deludente. Non ha vinto in alcun Stato e ha ottenuto soltanto una manciata di delegati, di fronte alle centinaia del redivivo Joe Biden e di Bernie Sanders. Ha quindi già annunciato il ritiro dalla corsa e l’appoggio all’ex vice di Barack Obama, Biden.
Eppure ha impegnato qualcosa come 600 milioni di dollari in una campagna martellante su stampa, TV e social network spendendo, da solo, più di tutti gli altri candidati messi assieme (Donald Trump incluso).
Non ha evidentemente convinto gli elettori democratici, sospettosi anche per la sua precedente militanza repubblicana. E’ stato infatti sindaco repubblicano di New York dal 2002 al 2013, anche se le sue origini politiche sono democratiche.
Ha inoltre pesato la prestazione assai scarsa nell’unico dibattito televisivo cui ha partecipato, nel quale non ha saputo reagire con efficacia agli attacchi concentrici di tutti gli altri candidati coalizzati contro di lui.
A differenza di Donald Trump, Bloomberg non “buca lo schermo”, e questo, dal punto di vista degli elettori Usa è un handicap molto grave. Spesso in America conta più la forma della sostanza, e la brillantezza nei dibattiti pubblici è considerata una dote irrinunciabile per un futuro presidente.
Il multimiliardario, tuttavia, ha messo in piedi un apparato elettorale impressionante, con centinaia di addetti dediti solo alla sua campagna e pagati generosamente. E’ chiaro, dunque, che è ancora in grado di influire sull’esito delle primarie democratiche.
E, non a caso, ha subito promesso di mettere le sue enormi risorse finanziarie a favore di Joe Biden. L’ex vice di Obama sembrava destinato a una fine ingloriosa dopo i primi caucus nei quali aveva ottenuto risultati deludenti.
Poi l’appoggio diretto di Obama, unito alla popolarità di Biden presso l’elettorato afroamericano, ha fatto la differenza consentendogli di conquistare molti Stati tra cui il popoloso Texas.
Non si deve però credere che Bloomberg sia definitivamente uscito di scena. Il suo endorsement a favore di Biden, da sempre capofila degli elettori democratici moderati e beniamino dell’establishment del partito, consentirà molto probabilmente all’ex vicepresidente di ottenere la nomination e di battersi con Trump nella corsa alla Casa Bianca.
La morale dell’intera storia è che, anche negli Stati Uniti, i soldi da soli non bastano se un candidato non ha quel quid in grado di convincere i votanti. Bloomberg, tra l’altro, non ha mai spiegato in modo chiaro quale fosse il suo programma in caso di successo.
L’unica cosa che gli elettori hanno capito è che vuole bloccare Trump a tutti i costi (whatever it takes), e tale intento non è stato considerato sufficiente per dargli fiducia. Spetta ora a Biden sfruttare con intelligenza le risorse che Bloomberg gli mette a disposizione.
Rammentando, tuttavia, che la vittoria nelle primarie democratiche non garantisce affatto la presidenza, come il caso di Hillary Clinton ha dimostrato. Donald Trump è un osso duro e, per batterlo in novembre, Joe Biden dovrà essere assai più brillante di quanto non sia stato finora.