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A Hong Kong ci sono anche i filo-cinesi

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di Michele Marsonet.

Che la situazione a Hong Kong sia ancora più complicata di quanto appare è cosa nota agli analisti che si occupano delle vicende cinesi. In effetti la quantità di persone che scendono in piazza a dimostrare indurrebbe a credere che la città sia praticamente monolitica nel rifiuto dell’assimilazione, e nel rivendicare una completa libertà d’espressione.
Tuttavia non è proprio così. Si sa da tempo, infatti, che vi sono consistenti settori della popolazione tutt’altro che ostili alla Repubblica Popolare. Ancora più importante è la grande preoccupazione del mondo del business per il caos che sta sconvolgendo giorno dopo giorno la città-isola.
E Hong Kong è, da sempre, votata al business e al commercio internazionale, essendo diventata un hub fondamentale anche nello sviluppo dei rapporti tra la Cina e il resto del mondo, in particolare l’Occidente. I ricchi – e spesso ricchissimi – uomini d’affari locali temono, a ragion veduta, che il prolungarsi dell’attuale instabilità finisca col favorire altri centri cinesi.
E’ curioso, a tale proposito, che le truppe speciali della Repubblica Popolare siano stazionate nella vicina Shenzhen. Si tratta di una città il cui impetuoso sviluppo si deve a Deng Xiaoping, che la trasformò da cittadina insignificante in centro dell’industria hi-tech e grande porto commerciale. Ospita, tra l’altro, la casa madre di Huawei.
Passata in soli 30 anni da 20.000 a 13,5 milioni di abitanti, in questo senso Shenzhen è diventata col tempo una temibile concorrente di Hong Kong in numerosi settori, attraendo investitori che prima privilegiavano la ex colonia britannica. Ed è facile intuire che Pechino la preferisca a Hong Kong perché storicamente situata entro i tradizionali confini cinesi e, quindi, più facilmente controllabile dal centro.
Shenzhen non può rivaleggiare con la ex colonia britannica per quanto riguarda il turismo, ma in pratica è questo il solo settore in cui Hong Kong ha la certezza di mantenere il primato dovuto alla sua baia spettacolare e allo stile “british” che tuttora la caratterizza. Da quanto si è detto, tuttavia, risulta ovvio che la preoccupazione del locale mondo degli affari è giustificata.
Nel frattempo, in contemporanea con le dimostrazioni antigovernative, si è svolta pure una manifestazione filo-cinese cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone. Il “Global Times”, quotidiano internazionale del Partito Comunista cinese, ne ha subito approfittato parlando di “una maggioranza silenziosa che si fa sentire e dice basta alle violenze”. Sarebbe però errato pensare soltanto a una “quinta colonna” creata da Pechino. In realtà i filo-cinesi a Hong Kong ci sono davvero, e anche in gran numero.
Difficile, come sempre, fare previsioni attendibili. Per ora si nota la grande prudenza adottata dalla Repubblica Popolare. Le truppe già presenti in città sono finora rimaste nelle caserme, mentre alcuni dei reparti antisommossa stazionati nella vicina Shenzhen sono giunti in città, limitandosi però a osservare i dimostranti da lontano e lasciando alla polizia locale l’incombenza di affrontare eventuali scontri.
A fronte di una tensione così alta viene spontaneo pensare che una scintilla potrebbe far scoppiare un incendio ben difficile da domare, anche se – almeno per ora – Pechino sembra voler evitare una riedizione di Piazza Tienanmen. Né giovano, a tale proposito, atteggiamenti estremi da parte dei manifestanti, come quello di sventolare in pubblico la bandiera americana e di cantare di fronte alla polizia l’inno nazionale degli Stati Uniti.
Tuttavia, quando gli animi sono così esasperati, anche episodi di poco conto possono fungere da detonatore e condurre a tragedie di grande portata. Si può solo sperare che la leadership di Pechino non si affidi alla forza bruta poiché, così facendo, verrebbe compromessa l’immagine di una Cina potente, ma pacifica, che è stata creata e propagandata negli ultimi decenni.