In India vogliono onorare l’assassino di Gandhi
di Michele Marsonet.
In India il trionfo elettorale del partito indù ultranazionalista di Narendra Modi sta producendo effetti a dir poco spiacevoli. Pare quasi che la natura di questo enorme Paese, spesso definito “la più grande democrazia del mondo”, stia subendo una metamorfosi radicale con molte forze politiche e sociali decise a cancellare la memoria del fondatore, il Mahatma Gandhi.
E’ noto che i critici di Gandhi, in India, ci sono sempre stati sin dalle origini della Federazione. Il Mahatma aveva in mente uno Stato pluralista, inclusivo e multiconfessionale. Conscio della pluralità delle fedi religiose presenti nel territorio, egli cercò di evitare l’esplosione dei conflitti mettendole tutte sullo stesso piano, nonostante gli induisti rappresentassero la maggioranza assoluta della popolazione.
L’odio atavico tra indù e musulmani, tuttavia, era così forte da mettere in pericolo costante le sue intenzioni pacifiste ed ecumeniche. Né vi pose fine, nel 1947, la creazione dello Stato islamico del Pakistan. Gandhi venne a più riprese accusato di essere addirittura il “padre del Pakistan”, poiché aveva, se non incoraggiato, almeno accettato che il vecchio Dominion britannico si trasformasse in due Stati indipendenti e tra loro ostili.
Quella non poteva però essere la soluzione dei problemi, poiché nella Federazione Indiana rimase una popolazione di fede islamica molto consistente, quasi pari a quella dello stesso Pakistan. Nel suo ottimismo il Mahatma non capì che l’odio non era affatto destinato a estinguersi, e le vicende successive condussero anzi alla sua accentuazione.
Il 30 gennaio 1948 Nathuram Godse, un estremista indù convinto che Gandhi avesse sacrificato gli interessi degli induisti per garantirsi il consenso dei musulmani e di altre minoranze religiose, assassinò a sangue freddo il Mahatma sparandogli – per ironia della sorte – con una pistola italiana Beretta M34. Naturalmente l’eco internazionale fu enorme, essendo Gandhi diventato il leader mondiale dei movimenti non violenti.
Godse fu arrestato evitando a stento il linciaggio, condannato a morte e impiccato l’anno successivo. Si noti, tuttavia, che gli ambienti indù estremisti si dichiararono subito contrari alla condanna, ritenendo che l’assassino fosse un realtà un eroe che cercava di salvaguardare identità e interessi dell’India. Continuarono quindi a onorarne la memoria, pur tenuti a freno dalle autorità che al tempo si identificavano con il Partito del Congresso diretto dal Pandit Nehru, fautore di una politica laica e favorevole alla tolleranza inter-religiosa.
Ora si apprende che il governo di Narendra Modi intende rivalutare la figura di Godse e promuovere un culto della personalità a suo favore. In effetti l’assassino di Gandhi non si pentì e, durante il processo, affermò che in futuro gli storici lo avrebbero rivalutato.
Gli storici forse no, ma l’attuale governo nazionalista sta procedendo proprio in questa direzione. Del resto esistono già statue e templi intitolati a Godse. Nell’Uttar Pradesh si sta sviluppando una campagna volta ad esaltare la sua figura nei testi scolatici, ed è stato pure proposto di cambiare il nome della città di Meerut, sempre nell’Uttar Pradesh, chiamandola “Godse City”. Proposta che sta ricevendo moltissimi consensi nei social network.
Se si rammenta che anche nella vasta comunità islamica indiana l’estremismo sta crescendo in modo impetuoso, è facile prevedere un’epoca di conflitti sanguinosi, del resto analoghi ai massacri inter-religiosi che ebbero luogo dopo l’indipendenza dal Regno Unito. Una prospettiva tutt’altro che teorica, che lascia capire come l’eredità politica e spirituale di Gandhi venga costantemente tradita.